Vivaldi è una figura pressoché dimenticata nell’attuale panorama critico

Cesare Vivaldi, Le occasioni dell’arte (1964-1972)
L’inclusione di Cesare Vivaldi nell’ambito di questa rassegna neoavanguardista non dovrà apparire peregrina a un più attento esame storiografico del contesto editoriale e culturale coevo. La configurazione dell’ecosistema novissimo (fatta di ripescaggi e rinunce dell’ultimo minuto) presenta al lettore di oggi un’immagine meno statica e più trasformativa della rosa finale degli eletti. Grazie alle ricerche d’archivio condotte da Federico Milone – e, in particolare, al regesto delle corrispondenze tra i giovani poeti e il coordinatore-curatore Giuliani – si sono finalmente chiariti alcuni snodi finora problematici, come l’estromissione in extremis di Edoardo Cacciatore e, per l’appunto, dello stesso Vivaldi. Il rifiuto definitivo del poeta imperiese verrà ratificato da Balestrini, in una lettera inviata a Giuliani il 5 gennaio 1961 (MILONE 2016: 103). Dopo essersi fatto inviare «con grande urgenza» il poemetto su Burri (ivi, p. 102), il responso giungerà perentorio tre giorni dopo. Se Balestrini raccomanderà di accogliere Majorino – in quanto stilisticamente simile a Pagliarani («e questo servirebbe a non isolare troppo l’Elio») -, subito dopo il poeta romano notificherà lapidario: «Vivaldi invece no». A partire da questo momento, l’ipotesi di un suo inserimento scompare dai carteggi conservati presso l’Archivio Giuliani. In un’altra lettera balestriniana verrà poi specificato che «Vivaldi e Majorino erano stati prospettati solo nel caso che fosse venuto a mancare Cacciatore» (ivi, p. 104) – a sua volta depennato in una fase più avanzata della strutturazione antologica.
[…] In effetti, tra il 1967 e il 1969 le collaborazioni tra Vivaldi e la Galleria di Serafino Flori <157 (presso la doppia sede di Firenze e di Montecatini) diventeranno una consuetudine statisticamente rilevante – che si sostanzierà non esclusivamente <158 ma con una certa frequenza di contenuti in versi. Gli artisti lo considereranno l’ufficioso «direttore artistico» della Galleria (cfr. SACCÀ 2010: 160), attribuendogli il merito di aver attirato l’attenzione di critici come Barilli e Crispolti e di aver operato come tramite tra Flori e la Galleria Marlborough.
[…] Le dediche agli artisti nella produzione giovanile di Cesare Vivaldi
Come abbiamo avuto modo di accertare nel capitolo precedente, Cesare Vivaldi sembra esportare solo parzialmente la professione di critico d’arte nel campo della versificazione – conservando, tuttavia, le tracce di un impianto ragionativo e di un gergo specialistico che cozzerà spesso con gli slanci più iper-letterari del suo stile. Laureatosi in Lettere a Roma nel 1951 (con una tesi su Dino Campana discussa, peraltro, con Giuseppe Ungaretti), parteciperà come giornalista alla vita editoriale di alcune riviste, <178 prima di diventare docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli (dal 1969) e poi di Roma (dal 1973). <179
Vivaldi svolgerà un importante ruolo di critico d’arte militante, con all’attivo una produzione quasi fordista di articoli, pamphlet, prefazioni a cataloghi, recensioni e scritti d’occasione. <180 Nonostante un presenzialismo culturale instancabile, <181 Vivaldi è una figura pressoché dimenticata nell’attuale panorama critico – e, ancor di più, nel canone dei poeti del secondo Novecento. Dopo un esordio nell’alveo della poesia dialettale ligure – con raccolte come “Otto poesie nel dialetto ligure di Imperia” (1951) e “Poesie liguri 1951-1954” (1960) -, a partire dagli anni Sessanta il suo stile si lascerà contagiare volentieri dalle sirene neoavanguardiste. Un adeguamento allo sperimentalismo metrico, lessicale e impaginativo in voga verrà comunque smorzato da un rapporto conciliativo con il canone – attraverso un montalismo <182 sempre latente e una propensione alla comprensibilità del dettato poetico.
Una simile patina ‘tradizionalista’ verrà guardata con sospetto dalle frange più avanguardiste dei gruppi frequentati da Vivaldi. In una lettera del 20 settembre 1966, ad esempio, Eugenio Miccini manifesterà una certa perplessità rispetto allo stile vivaldiano, conteso tra un lirismo «effabile» e la ricerca di una più sofferta «difficoltà della parola». Agli occhi di un militante radicale del Gruppo 70, Vivaldi sembrava dibattersi «tra i corni di questo dilemma: innovazione-restaurazione» (AV, cart. 311), puntando su un bilanciamento a tratti farraginoso e dispersivo delle due opposte polarità. Anche nel “Manuale di poesia sperimentale” curato da Guido Guglielmi ed Elio Pagliarani si troverà una testimonianza di questa percezione dissociativa dello stile di Vivaldi, la cui chiarezza terminologica e sintattica «costituisce, si può dire, pur nella sicurezza dell’esito “informale”, una cerniera fra linguaggio dell’espressione e significanti» (GUGLIELMI, PAGLIARANI 1966: 16).
