Con L’odore del sangue Goffredo Parise introduce un nuovo tipo di terrorista

Scritto al termine del travagliato decennio iniziato nel Sessantotto, L’odore del sangue può essere considerato una forma di romanzo pedagogico mancato, o meglio, un romanzo antipedagogico <277 nel quale i figli sono sostituiti da amanti con risultati fallimentari.
Al suo interno c’è un episodio che affronta esplicitamente il tema pedagogico che abbiamo visto al centro delle preoccupazioni di Parise nel corso degli anni Settanta. Si tratta dell’episodio in cui Filippo e Silvia invitano a cena una coppia di amici, Grazia e Giorgio coi tre figli, «una famiglia perfetta» nella quale «Grazia, la madre, faceva un po’ la parte del capofamiglia, nel senso strettamente borghese e pedagogico del termine, e Giorgio il capotribù» <278. Quest’ultimo, infatti, costituisce «quel particolare tipo di padre […] che intrattiene coi figli i soli e veri rapporti che i figli chiedono: appunto la carnalità. Li baciava, li stuzzicava, giocava a pallone, ingaggiava lotte e pugni, si contorceva sul pavimento insieme a loro, in poche parole faceva la parte che nel regno delle scimmie ha il capotribù». Un situazione che non può non ricordare il racconto Paternità visto precedentemente. Anche qui, infatti, abbiamo un padre primario e “maternizzato”, che invece di educare i figli preferisce instaurare un rapporto basato esclusivamente sulla fisicità; infatti, alle proteste del figlio più grande, Stefano, contro lo studio di Dante definito «un grande stronzo», il padre rimarrà in silenzio. Nell’economia narrativa del romanzo questo episodio serve a far capire meglio a Filippo la natura dell’infatuazione della moglie. Silvia infatti guardava Giorgio e Stefano in un atteggiamento “rapito”: “Ebbi l’impressione che li sentisse uno marito e l’altro figlio suoi. La felicità, il rapimento, quasi vorrei dire l’estasi erano però per Stefano. Non soltanto lo guardava, ma se lo guardava, la mia impressione fu che se lo coccolava, se lo carezzava, se lo leccava con gli occhi e con le labbra.[…] …non durò molto, ma neppure poco, qualche minuto ma mi bastò, anche in questo caso, per stabilire delle analogie: Silvia ritrovava in Stefano, nei movimenti e nella irruenza e prepotenza e nella se così posso dire verginità adolescenziale eppure già prepotentemente maschile di Stefano altri movimenti, altra irruenza, e verginità: quella del suo sconosciuto ragazzo”. <279
Silvia è attratta dall’irruenza, dalla prepotenza, dall’energia (parola chiave per Parise) del «mondo delle nuove generazioni» che ai suoi occhi appare «così nuovo, così diverso, anche se sgangherato, ma infinitamente più vitale e potente» <280. Raffigurato nei panni di un ragazzo «che fa l’alba tutte le notti, che non ha la più lontana idea di lavorare e va in palestra e beve Coca Cola», il suo amante è un membro della nuova gioventù nevrotica e omologata dalla società dei consumi. La sua ideologia ha ben poco da spartire con il fascismo storico essendo invece espressione di quel «nuovo fascismo senza storia» di cui andava scrivendo Pasolini negli ultimi mesi della sua vita, e che designa, non tanto una presunta costante del carattere italiano, quanto l’emergere di una nuova cultura e di una nuova generazione che fa completamente tabula rasa del passato: il prodotto insomma di una vera e propria involuzione del ’68. E’ la stessa Silvia infatti a osservare che il suo ragazzo ed i suoi amici «teorizzano il rifiuto dei consumi, il rifiuto della politica, di tutta la società in blocco». «Bèh – osserva Filippo – questo l’avevano già fatto nel ’68». «Ma questi – risponde Silvia – sono tipi diversi. certamente vengono di lì e la cosa è cominciata lì, ma ha preso tutte le strade possibili e questa è una» <281.
Si tratta dello stesso tipo di ragazzi che quattro anni prima avevano ucciso Pasolini e stuprato le ragazze del Circeo <282.
[…] “Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi da dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto (che aiuto?) o può precedere una coltellata. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. Non sanno bene qual è la distanza tra causa ed effetto. Sono regrediti […] ad una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici”. <285
In questo testo Pasolini ritrae, in termini vagamente lombrosiani, i tratti del giovane criminale ed estremista definendo un modello iconografico che si ritrova anche in alcuni film come, ad esempio, Caro papà (1979) di Dino Risi o La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci <286.
