Vittorini autore reale decide di portare avanti la lotta con altri mezzi: scrivendo

Se fino alla metà degli anni ‘30 l’impegno politico e morale era filtrato dalle lettere e rimaneva su un piano teorico, con Uomini e No Vittorini inizia a far proprio un concetto d’impegno che agisca in maniera più diretta sulla realtà e sulla storia. L’attenzione per l’attualità, per il presente che vive, viene suggerita costantemente: «Il tempo che mi interessa è quello in cui vivo», <308 dichiara in un’intervista, mostrando chiaro il suo incessante interesse per una letteratura che non fosse mai avulsa dalla realtà. La lotta resistenziale, vissuta in prima persona, accentuerà notevolmente tale impegno, ponendo l’offesa all’umanità al centro dei suoi scritti.
L’idea iniziale di un romanzo sulla Resistenza può essere individuata in un racconto scritto da Vittorini nel dicembre del 1943 dal titolo Tra i partigiani: il ragazzo del ’25. Pubblicato anonimamente sul n.1 del «Bollettino del Fronte della Gioventù» il 5 gennaio del 1944, racconta di un giovane partigiano, Natale, spinto da quella medesima urgenza di uccidere per riscattare le offese di un popolo che ritroveremo nella storia di Enne 2. <309
Vittorini scrisse Uomini e no tra la primavera e l’autunno del 1944 mentre viveva in clandestinità per il suo impegno nella Resistenza, ricercato dalla polizia tedesca per aver partecipato all’organizzazione di uno sciopero generale nel marzo di quello stesso anno a Firenze.
Alcuni estratti del romanzo compaiono per la prima volta sulle pagine dell’«Unità» il 13 maggio 1945; nel giugno dello stesso anno, presso l’editore Bompiani, viene stampata la prima edizione dell’opera. Uomini e no nella sua prima stesura prevedeva 143 capitoli di cui 114 in tondo e 29 in corsivo più una Nota conclusiva soppressa nelle edizioni successive al 1949. <310
L’edizione del 1966, pur reintegrando gran parte delle sezioni in corsivo e restituendo pressoché la struttura originaria di Uomini e no, prevede tuttavia l’esclusione di sette capitoli in corsivo in cui viene affrontata la questione della funzione dello scrittore come “spettro” dei propri personaggi e dove si espongono delle riflessioni sulla vera natura degli uomini.
Vittorini dimostra un rapporto sicuramente difficile con il suo romanzo che, ancora nella Prefazione all’edizione del 1948 de Il garofano rosso, definisce come un libro scritto «nella stessa condizione d’impegno premeditato» del Garofano e con lo stesso «non piacere». <311
La difficile gestazione del romanzo segna profondamente l’autore che più volte ricorda quel periodo con parole dure; in una lettera datata 9 giugno 1950, si rivolge al romanzo come «il meno valido e il più funzionale» <312 dei suoi libri, nonché, in una delle sue riflessioni sulla letteratura raccolte nel libro postumo Le due tensioni, come «un’integrazione frammentaria di Conversazione in Sicilia». <313
Proprio in Conversazione è possibile individuare alcune suggestioni che ritorneranno in Uomini e no. Quegli “astratti furori” che agitavano Silvestro si fanno ora più materiali, se ne scopre la loro origine e si tenta di affrontarli. Scompare la Sicilia arcaica e desolata, in bilico tra realtà e sogno e ci si immerge in una Milano disegnata con esattezza topografica e travagliata dalla guerra. Il mondo degli offesi, solo suggerito in Conversazione, il dramma della guerra raccontato dal fantasma di Liborio, fratello di Silvestro, diventa concreto in Uomini e no e i furori, prima astratti, ora sono realtà tangibile e violenta. Come nota Salinari nel suo saggio Preludio e fine del realismo in Italia, la «quiete nella non speranza» <314 espressa in Conversazione trova, in Uomini e no, il suo rimedio nel combattere e perdersi. <315
Uomini e No si pone, dunque, in un processo di graduale acquisizione di un sempre maggiore impegno nei confronti della situazione socio-politica vissuta. Qui Vittorini cerca di spostare l’accento da una narrazione metaforica e surreale, quella stessa narrazione che aveva caratterizzato Conversazione in Sicilia, verso un racconto immerso pienamente nella realtà. Il romanzo è condotto in terza persona e i fatti si susseguono in maniera regolare, in un arco temporale relativamente breve, con precise indicazioni orarie. I capitoli in tondo ci forniscono le indicazioni per seguire lo svolgersi della narrazione che è scandita con estrema precisione da molteplici indicazioni di tempo. <316
In un romanzo che fa dell’esperienza resistenziale, vissuta in prima persona dallo scrittore, il perno attorno al quale far ruotare la vicenda, l’unica concessione all’ambiguità spazio-temporale è costituita dagli interventi in corsivo che spezzano il flusso della narrazione. Qui il realismo cui si tende è interrotto dalle incursioni dell’autore che entra nel testo a confondere i confini tra dimensione onirica e storica.