Prima di passare alla fase ‘para-novissima’ di Vivaldi, è opportuno fare un piccolo passo indietro nella cronologia della sua carriera poetica. Nelle raccolte ante-1961, intanto, le liriche dedicate agli artisti o attraversate dallo spettro del figurativo sono numericamente esigue. Assumendo come base editoriale i “Dettagli” (VIVALDI 1964), le prime due sezioni – ossia i “Versi” (1947-1960) e le “Poesie liguri” (1951-1954) <183 delineano un clima piuttosto coerente di situazioni neorealiste fortemente connotate a livello ideologico, da un lato, <184 e di testi a dominante descrittiva e paesaggistica, dall’altro. <185 Mentre nel primo segmento non si identificano versi indirizzati a pittori, nelle “Poesie liguri”, scritte in dialetto imperiese, comparirà un solo componimento – “A Mafai” (ivi, p. 59). <186 Qui l’impianto socialista non è esente da alcune ingenuità politico-immaginative, con il riferimento agli «uomini che tornano stanchi dal lavoro, le donne sui balconi che aspettano l’ora di mettere la pasta» <187 e, nel finale, «lo zappatore» di leopardiana memoria che rimane a contemplare il campo arato «con in spalla il suo badile» (ibidem). La scena, di respiro millettiano, è ispirata ai dipinti di Mario Mafai («e dopo tanto inverno, primavera nei tuoi quadri si posa, in silenzio. Una gran pace cala in me: ripenso le strade, le case tinte in rosa dalla sera») – probabilmente, la “Strada con casa rossa” (1938) oppure il ciclo dei “Tramonti romani” (1929) (Tramonto sul Palatino, Tramonto sul Lungotevere, e così via) dove distinguiamo, per l’appunto, gli edifici e le architetture arrossate dal crepuscolo. Si crea così un cortocircuito tra la rammemorazione dei quadri e il flashback della casa contadina abitata dai genitori di Vivaldi, in una sorta di sovrimpressione cinematografica tra arte e infanzia rurale. Nella prima ‘poesia per immagini’, insomma, la pittura funziona come strumento di riattivazione della memoria, nonché come veicolo di un confronto rivelatore tra vissuto soggettivo e sua universalizzazione attraverso l’esperienza figurativa. Nelle “Otto poesie” (1951) dialettali (VIVALDI 1996: 7-16) incontreremo un testo (“Il mare è verde”) dedicato all’artista romano Giovanni Omiccioli, in cui l’accenno al movente pittorico è orientato soltanto a costruire un bozzetto cromatico sul paesaggio ligure. <188
Gli avvicinamenti giovanili alle arti sono segnati ancora da una cura impressionistica per il ‘dettaglio’ – calato in una rete di suggestioni simboliste e sinestetiche di cui il manufatto referenziale non rappresenta che un pretesto per rendere una certa inclinazione di luce o una sfumatura tonale.
Nell’ultima sezione della raccolta (“Esercizi di scrittura” 1960-1962), l’investimento ecfrastico inizierà a costituire, invece, un dato statisticamente rilevante, dal momento che la lirica incipitaria (Il cortile del tempo, ivi, pp. 81-84), e i due componimenti successivi (Impronta dopo impronta, ivi, pp. 98-99, e Ansedonia/Inverno, ivi, p. 100) verranno offerti, rispettivamente, ad Alberto Burri, Toti Scialoja e Pietro Cascella. Peraltro, sono gli unici tre «esercizi» a esibire un’epigrafe dedicatoria – mentre, nelle raccolte precedenti, compariva soltanto l’intitolazione letteraria «a Mario Luzi» in riferimento al “Taccuino maremmano” (ivi, p. 41).
In questo primo stadio poetico, i rari omaggi encomiastici risultano, dunque, quasi interamente rivolti a pittori e scultori piuttosto che a scrittori, poeti o semplici amici professionalmente neutri. Dal momento che sul Poemetto” burriano ci soffermeremo nel prossimo paragrafo, mi limiterò qui a osservare come tanto nel testo per Pietro Cascella (uno dei nove nomi antologizzati in Crack) quanto in quello per Toti Scialoja, Vivaldi non fosse affatto interessato, per paradosso, ai lavori plastici dei due artisti. In entrambi i casi la versificazione sembra inseguire temi e ritmi tutti endoletterari, in una evidente tensione all’aggiornamento (iper-)modernizzante del dettato che trascura un colloquio mirato con i dedicatari.
[NOTE]
157 All’antiquario e gallerista di Montecatini Vivaldi dedicherà anche un epicedio (In morte di Serafino Flori) (1994) (VIVALDI 1999: 144).