Come i «giovani infelici» pasoliniani, anche l’amante di Silvia è afasico: egli infatti «non pronuncia una sola battuta in modo diretto» <287 e il suo nome proprio, Ugo, occorre una volta sola nel testo. La sua individualità è stata completamente cancellata dall’omologazione consumistica.
Quello che mi pare degno di rilievo a questo punto è la riproposizione all’interno dell’Odore del sangue del tema dell’assenza del padre, che abbiamo riscontrato nei romanzi analizzati nel precedente capitolo. Rappresentando due genitori mancati che sostituiscono i figli con degli amanti, Parise riconduce la degenerazione dei figli all’assenza di figure paterne valide. Nel romanzo Filippo e Silvia affermano più volte di considerare i loro rispettivi amanti come dei figli. Filippo, ad esempio, si accorge di provare per la sua amante «il sentimento […] di un padre»:
“Un sentimento innanzitutto pedagogico: il desiderio di insegnarle qualche cosa. Errore enorme che la cosidetta generazione dei padri ha compiuto e sta compiendo dal 1968 ad oggi. Nulla si può insegnare che non sia la loro propria esperienza ad insegnarlo. La pedagogia è irreale e, in pratica, impossibile” <288.
Quest’ultima affermazione – che per inciso ricorda quella già citata del signor Palomar: «non abbiamo niente da insegnare» – suona come epitaffio dell’avventura pedagogica intrapresa dallo scrittore con la sua rubrica sul “Corriere della sera” e va dunque confrontata con quanto Parise scriveva ancora pochi anni prima, nell’ottobre 1974:
“Credo profondamente e dolorosamente nella democrazia in Italia, cioè nel grado di maturazione di tutti i cittadini per un discorso pubblico […]. E credo nella pedagogia insieme alla democrazia, perché non è possibile l’una senza l’altra. Alla democrazia in Italia credo con la ragione, per carattere e per nascita. Alla pedagogia in Italia credo con il cuore”. <289
Come Pasolini e Calvino, Parise si rende conto che la frattura generazionale della fine degli Sessanta ha reso impossibile il dialogo intergenerazionale. Parlando di Paloma, Filippo osserva infatti che «una volta fatto all’amore non avevamo quasi nulla dirci. Non avevamo interessi comuni, comuni argomenti di conservazione, linguaggio comune, società comune, nulla» <290.
Filippo è dunque una figura maschile incapace di assurgere al ruolo paterno. Il suo è un carattere «solitario e selvatico» <291: una coppia di aggettivi che qualificava già Piero, il padre del racconto Paternità citato prima. Filippo è un maschio che fugge dal nido familiare. La sua casa di campagna – «più […] un rifugio che […] una casa» <292 – rappresenta il cronotopo del paradiso edenico situato fuori dalla civiltà e la storia:
“Alle volte, specie durante l’inverno, quando la mia casa era immersa nella nebbia o nell’umidore della pioggia, quando, verso le quattro del pomeriggio, cominciava a calare la notte, mi sentivo quasi impazzire. Aspettavo che alle sei, sei e mezzo, arrivasse la ragazza, almeno una persona vivente, qualcuno. Durante un intero inverno vidi soltanto un pastore alla porta: mi chiese un coltello per sgozzare una pecora. […] Mi pareva che la casa, che è piccola, puzzasse di vecchiaia, di asilo per vecchi. E non riuscivo a dormire. La notte, immersa nelle tenebre, era fatta degli sgocciolii dell’umidità. Niente altro”. <293
Paloma, la ragazza con «la pelle del colore e dell’odore del latte», «era – osserva Filippo – il frutto del luogo, tale e quale il bosco e la casupola che abitavo, con lo stesso mistero ma reale, sessuale e non magico. […] Sembrava un piccolo e grazioso animale selvatico, un porcospino» <294. Vito Santoro ha inoltre osservato che l’atteggiamento di Filippo rispetto alla misteriosa relazione extraconiugale della moglie è simile a quella di «un bambino che cerca di acquisire un sapere» <295 e, del resto, se l’amore di Silvia nei suoi confronti è di tipo materno, la sua posizione resta bloccata a quella del figlio.