[NOTE]
308 Per approfondimenti si rimanda a C. Mangini, Incontro con Elio Vittorini, in «Il Punto», 10 agosto 1957, p. 16.
309 Il racconto fu ripubblicato da Vittorini sulle pagine de «L’Unità» il 25 aprile 1964, eliminando dal titolo la frase Tra i partigiani. Rimasto poi per lungo tempo inedito, è stato ripubblicato di recente da Marina Zancan (Un racconto disperso di Elio Vittorini, in «La rassegna della letteratura italiana», n.2, maggio-agosto 1973), e ora è presente in E. Vittorini, Racconti, Milano, Mondadori, 1996, vol. 2, p. 829.
310 I capitoli in corsivo presenti nelle prime due edizioni (giugno e ottobre 1945), che constavano di 143 capitoli, vengono quasi eliminati nella terza edizione (1949), che risulta mutilata di 26 capitoli. Nell’ultima edizione riveduta da Vittorini (Milano, Mondadori, 1966), l’autore reinserirà una serie di corsivi e il testo si riavvicinerà, con 136 capitoli, alla misura originaria. La Nota firmata da Vittorini, invece, verrà eliminata nella terza edizione e mai più integrata.
311 E. Vittorini, Prefazione, in E. Vittorini, Il garofano rosso, Milano, Mondadori, 1989, p. 205.
312 E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico». Lettere 1945-1951, Torino, Einaudi, 1977, p. 322 (lettera indirizzata alla Commissione italiana per il premio Internazionale della Pace, sezione letteratura).
313 E. Vittorini, Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura, a cura di Dante Isella, Milano, Il Saggiatore, 1967, p. 67. In questa sua riflessione su Conversazione in Sicilia, a proposito delle parti di Uomini e no che a suo dire integrano seppure in modo frammentario il primo romanzo, egli parla di episodi del secondo «in cui umili e potenti finalmente si parlano da pari».
314 E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Milano, Rizzoli, 2008, p. 131.
315 C. Salinari, Preludio e fine del realismo in Italia, Napoli, Morano, 1967, p. 155.
316 La precisione nell’ordinamento temporale della narrazione è una caratteristica ricorrente nei romanzi d’azione e soprattutto negli scritti della rivoluzione, guerra e resistenza, da Per chi suona la campana di Hemingway alla Condizione umana di André Malraux, opere lette e amate dallo stesso Vittorini.
