Una contessa … vampiro

La bibliografia sulla contessa Erzbeth Bathory è abbastanza ricca anche se rischia sempre di sfociare nella leggenda macabra.

Si tramandò a lungo che avesse un rapporto angosciante con gli specchi che, a differenza di quanto avviene oggi, nel XVI-XVII secolo (epoca in cui visse), erano giudicati una sorta di tentazione demoniaca nella irrealizzabile prospettiva di vedervi riflessa una propria immutabile bellezza.

Da questa fissazione si riteneva che la contessa fosse stata contagiata anche in dipendenza delle mancate aspettative esistenziali. Ben oltre quello che può suggerire il modesto ritratto che di essa si mostra ancora oggi, stando alle notizie coeve, doveva essere una donna bella ed affascinante, ma poco a poco divenuta prigioniera di quella che all’epoca si chiamava genericamente melancolia: grazie all’influenza della sua casata, quella dei Bathory (sempre a capo della lotta contro i Turchi dei nobili d’Ungheria), ella era andata giovane sposa all’eroe nazionale conte Feren Nadasdy.

Le attese di una vita sfarzosa non vennero però mai soddisfatte dall’indole del marito che continuando le gesta di altri membri della sua casata (parimenti potente a quella dei Bathory ed alla stessa stregua impegnata nel conflitto contro i Turchi) in pratica visse stabilmente sul fronte lasciando la donna sola, a perdersi nella rabbiosa contemplazione del flusso del tempo e delle occasioni perdute, nel castello di Csejthe in Slovacchia.

Sempre la tradizione vuole che la sua indole dominante trovasse meschina consolazione nella tirannia con cui gestiva il suo personale e le numerose serve poste dallo sposo a sua disposizione.

Si racconta che un giorno sferzando una di queste, giovane e bella, fosse stata investita da un schizzo di sangue: evidentemente per effetto delle frenesie della sua mente, col tempo vieppiù ossessionata dall’idea dell’invecchiamento, maturò il giudizio, formulato però anche su basi letterarie e mediche, che la sua epidermide, laddove era stata bagnata del sangue di quell’innocente domestica, fosse come ringiovanita, divenendo più elastica e vellutata, esente da quelle primissime rughe che la andavano inquietando.

Fu per questa constatazione che la folle contessa prese l’abitudine di far salassare le serve e quindi preparare col loro sangue degli impacchi per la sua pelle se non addirittura delle bevande: l’abitudine assunse costanza periodica dopo che lo sposo morì nel 1604, quando lei aveva 44 anni.

Assoluta padrona della sua vita non si avvalse più degli espedienti,in certo modo domestici, cui in un primo tempo aveva fatto ricorso per salvaguardare la sua beltà: piuttosto sguinzagliò per i territori della sua contea i propri servitori più fidati, in particolare un certo Fickzo e la propria vecchia balia Dorrtya, che – ma é difficile dire se per gli eventi posteriori o per una nomea già acquisita – era ritenuta una sorta di strega o comunque d’esperta di filtri.

Costoro avrebbero avuto il compito di raccogliere, con la scusa di servigi vari per la contessa, molte giovani donne che, portate nel castello ed imprigionate, sarebbero poi divenute vittime della Bathory che, onde dissanguarle, si sarebbe valsa di un manichino armato di lame o addirittura le avrebbe appese entro una gabbia posta sulla sua vasca da bagno, sì che il sangue, dopo che erano state sgozzate, si raccogliesse in quel macabro lavacro.

Sembra tutto quanto una favola orrorifica ma la cosa strana e che conferisce veridicità a molte di queste notazioni é che il suo folle comportamento non solo divenne di pubblico dominio ma, come prevedibile, fu sottoposto ad una procedura giudiziaria che risultò causa prima della fine della donna.

E’ certo che la Bathory uccise due nobildonne (é arduo dire se anche in questo caso per soddisfare le sue magiche fantasie): é invece sicuro che l’inchiesta attivata per chiarire tale evento portò al suo castello in Slovacchia lo stesso ministro d’Ungheria conte Giorgy Thurzo (addirittura cugino della Bathory) che con raccapriccio (stando alle registrazione degli scrivani) trovò numerose donne ancora prigioniere, altre agonizzanti e addirittura i resti di 610 vittime.

Per l’efferatezza delle azioni commesse la Bathory non poté esser salvata neppure dal suo altissimo rango: venne infatti rinchiusa in una torre per i pochi anni che le rimasero da vivere e – cosa straordinaria – invecchiò precocemente morendo quasi di inedia nel 1611 a soli 51 anni con l’aspetto di una donna decrepita.

tratto da Cultura Barocca

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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