Alla luce di questo originario deficit del genere maschile, si capisce l’«allucinato transfert» <296 con cui Filippo si autoaccusa della morte di Silvia: «Non si seppe chi aveva ucciso Silvia e io sapevo però che il vero mandante ero io stesso» <297. Evidentemente, nell’Odore del sangue il ruolo di anello debole della catena sociale viene attribuito all’uomo, non alla donna, benché sia quest’ultima a lasciarsi sedurre dal fascino del terrorismo. Secondo Filippo, infatti, Silvia è esponente di quella borghesia romana apolitica e accondiscendente verso tutti gli estremismi, capace, pur di rincorrere le mode, di «accettare come naturale perfino il superomismo fascista, il nichilismo da quattro soldi» e, infine, «le frange del terrorismo di destra» <298.
Un’immagine erotica degli anni Settanta.
Nell’Odore del sangue la rappresentazione dell’erotismo è notevolmente esplicita, nonostante essa sia prevalentemente riportata dai racconti di Silvia o frutto dell’immaginazione di Filippo.
Nella scena-madre del romanzo – la visione di Silvia che pratica una fellatio al suo giovane amante – Filippo si concentra in modo ossessivo sulla «strana forma» «a scimitarra» del membro del ragazzo «con la sua grossa testa violacea che ricordava quella di un cobra» <299. Rappresentato in termini visionari e allo stesso tempo realistici attraverso l’uso della “zoomata”, il membro del ragazzo diventa figura della penetrazione distruttiva del terrorismo nella società italiana. Gianluigi Simonetti ha osservato che nell’Odore del sangue l’eros allude metaforicamente all’«energia eversiva della generazione dei giovani, che irrompe nella storia e nella cronaca post-sessantottina sfidando non solo il principio di autorità, ma anche il pudore e il Superego della borghesia adulta» <300. Che il terrorista sia di destra poco importa: per Parise la nuova generazione e la nuova cultura di cui è portatrice non sono per definizione né di destra né di sinistra. In tanti suoi articoli e interviste Parise aveva già letto e interpretato in chiave erotica, o per così dire psicosessuale, anche la violenza politica di sinistra arrivando ad affermare in modo apparentemente paradossale che «anche le brigate rosse sono sesso» <301. Termini che vanno ovviamente decriptati: l’eros non è solo istinto vitale e tensione verso la procreazione, ma anche darwinianamente violenza, aggressività e morte: «Non capivo come mai – spiega Filippo – l’erotismo, che è il segno della vita, si accoppiava sempre di più ad immagini di morte» <302. In particolare egli si accorge che «per essere appagata nell’amore Silvia doveva addirittura arrivare alle soglie della morte» <303.
All’energia erotica delle nuove generazioni corrisponde l’impotenza delle vecchie.
[…] Se, come si è visto, Moravia assume con La vita interiore la postura dell’intellettuale che dice e racconta la verità, Parise sceglie la via indiretta dell’allusione. Allo stesso tempo l’amante di Silvia è un personaggio ben più credibile dei “demoni” moraviani. Il suo immaginario così come la sua sessualità sono propriamente fascisti.
[…] Persino il suo mutismo cela un dato ideologico: se i gruppi estremisti di sinistra si sono caratterizzati per un’estrema loquacità, quelli di destra hanno sempre agito nel silenzio preferendo esprimersi attraverso un’estetica del gesto clamoroso. Antonello e O’Leary hanno giustamente osservato che «secrecy, silence, esoteric mystical knowledge attached to the power of action, became the effective trademark of extreme right-wing rhetoric and propaganda» <308.
Parise è certamente debitore della lezione di Eros e Priapo (1967), il pamphlet in cui Gadda aveva abbozzato una lettura psicanalitica del fascismo e dell’attrazione erotica esercitata dalla figura del duce; un tema tornato di attualità negli anni Settanta grazie al Sipario ducale (1975) di Paolo Volponi (ambientato peraltro nei giorni successivi alla strage di Piazza Fontana) ma soprattutto all’opera-testamento di Pier Paolo Pasolini, il film Salò o le centoventi giornate di Sodoma (1975). Il sadismo del giovane fascista dell’Odore del sangue e quello dei quattro gerarchi protagonisti della pellicola pasoliniana hanno parecchi punti in comune: in primo luogo, la predilezione per rapporti sterili (il primo preferisce i rapporti orali mentre i secondi quelli di tipo anale) e il ricorso allo stupro di gruppo, caratteri che definiscono un erotismo prettamente fascista, all’interno del quale la donna svolge il ruolo di mero oggetto da sottomettere e il piacere consiste nella contemplazione voyeuristica del compagno, un erotismo quindi che esprime un’inconscia propensione omosessuale <309.