Caterina Francesca Giordano, Elio Vittorini: letteratura, critica e società, Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, 2014

Nel periodo compreso tra la stesura delle note introduttive per l’antologia Americana e gli articoli del 1945 apparsi prima, occasionalmente, su «L’Unità» e poi su «Il Politecnico», <259 l’unico spazio in cui Vittorini dà voce a riflessioni sulla scrittura è quello dei corsivi di Uomini e no dedicati alla “poetica della partecipazione”. Questa poetica, tutta interna al romanzo, resta, da un lato, direttamente funzionale all’interpretazione della narrazione stessa come si è visto nella prima parte di questa ricerca -, da cui non può quindi essere separata; dall’altro, testimonia in che modo l’autore abbia riflettuto sul senso e il valore della letteratura di fronte alla guerra e al male. Proporre una scrittura che fondi il campo del proprio dicibile su ciò che è moralmente partecipabile, limitandosi a parlare del male da un punto di vista esterno, nei suoi effetti, descrivendo le azioni di chi lo attua, produce però un’ulteriore conseguenza: una poetica di questo tipo ritaglia una comunità di lettori che partecipa, appunto, della stessa posizione che assume l’autore di fronte ai fatti. Il testo della princeps di Uomini e no, dunque, propone una precisa ipotesi di pubblico di riferimento, la cui origine è da individuarsi nel particolare contesto sociale del periodo in cui sorge.
Un primo elemento da sottolineare è come ci si trovasse allora per la prima volta «di fronte all’“ingresso delle ‘masse’ nella storia”»: <260
“Resistenza e antifascismo […] sembravano aver creato una dimensione culturale nuova, uno spazio di azione per la cultura, mai precedentemente neanche sperati, attraverso la promozione a pubblico (almeno potenziale o sperata) di una massa sociale quasi completamente vergine, con la quale il rapporto linguistico non poteva più essere intrattenuto nei modi tradizionali”. <261
La questione di un nuovo pubblico a cui rivolgere il discorso letterario mette in crisi soprattutto quei letterati che avevano maturato un loro linguaggio e un loro stile in un contesto radicalmente diverso. <262 Per questi autori il periodo a ridosso della fine del secondo conflitto mondiale è un momento di passaggio delicato e la ricerca sulle proprie forme di scrittura risente di numerose spinte extraletterarie con una carica prima sconosciuta: benché Vittorini abbia sempre dichiarato come la sua progettazione letteraria abbia sempre risentito dei cambiamenti e dei movimenti della storia, egli stesso percepisce come la situazione politica e sociale che si è prodotta con la Resistenza non abbia precedenti. L’eccezionalità del momento è un dato ormai assodato e la sua descrizione più celebre è quella proposta da Calvino nella prefazione alla nuova edizione del Sentiero dei nidi di ragno del 1964:
“L’essere usciti da un’esperienza – guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, […] ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente smania di raccontare”. <263
[…] Uomini e no, nella sua prima stesura del 1945, tenta, dunque, l’arduo compito di dialogare con entrambi i pubblici all’interno dello stesso testo, e questo proposito è uno dei primi motivi di quell’incomprensione subita dal libro fin dai primi mesi successivi alla sua pubblicazione. Se Conversazione in Sicilia aveva come primo pubblico di riferimento gli intellettuali o in ogni caso il pubblico colto (soprattutto se si pensa al fatto che venne inizialmente edito su «Letteratura»), Uomini e no è il libro sorto dalla Resistenza, da un clima storico, politico e sociale in cui una vicinanza tra ceti colti o comunque tra studenti o professionisti della cultura e ceti bassi, lavoratori delle fabbriche, operai, contadini, era stata reale e indispensabile perché la lotta partigiana si costituisse e operasse. Vittorini insiste molto e a lungo nel dichiarare come il romanzo sia stato scritto nel suo periodo di clandestinità, in una pausa forzata della lotta, ed è evidente come tutto ciò abbia avuto come effetto quello di modificare l’orizzonte di ricezione nel quale l’autore voleva che il suo nuovo testo si inserisse.
