GIOVANNI CIAMPOLI vide la luce (Firenze, 1590) da famiglia nobile ma non ricca, però grazie alla giovanile vena poetica entrò nelle grazie di Giovan Battista Strozzi che gli fece conoscere il granduca di Toscana Ferdinando e il di lui figliolo Cosimo.
Poi nel 1608 entrò in intimità, anche intellettuale, con Galileo Galilei e da questi fu volto agli studi matematico-scientifici, peregrinando fra le Università di Padova, Bologna e Pisa ove tuttavia si laureò (1614) in teologia.
Recatosi a Roma divenne amico di Virginio Cesarini e di Federico Cesi, entrando nel 1618 a far parte della Accademia dei Lincei: fu tra l’altro protettore di Evangelista Torricelli.
Durante la sua residenza romana il CIAMPOLI dovette occuparsi di varie cariche della Curia sì da seguire quasi tutte le vicende connesse alla travagliata pubblicazione prima del Saggiatore e quindi del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei.
Viste le sue simpatie per il galileismo (e contestualente con quei prodromi della Scienza Nuova il cui corollario filosofico sarebbe stato sublimato dal pensiero di Renato Cartesio ) e dati anche i contatti, forse per il tramite del Cesarini, avuti con il cardinale Gaspare Borgia, dichiarato nemico di Urbano VIII, Ciampoli fu obbligato a lasciare Roma ed a recarsi a ricoprire vari incarichi nella scomodità delle legazioni e dell’Italia centrale e fu di conseguenza a Norcia, a Fabriano e a Jesi.
Di questo suo sostanziale ESILIO si occupò anche Aprosio in questo suo Scudo di Rinaldo edito nel CAPITOLO XXVII dedicato al “SIGNOR FRANCESCO TONDI”, dal contesto facilmente individuabile in un DISCEPOLO del CIAMPOLI ed in qualche modo un CONTINUATORE DELLA SUA OPERA oltre che una sorta di suo BIOGRAFO.
Leggendolo pare di inciampare in una delle non poche dissertazioni moralistiche del frate intemelio (ed infatti la lunga iniziale sarcina narrativa del CIAMPOLI -da pp.173 a p.180- in linea con l’assunto del capitolo stesso è dedicata alla riprovazione dell’eccessiva cura della propria persona da parte dei religiosi).
Però se si continua a leggere, precisamente dal I capoverso di p.180 e soprattutto dal I capoverso di p. 181 ci si imbatte in una lunga LETTERA del CIAMPOLI per cui Aprosio annota “La Lettera è scritta al Signor Avvocato Eugenio” da “…Fabriano li IV Febraro 1641” e risulta seguita da “…la Canzone scritta da lui mentre era Governator di Mont’Alto”.
E così il DISCORSO DEL CIAMPOLI che pareva una considerazione puramente moralistica diviene una sorta di PATETICA E NEL CONTEMPO CORAGGIOSA EPISTOLA SULLA SUA CONDIZIONE DI ESULE MOLTO PARTICOLARE: cosa che in fondo avverte lo stesso Aprosio e di cui in definitiva ci fa capire che aveva principalmente l’attenzione di affrontare principalmente, neppur nascondendo troppo la stima personale per MONSIGNOR CIAMPOLI, destinato poi sorprendentemente ad una scarna citazione nel catalogo de La Biblioteca Aprosiana…. precisamente a pagina 175 (forse anche per non compromettersi troppo data anche la sua pregressa fama di poeta nel senso però di stravagante e inattendibile, specialmente in un periodo di aspri dibattiti sui “Massimi Sistemi” sì da scrivere, senza assumere una posizione definitiva ma palesando, pur senza calcare la mano, ufficiale propensione per l’ortodossia cattolica del geocentrismo come si legge nel suo qui digitalizzato Grillo XXXXV “Se la Terra sia Mobile, o Stabile”)
CIAMPOLI, nonostante questa SORTA D’ESILIO, Riuscì però a mantenere i contatti col Galilei e divenne protettore di Evangelista Torricelli.
Lasciò in eredità i suoi preziosi manoscritti al re di Polonia Ladislao IV sì che tuttore si custodiscono nella Biblioteca Jagellonica di Cracovia.
Grazie all’appoggio del potente cardinale PIETRO SFORZA PALLAVICINO si riuscirono comunque ad editare postume alcune sue come le Prose (I ed. – Manelfi, Roma, 1649: di cui il frontespizio all’inizio di questa nostra dissertazione), il volume De i Frammenti dell’opere postume (Ferroni, Bologna, 1654).
Contestualmente videro la luce dai torchi anche i suoi lavori meno impegnati oppure di carattere religioso e moraleggiante: si possono citare qui le Rime (III ed. per gli Eredi del Corbelletti, Roma, 1648), le Poesie sacre (Zenero, Bologna, 1648), le Poesie funebri e morali (Ferroni, Bologna, 1653), le Rime scelte (Fabio di Falco, Roma, 1666).