[NOTE]
277 Formulo questa categoria ricalcando in parte quella introdotta da Vittorio Spinazzola di romanzo antistorico: cfr. V. Spinazzola, Il romanzo antistorico, Editori Riuniti, Roma 1990.
278 Ods, p. 47.
279 Ivi, p. 50.
280 Ivi, p. 60.
281 Ivi, p. 176.
282 Per il dibattito tra Calvino, Fortini e Pasolini in merito al delitto del Circeo cfr. R. Luperini, Fortini fra Calvino e Pasolini. I giovani, la memoria, l’oblio, in Id., La fine del postmoderno, Guida, Napoli 2005. Questo fatto di cronaca ha ispirato alcuni film come I ragazzi della Roma violenta (1976) di Renato Savino e I violenti di Roma bene (1976) di S. Grieco e M. Felisatti.
285 P. P. Pasolini, I giovani infelici, in Id., Lettere luterane, cit., p. 8-9.
286 Bertolucci mette in bocca al protagonista del suo film, interpretato da Ugo Tognazzi, parole quasi identiche a quelle di Pasolini: «i figli che ci circondano sono dei mostri, non sono più capaci di sorridere, hanno sguardi vuoti, non sono più capaci di parlare, dal loro silenzio non capisci più se ti chiedono aiuto o ti vogliono sparare».
287 M. Belpoliti, Settanta, cit., p. 243.
288 Ods, p. 115.
289 G. Parise, “Vivere la vita dell’Italia dei più”, in Id., Verba volant, cit., p. 125.
290 Ods, p. 30.
291 Ivi, p. 14.
292 Ivi, p. 154.
293 Ivi, p. 31.
294 Ivi, p. 156.
295 Ivi, p. 533.
296 V. Santoro, L’autopsia di un’ossessione: L’odore del sangue di Goffredo Parise, in «Critica letteraria», n. 3, 2008, p. 535.
297 Ods, p. 230.
298 Ivi, p. 178.
299 Ivi, p. 55.
300 G. Simonetti, Gli uomini che guardano, cit., p. 55.
301 Citazione tratta da M. Belpoliti, Settanta, cit., p. 98.
302 Ods, p. 189.
303 Ivi, p. 214.
308 P. Antonello – A. O’Leary, Introduction a AA.VV., Imagining Terrorism, cit., p. 2. Secondo Cesare Garboli, la connotazione fascista del giovane amante di Silvia altro non è che una forma di razionalizzazione da parte del narratore-protagonista atta a «contenere» e a «circoscrivere la potenza del fallo antagonista». Al curatore dell’edizione dell’Odore del sangue ha risposto Matteo Giancotti osservando giustamente che «la connotazione fascista non serve a contenere il dolore, ma ad esasperarlo, a renderlo più terribile e minaccioso, più irrazionale e inspiegabile» (M. Giancotti, Fascismo, fascino, tentazioni di un reporter: «L’odore del sangue» di Parise, cit.). La svalutazione di tale dato sociologico rischia, in effetti, di consegnarci un’immagine parziale di questo romanzo la cui grandezza consiste nell’aver sviluppato a partire da un triangolo sentimentale moglie-marito-amante un’indagine sul clima politico e sociale dell’Italia degli anni Settanta. Nel suo contributo esegetico al romanzo, Giancotti vi rintraccia inoltre i segni della «“tentazione giornalistica” di Parise: l’idea di sfruttare il viaggio di Silvia negli abissi della nuova, pericolosa e indecifrabile gioventù per capire, sapere, conoscere il mondo contemporaneo e le sue mutazioni»: un’indagine effettuata, dunque, sul corpo della donna che diviene un’allegoria del corpo politico del Paese.
309 Come scrive Zoja lo stupro di gruppo è «una manifestazione trasgressiva non tanto di un eros eterosessuale, quanto di quello omosessuale del branco eccitato che si congiunge nella vittima» (L. Zoja, Il gesto di Ettore, cit., p. 251).
Gabriele Vitello, Terrorismo e conflitto generazionale nel romanzo italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno accademico 2010-2011

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.