Un articolo apparso su «L’Unità» pochi giorni prima che Vittorini ricevesse le bozze in colonna del romanzo conferma pienamente qual è il nuovo pubblico a cui lo scrittore intende rivolgersi. Premessa alla sua definizione sono alcune affermazioni che anticipano – in modo forse schematico e rigido, meno argomentato, ma coerente sul piano assiologico – quanto sarà espresso poi nella Lettera a Togliatti due anni più tardi; è la constatazione di come sia necessaria una «lotta culturale», per impedire che una falsa cultura antifascista, fondamentalmente reazionaria diventi egemone; per impedire, ancora, che gli uomini di cultura si chiudano in «un dramma che è soltanto loro o di una parte soltanto della società italiana, e non di tutto il popolo»; <268 per impedire, insomma, che la cultura perda il contatto diretto con «il cuore stesso di ogni cosa che sia vita». <269
“Ma a chi tocca combattere per questa lotta culturale? Io credo che impostarla sul piano stesso della lotta politica sarebbe estremamente pericoloso. […] Difficilmente i partiti politici saprebbero anteporre l’interesse culturale all’interesse politico di partito. Facilmente essi designerebbero uomini che sarebbero certo degli antifascisti provati, ma che, sul piano culturale, potrebbero essere dei reazionari o degli incapaci”. <270
E prosegue:
“La lotta culturale si ridurrebbe a un controllo dei partiti sulla cultura, e, implicitamente, a un tentativo di utilizzazione degli uomini di cultura non meno sterile e superficiale di quello fascista. Cioè: gli uomini di cultura non uscirebbero dal loro isolamento, e la separazione attuale tra cultura e vita non si colmerebbe, anzi diverrebbe più disperata e drammatica”. <271
Per Vittorini agli uomini di cultura è data una grande responsabilità nella costruzione della nuova coscienza civile dell’Italia appena uscita dalla guerra, responsabilità che deve esercitarsi sia per impedire il risorgere di una cultura reazionaria, sia per «superare il dramma che è in loro, per capire la grande felicità che è nel popolo, alla base della vita, e rendersi partecipi». <272 Questi punti sono ribaditi poco oltre e meglio specificati:
“Gli uomini della cultura hanno tre compiti dinanzi a loro. Uno è quello di impedire la formazione di una cultura reazionaria. Gli altri due, positivi entrambi, sono: immedesimarsi nella vita del popolo, e dare tutti i mezzi possibili di conoscenza a tutto il popolo”. <273
Queste affermazioni preludono a quelle che qualche mese dopo appariranno, meglio argomentate, sui primi numeri di «Politecnico», ma, per quel che riguarda il discorso che si sta qui conducendo, conta rilevare come fosse questa la posizione del Vittorini che stava portando alle stampe Uomini e no.
Il «dramma» degli intellettuali sembra rimandare direttamente alla scissione tra la voce narrante dell’io scrittore e il protagonista Enne 2. Affermazioni scritte su «Politecnico», quasi un anno dopo, aiutano a fare chiarezza su questo punto, centrale e delicato della crisi dell’intellettuale. Vittorini infatti afferma che di fronte alla guerra – il riferimento è, in questo caso, alla guerra di Spagna, la quale ha però valore paradigmatico – <274 «gli intellettuali mostrarono che cosa fossero (se chierici d’accademia o apostoli di una verità rinnovatrice) scegliendo di riconoscere, come fece il vecchio Unamuño, le ragioni reazionarie, o, come il poeta Lorca, di essere fucilati». <275
Considerando la vicenda di Uomini e no alla luce di queste affermazioni alcune considerazioni possono essere fatte: all’interno del romanzo ci sono due modi di essere intellettuale, quello di Enne 2 (e del Gracco) e quello della voce narrante. Non ci sono intellettuali che accettano di allinearsi alla reazione ma intellettuali che combattono, ognuno con le armi che ha scelto: l’io non ha sostituito la penna con la pistola, mentre Enne 2 (con il Gracco) ha scelto la direzione della lotta armata. In questo modo Vittorini sta legittimando e proponendo due possibili strade ed è sintomatico che Enne 2 decida di accettare di morire proprio quando avrebbe dovuto nascondersi a causa del fatto che era stato riconosciuto: il protagonista del romanzo resta con in mano le sue armi e muore, uccidendo un nemico; l’io scrittore, come lo stesso Vittorini autore reale – in questo senso può essere legittimata una sovrapposizione autobiografica – decide di portare avanti la lotta con altri mezzi: scrivendo.
