Un insigne archelogo, nativo di Pigna

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Carlo Fea nacque a Pigna (in Alta Val Nervia, nell’attuale provincia di Imperia) nel 1753 proprio mentre si stava riscoprendo a scapito delle ridondanze barocche la linearità dell’arte classica, fenomeno ampiamente integrato dalle prime vere ricerche archeologiche e dalla riscoperta della città di Ercolano,  Stabia e Pompei nel I secolo d. C. ricoperte dalla lava e dai lapilli del Vesuvio e,  per uno straordinario fenomeno geomorfologico, consegnate dopo millenni agli studiosi parzialmente intatte con molti dei loro tesori da analizzare.

Sulla scia della riscoperta della cultura classica e dell’ideale platonico di bellezza il FEA studiò dapprima a NIZZA, quindi si trasferì a ROMA ove venne ospitato da uno zio che era rettore del Collegio degli Orfanelli e che gli permise di completare gli studi umanistici, diventando contemporaneamente sacerdote. Ed a tal proposito non è da dimenticare che questo personaggio di vasta cultura conseguì anche la laurea in entrambi i diritti, cioé quello civile e quello canonico.

La naturale predisposizione per la ricerca archeologica lo indusse però a ben altra carriera che quella forense e presto, dopo aver a lungo indagato fra le stupende rovine di Roma antica, diede alle stampe un importante saggio intitolato “Sulle Rovine di Roma”. Questo saggio finì poi per diventare un’appendice del III volume della celebre opera “Storia dell’arte nell’antichità” di Giovanni Gioacchino Winckelmann, il grande e sventurato storico dell’arte tedesco che, assieme al Mengs ed al Milizia ma con maggior profondità critica, pose le basi della dottrina neoclassica che tanto influenzò l’arte (Canova) e la letteratura (Biamonti, Monti e soprattutto Foscolo).

Il FEA fu sempre spiritualmente legato al grande tedesco continuandone, anche dopo la tragica morte per omicidio, l’impegnativa opera per il recupero della classicità: non è quindi un caso che ne abbia curata la ristampa della traduzione italiana della “Storia dell’arte” negli anni 1783-’84.

Il FEA dovette però abbandonare le ricerche travolto come tutti dagli eventi della Rivoluzione di Francia e del suo influsso politico sugli stati italici legati all’Antico Regime delle Monarchie assolute.
Considerato filopapista e reazionario, ai tempi della Rivoluzionaria Repubblica Romana del 1798-’99 eretta sui trionfi di Napoleone, conobbe dapprima la prigionia e quindi l’esilio.
Le sue responsabilità (era peraltro uno studioso appassionato e non un politico) alla luce delle inchieste furono trovate insignificanti se non nulle e potè quindi non solo ritornare dall’esilio ma riprendere le sue ricerche. cesare.statuaTenendo conto dell’elevatissima preparazione e del fatto che Napoleone voleva costruire il suo Impero sui fasti dell’Impero di Roma, così lontani da certe meschinerie dinastiche degli Stati moderni e assoluti, il FEA ottenne la nomina a COMMISSARIO DELLE ANTICHITA’ DELLO STATO PONTIFICIO.
Successivamente fu scelto per dirigere la preziosissima biblioteca del Principe Chigi, raggiungendo in seguito la somma carica di PRESIDENTE DEL MUSEO CAPITOLINO.

Era sua consuetudine scientifica quella di condurre le indagine archeologiche seguendo un importante criterio storico-deduttivo: egli aveva elaborata questa dottrina perché in tempi non lontani aveva visto sì estrarre dal sottosuolo romano autentici, incredibili capolavori, ma con grandi danni apportati ad altro prezioso materiale nel corso di esacavazioni condotte eminentemente con uno scopo mirato e col principio di eludere e magari distruggere quanto non corrispondesse alla meta di ricerca progettata.

Grazie al suo magistero l’archeologia divenne una scienza che era regolata da norme esatte che preludevano contemporaneamente a recuperare i reperti e ad eludere il saccheggio di quanto, al momento, non potesse venire riportato alla luce.
I risultati furono eccellenti e costituirono veri antemurali del recupero e della salvaguardia dei monumenti: come tuttoggi si può constatare ammirando a Roma il foro Traiano, il Pantheon, il Pincio, straordinari siti archeologici dove il FEA espletò la sua opera.

Scrisse ben 125 opere di vario formato ed importanza; tra queste, soprattutto per l’insegnamento che trasmisero nel momento fulgido della cultura neoclassica, meritano di essere ricordate “Lintegrità del Pantheon di M. Agrippa” e la “Relazione di un viaggio ad Ostia” (entrambe edite nel 1802),la “Notizia degli scavi dell’Anfiteatro Flavio” (del 1813),  i 3 volumi del 1822 intitolati “Descrizione di Roma con vedute”, l’opera dal titolo “La fossa Traiana” (del 1824) e, frutto delle sue indagini sul complesso sistema idrotermale dei classici, soprattutto romani, la “Miscellanea antiquario idraulica” edita nel 1827 ad una diecina d’anni dalla morte che lo colse nel 1836 a Roma ancora intento nei suoi studi.

tratto da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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