Una ragazza in ciancia

 

Guido Seborga con la moglie, Alba Galleano – Fonte: Laura Hess

Guido Seborga è attualmente oggetto di una certa rivalutazione. Buona cosa, giacché togliere la polvere dai libri e far riemergere la cultura alla vita è nostra antica ambizione, e quindi non possiamo che rallegrarci quando qualche prezioso baule viene portato giù dal soffitto, e riaperto. E poi il Seborga (pseudonimo di Guido Hess, nato a Torino nel 1909 e ivi morto nel 1990) è personaggio tutt’altro che banale. Narratore, pittore, scrittore di teatro, poeta. Aveva eletto Bordighera sua patria d’elezione, e fu attivo e creativo nel Ponente ligure. Nei suoi dipinti riaffiorano segni e memorie della Valle delle Meraviglie.
A cura di Isabella e Massimo Novelli sono stati ristampati da Spoon River L’uomo di Camporosso nel 2004 e Il figlio di Caino nel 2006. Nello stesso 2006 viene ripubblicato anche Gli innocenti, a cura di Pier Luigi Ferro, presso l’editore Marco Sabatelli e per iniziativa della Società Savonese di Storia Patria. E nuovamente da Spoon River, nuovamente a cura dei Novelli, nel 2009 riappaiono, in un unico volume, Morte d’Europa ed Ergastolo.
Ma che tipo di scrittore è, Guido Seborga? Ha uno stile trasandato, anti-letterario, vivo, ma con improvvise impennate da romanziere ottocentesco, come nelle descrizioni fisiche o nelle trame incalzanti, in cui miscela eros, melodramma, passioni – e anche quei fattacci che nel giornalismo sono definiti “cronaca nera”. Ma ha un tono asciutto, uno sguardo lucido, e leggendolo pare a volte di assistere a un filmato documentario, senza la voce fuori campo. I fatti si susseguono, concitati, impetuosi, e parlano da soli. Spesso c’è un uso deciso della lingua parlata, e comunque la prosa seborghiana è sempre diretta, netta, priva di ricami e di indugi.
Con una punteggiatura inconsueta, a volte mancante, già da scrittore sperimentale. Così, ad esempio, in Morte d’Europa, capitolo V:
Venne la sera. C’era un film da vedere, un film è un film, un film è sempre un film no?
Una realtà registrata nel suo farsi e resa visibile mediante un montaggio di scene e inquadrature di derivazione cinematografica – si veda, in Ergastolo, la sequenza dello sciopero e del blocco ferroviario.
E per rendere un’idea di questo assemblage di immagini che rende vive le migliori pagine di questo autore, e per rimanere ad Ergastolo, capitolo I, ci piace citare più lungamente adesso:
Uscirono. La mattina era fredda e grigia, spirava la tramontana, alzarono i baveri delle giubbe, camminavano svelti per non farsi troppo prendere dal freddo, su Voltri c’era una strana nebbiolina trasparente e umida. Montarono su di un autobus, lì dentro si stava più caldo. Il sole sul mare si era già un poco alzato, ma era pallido, un disco bianco, un poco rosa ai bordi. A lato della strada i casoni aumentavano, Sampierdarena era già città sporca e nera, apparvero le ciminiere della Cornigliano, fumo e polvere densa, e tanti vagoni, cisterne, rotaie tra i grandi parallelepipedi dei capannoni, e sul mare un pesante apparato di pontoni giganteschi che calavano sul fondo cassoni di cemento, gli uomini volevano anche riempire il mare, trattori e bulldozer cominciavano a riempire di rumori il giorno che nasceva senza calma. Giovanni guardava e disse: «Mio padre lavora lì dentro.»
Seborga è almeno uno che la fa, la lotta di classe, ci crede sul serio, al riscatto dei subalterni che lottano per la loro vita e la loro dignità. Le ondate migratorie dal Sud, gli scioperi dei lavoratori di Savona, le lotte dei portuali a Genova, persino le vicende della Comune di Parigi del 1871.
La sua narrativa è un bell’esempio di attenzione alla realtà contemporanea, di impegno sociale (anche se Seborga sempre rifiutò l’etichetta di neorealista – guai a chiamarlo così).
Sarebbe però riduttivo presentarlo solo sotto la veste di romanziere.
Le sue poesie piacquero a Filippo De Pisis e ad Alfonso Gatto, che ne cita tre versi in un suo articolo:
Una ragazza in ciancia
allegra di promesse
ad un balcone pieno d’aria…
Il cinema era davvero un’altra sua grande passione, vissuta, come tutto in Seborga, in modo polemico, schietto, senza mezze misure.
Era capace di profferire severi giudizi ad alta voce, nei festival cinematografici, durante le proiezioni, cose del tipo “ma che roba! queste son cose scolastiche”, e a chi lo rintuzzava, cercando di farlo tacere, chiedendogli chi fosse, poteva rispondere con voce tonante: “Io sono Seborga!”. Ce ne rimane una traccia, di tutto questo, in una pagina di Ergastolo, capitolo II: «Grazie, vengo al cinema, cosa andiamo a vedere?» «Quello che preferisci.» Presero un giornale sgualcito che era sul tavolo, cercarono gli spettacoli. «Ti piace Sofia? Ti piace la B.B.?» «No! Ma mi piace ancor meno la Lollo, fanno dei film che vanno bene per gli abbelinati.»
Altrettanta vis polemica era riservata all’industria editoriale, i Vittorini e i Pavese erano qualificati come “impiegati della cultura”.
Seborga aveva idee chiare sul mondo che lo circondava, e, come si suol dire, non faceva sconti a nessuno.
Ma era invece disponibilissimo con i giovani, capace di passare intere serate bordigotte, magari illuminate da una gran luna rossa in cielo, a chiacchierare e a dare consigli, con modi auto-ironici, fingendo stupore perché i giovani preferivano stare a parlare con lui invece di andare con qualche ragazza…
L’editore Gianni Ricelli, allora ventenne, ricorda ancora un suo insegnamento: se volete scrivere dovete prima tradurre tanto, perché la traduzione è fondamentale per poter scrivere.
E poi Seborga fu un organizzatore culturale (invita Vercors a Sanremo, per una conferenza con proiezione di centotrenta foto sul suo viaggio nella Cina popolare), un giornalista (intervistatore per Tempo, critico cinematografico per l’Avanti!), un pittore (le cui ideografie, dipinte con colori acrilici, saranno apprezzate da Umberto Mastroianni, colpito da quelle saette di “colori ingemmati, arcobaleni spenti e lacrime tristi, ossidate forme misteriose”).
Intesse relazioni straordinarie. A Parigi conosce i surrealisti. Sia a Torino che a Bordighera frequenta Oscar Navarro ed Edoardo Sanguineti, e quest’ultimo rivelerà poi di essere debitore a Seborga di alcune cose, fra cui la conoscenza in lingua originale delle opere di Antonin Artaud.
Scrive ad Ezra Pound, che gli risponde nel suo fantastico italiano: quanto alla Sua (VOStra) poesia, siete capace di subire una disciplina per un anno, senza domandare perché io ho scelto questa disciplina piutosto qu’un’altra?