[NOTE]
259 Tra il 1943 e il 1944 Vittorini pubblica alcuni scritti su varie testate della stampa clandestina, ma si tratta di racconti o di interventi di militanza politica.
260 FALASCHI, Realtà e retorica, cit., p. 5. E ancora: «rilievo centrale […] ebbe il desiderio di intrecciare un dialogo non elusivo col pubblico di massa attraverso un immediato recupero della dimensione narrativa» (CLAUDIO MILANINI, Introduzione a Neorealismo. Poetiche e polemiche, cit., p. 13).
261 ASOR ROSA, Il neorealismo, in La cultura, in Storia d’Italia. Dall’Unità a oggi, cit., p. 1607.
262 «Scrittori come Pavese, o Vittorini, o Bilenchi, si erano ritrovati in un mondo del tutto diverso da quello della propria giovinezza, un mondo certo sperato ma comunque tale che richiedeva che essi chiarissero le proprie idee.» (FALASCHI, Realtà e retorica, cit., p. 36).
263 CALVINO, Prefazione 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, cit., pp. 1185-1186.
268 ELIO VITTORINI, Lotta culturale e lotta politica, «L’Unità», edizione dell’Italia settentrionale, 12 maggio 1945, p. 1; ora in VITTORINI, Articolo e interventi 1938-1965, pp. 207-208. La citazione a p. 207. Si segnala rapidamente come tra questo articolo e i precedenti scritti “americani” sono solo cinque gli interventi presenti nella raccolta curata da Raffaella Rodondi: i primi tre, del 1942, sono la celebre Notizia per avvertenza, introduzione a Michele Amari, I musulmani in Sicilia, che Vittorini ha curato per la collezione «Corona» nel 1942; l’introduzione a Nozze di sangue di Federico García Lorca, sempre per «Corona» e un’altra brevissima prefazione a un volumetto di Mario Monti, Il mare chiama. Le altre due pubblicazioni sono del 1943 e del 1945: Tedeschi e fascisti complottano contro il nostro paese, «l’Unità», n. 15, 7 settembre 1943; Eugenio Curiel, «l’Unità», edizione dell’Italia settentrionale, a. XXII, n. 6, 9 aprile 1945. Questo semplice dato testimonia da sé il radicale cambiamento che gli anni di guerra hanno portato nell’attività di Vittorini, con la partecipazione alla lotta partigiana e la temporanea sospensione dei suoi abituali incarichi professionali (cfr. le note di Raffaelle Rodondi a Tedeschi e fascisti complottano contro il nostro paese, cit., pp. 199-201). Per ricostruire il percorso di Vittorini durante i primi mesi della partecipazione attiva alla Resistenza sono inoltre fondamentali le lettere contenute nella raccolta VITTORINI, I libri, la città, il mondo. Lettere 1933-1943, cit.
269 VITTORINI, Lotta culturale e lotta politica, cit., p. 207.
270 Ivi, pp. 207-208.
271 Ivi, p. 208.
272 Ibidem.
273 Ibidem.
274 «la Spagna, principio e simbolo della rottura e della trasformazione» (ZANCAN, Il progetto «Politecnico», cit., pp. 164-165).
275 ELIO VITTORINI, Cultura popular, in «Il Politecnico», n. 27, 30 marzo 1946, p. 3; ora in VITTORINI, Articoli e interventi 1938-1965, cit., pp. 276-278. La citazione a p. 277.
Virna Brigatti, “Uomini e no” di Elio Vittorini. Il testo tra carte e poetica, tra edizioni e critica, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2011/2012

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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