Un romanzo del Seicento che illumina sulla coeva Genova

La Rosalinda (in Opere del Conte Bernardo Morando, IV, Barochi, Piacenza, 1662) del genovese Bernardo Morando (Sestri Ponente 1589 – Piacenza 1656) è oggi un romanzo senza lettori e i pochi esemplari superstiti sono quasi pezzi da museo.
La sua fortuna nasce e tramonta nel Seicento, epoca in cui vive splendori di effimera celebrità una tradizione romanzesca i cui prodotti, respinti dalla posteriore critica letteraria, sono ormai difficilmente reperibili, costringendo il bibliofilo ad autentiche indagini tra i meandri di biblioteche, scaffali, cataloghi d’antiquariato e no.
L’autore è nel suo secolo una figura letteraria e sociale di un certo rilievo. Di origini mercantili si trasferisce a Piacenza nel 1612 per sbrigare alcuni oneri commerciali della famiglia; il soggiorno diviene col tempo stabile residenza nella città che, con Parma, costituisce il ducato dei Farnese.
I meriti mercantili, politici e soprattutto letterari lo rendono gradito ai duchi Odoardo (1622-1646) e Ranuccio II (1646-1694) che lo gratificano nel ’49 dell’ascrizione alla nobiltà locale, investendolo nel 1652 del feudo di Montechiaro.
La Rosalinda non è l’unico lavoro di Bernardo Morando ma è certamente il più noto e, per alcuni versi, quello che meglio riflette la collocazione ideologica dell’autore.
Di questo romanzo nella presente occasione si va a sottolineare quanto abbia riportato del dibattito politico in corso a Genova in quel periodo.
L’ideologia che guida la Rosalinda risulta organizzata secondo un sistema di valori riconducibile ad una particolare visione filosofico-politica della serie storica cui appartiene il letterato genovese. Dalle sequenze narrative esaminate si possono enuciare alcuni concetti chiave, sublimati a livello di assiomi: nobiltà delle grandi operazioni commerciali, tranquillità, unità e compattezza del territorio repubblicano, potenza e libertà dello Stato, suo splendore architettonico e monumentalità delle opere pubbliche.

La Cattedrale dell'Assunta di Ventimiglia, in provincia di Imperia: sul sagrato ha luogo una scena topica del romanzo "La Rosalinda"
La Cattedrale dell’Assunta di Ventimiglia, in provincia di Imperia: sul sagrato ha luogo una scena topica del romanzo “La Rosalinda”

A ben guardare l’idea politica di una moderna Repubblica di Genova, cui allude il Morando, comporta la ripresa del programma politico di rinnovamento portato avanti in Genova da un gruppo di aristocratici innovatori, i GIOVANI, e così riassunto dal loro capo carismatico Anton Giulio Brignole Sale: “vincere le aperte invasioni di Regii eserciti, troncare i capi congiunti d’interne vipere, provar i cittadini tanto liberali in dar il loro per formar diademi di muraglie invitte alla libertà… difendere possessi antichi, assumere dignita nuove”.
La sfortunata guerra del 1625 contro i franco-piemontesi, il graduale abbandono dal ’27 dell’alleanza spagnuola, la congiura di G.C. Vachero del ’28 pongono la Repubblica nella necessità di trovare una nuova linea politico-economica e di difendere una difficile neutralità.
Contro i Vecchi, la parte aristocratica meno propensa a rinnovare, i Giovani, intraprendono una battaglia propagandistica volta a ridare credibilità alle istituzioni dello Stato, anche attraverso la realizzazione di grandi opere pubbliche. In particolare l’invito a superare i vieti particolarismi equivale al tentativo di organizzare uno Stato compatto e pacifico, diretto da una classe dirigente capace di opporsi, con mezzi e fermezza, alle violenze dei potentati europei [C. COSTANTINI, La Repubblica di Genova nell’età moderna, in Storia d’Italia, Torino 1978, IX, pp. 265-295  (G.B. VENEROSO, Genio Ligure risvegliato, Peri, Genova, 1650)].
Il richiamo antiquario alla ripresa dell’attività mercantile e marinaresca, trascurata in seguito ai vantaggiosi legami con la Spagna, è egualmente un proclama di emancipazione da ogni pericolosa tentazione per ulteriori parassitismi economici; secondo il Brignole Sale, “ora che quei nuovi modi di ricchezza son venuti meno, non rimane che richiamare l’antica professione la seconda volta, mentre son tornati quei bisogni che c’indussero la primiera ad esercitarla”.
Il centro di questo dibattito politico è, in Genova, l’Accademia degli Addormentati che, grazie ai legami con altri nuclei culturali quali l’Accademia veneziana degli Incogniti, veicola nel mondo degli intellettuali italiani le idee dei Giovani. sotto forma di libelli.
II Morando, a stretto contatto con gli Incogniti, non ha evidentemente difficoltà a fruire di tali documenti; date le origini mercantili egli fa proprie con entusiasmo quelle ipotesi di lavoro e le trasferisce nel romanzo.
Anzi, valendosi delle peculiarità delI’istituto letterario di cui dispone e dell’effetto di straniamento proprio della funzione poetica del linguaggio, egli dà alla teoria politica una sistemazione pratica all’interno del romanzo ed offre al lettore lo spettacolo smagliante di una Repubblica nuova in cui è restaurata la concordia socio-economica e la forza politica si esprime esteticamente attraverso la serenità del paesaggio e l’emblematicità di una monumentale architettura pubblica e privata.

da Cultura-Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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