Pietro Nenni e Guido Seborga – Fonte: Laura Hess

Scrive a Pietro Nenni, a cui era legato da amicizia, e abbiamo due lettere del 1973 che sono veri e propri proclami politici (“l’URSS non ha una magistratura marxista, ma una dittatura che va verso il popolo invece di realizzare il socialismo con il popolo attraverso il popolo”, “i giovanissimi sono in stato di confusione e non sanno / più in cosa credere / spesso solo in azioni pragmatiste rivoltose / che spesso scambiano per rivoluzione”, “L’esperienza cinese che si accontenta per ora della più elementare tecnica per dare da mangiare agli affamati non può corrispondere all’Europa”).
Ora, per chi volesse saperne di più sulla sua multiforme attività, ancora da Spoon River, 2009, è
uscito Guido Seborga. Scritti, immagini, lettere, a cura di Laura Hess e Massimo Novelli, un’antologia degli epistolari e dei documenti (fotografie, tessere, locandine…).
Un tuffo nella vivacità di un’epoca e nel mondo di un autore che – e non è l’ultimo dei suoi meriti – accomodante con la sua epoca non lo fu mai.
GUIDO SEBORGA: Morte d’Europa / Ergastolo, a cura di Massimo e Isabella Novelli, Spoon River, Torino 2009
LAURA HESS E MASSIMO NOVELLI (a cura di): Guido Seborga. Scritti, immagini, lettere, Spoon River, Torino 2009

Marco Innocenti in IL REGESTO (Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo), Sanremo (IM), anno II, n° 4 (8), ottobre-dicembre 2011

[ tra gli altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Mellophonium; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter (#3. 54 pezzi dispersi e dispersivi), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 – 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, Philobiblon, 2012; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2008; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006 ]

Mentre le forme già attestate nella tradizione letteraria si trovano quasi tutte in ‘Camporosso’, le formazioni più singolari si trovano nella zona tra ‘Gli innocenti’ ed ‘Ergastolo’; sembra che Seborga abbia acquistato un’inventiva lessicale solo in corso d’opera.
Come conclusione provvisoria, e ripetendo ancora una volta che stiamo parlando di voci a bassa (o bassissima) frequenza, potremmo dire che Seborga ha un abbrivio lessicale piuttosto tradizionale, ancora nel solco della prosa d’arte o comunque vicino a un orizzonte lirico, con l’impiego di aulicismi e formazioni letterarie. Dopo ‘Camporosso’, si distanzia dalla tradizione per usare più di frequente forestierismi, regionalismi, voci concrete, quotidiane, e concedersi anche qualche neoformazione. Il romanzo più vicino alla creolizzazione linguistica di tipo neorealista è senza dubbio ‘Ergastolo’.
Andrea Tullio Canobbio, La lingua nei romanzi di Seborga, relazione al Convegno di Studi “Guido Seborga, cento anni dopo“, Bordighera, 10 ottobre 2009 in Academia.edu

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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