158 Nel gennaio del 1968, ad esempio, Vivaldi presenterà a Firenze una personale di Piero Dorazio (DORAZIO 1968) mentre, nell’ottobre dello stesso anno, un’altra mostra di Spazzapan ubicata presso la medesima sede (SPAZZAPAN 1968).
178 Vivaldi prenderà parte alla breve avventura della rivista «La strada» di Antonio Russi (1946-1947), prima di essere nominato capo dell’ufficio romano dell’«Ora» di Palermo all’inizio degli anni Cinquanta ed aver militato, dopo i fatti d’Ungheria, in settimanali come «Corrispondenza socialista» e «Italia domani». Più famose le collaborazioni con «Tempo Presente», di cui sarà redattore affezionato, e dell’«Avanti!», sulle cui pagine firmerà numerosi contributi di critica d’arte.
179 Per un’attenta ricostruzione della carriera professionale e biografica di Vivaldi, cfr. soprattutto la recentissima tesi di dottorato di BRANDINELLI 2021.
180 Dal momento che gli articoli di Vivaldi non sono stati finora raccolti in una pubblicazione unitaria, è difficile offrire una mappatura precisa dei suoi contributi di critica d’arte, dispersi tra plaquette, cataloghi e riviste. Per orientarsi nella produzione vivaldiana, rimando intanto a CINELLI 2017.
181 Per quanto riguarda gli ambienti interdisciplinari, oltre a una modesta collaborazione con «Marcatrè», è necessario segnalare la sua partecipazione al progetto multidisciplinare di «Collage», dove il suo nome comparirà nel secondo numero (marzo 1964) con due contributi (Commento a Coplans e Tre mostre alla Tartaruga di Roma) (TESSITORE 2003b: 310). Nel fascicolo uscito a dicembre, Vivaldi verrà promosso al rango di redattore nella sezione di «Arti Visive», assieme
a Calvesi, Ponente e Rubiu – firmando un articolo dedicato, stavolta, a Piero Dorazio alla Malborough (ivi, p. 312). Nel quinto numero (settembre 1965), invece, scriverà un saggio (Una mostra di giovanissimi) in qualità di corrispondente da Revort 1 (TESSITORE 2003b: 313) – prassi replicata nell’ottavo numero (dicembre 1968) per Revort 2 (ivi, p. 317) -, mentre nel sesto si poteva leggere un approfondimento sulla Scuola di Pistoia (ivi, p. 314).
182 Sulla presenza di Montale nella poesia vivaldiana, cfr. soprattutto VERDINO 1999.
183 Gli otto componimenti delle Poesie liguri erano già stati pubblicati, per le edizioni All’insegna del pesce d’oro, nel 1960 (VIVALDI 1960a). Le prime poesie dei Versi, invece, sono tratte da Ode all’Europa ed altre poesie (VIVALDI 1950).
184 Per questo filone di militanza politica e di «realismo socialista» (come segnalato in copertina), cfr. testi come A un soldato di Mao (ivi, pp. 13-14), A un operaio ucciso a Parma (ivi, p. 15) e I tranvai (ivi, p. 17). Lo stesso Vivaldi riconoscerà di essere stato traghettato dalle letture giovanili verso «un engagement letterario-politico, romantico ed esaltante […]: in tutto vedevo comunismo» (VIVALDI 1958: 723).
185 In particolare, si leggano i versi legati al paesaggio ligure, come Sosta a Genova (ivi, p. 25), Mattino a Oneglia (p. 26) e tutta la sezione dialettale di Poesie liguri (1951-1954) (ivi, pp. 48-78). Per la componente più lirica e introspettiva, si vedano, ad esempio, Ti chiamo (ivi, p. 28) o Telefono più radio (ivi, p. 36).
186 In VIVALDI 1996: 21 la poesia a Mafai si intitolerà La vita non finisce.
187 Riporto la versione tradotta in italiano dallo stesso Vivaldi; per il testo in dialetto imperiese, rimando direttamente alla raccolta (ibidem).
188 Riporto l’incipit ‘bilingue’ del componimento: «U ma u l’è verde cumu ti u dipinzi», «Il mare è verde come lo dipingi» […] «Ti hai rasgiùn ti: e i pesci, e e barche e e cà, | e ancùa a fatiga che a turmenta i scöggi, | u ventu d’a misèia u l’ha cargài | de curùi forti che i te sciàppa i öggi», «Hai ragione tu: e i pesci, e le barche, e le case | e ancora la fatica che tormenta gli scogli, | il vento della miseria li ha caricati | di colori forti che spaccano gli occhi» (VIVALDI 1996: 13).
Chiara Portesine, Lo statuto dell’ecfrasi nella poesia della Neoavanguardia (1956-1979), Tesi, Scuola Normale Superiore – Pisa, Anno accademico 2021-2022

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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