All’artista Marcello Cammi interessava il significato che va al di là dell’apparenza

Un’opera abbandonata di Marcello Cammi. Fonte: Marco Farotto, art. cit. infra

Marcello Cammi nasce a Sanremo il 14 aprile 1912 da Paolo Cammi ed Emma Musi (il padre Paolo ebbe dalla prima moglie Luigia Gautier due figli Alfredo e Ester, mentre dalla seconda nacquero Iole, Ines, Ernesto, Giovanni e Marcello) e muore a Bordighera il 3 novembre 1994. Ancora bambino e orfano di madre si trasferisce a Bordighera dove inizia ad aiutare il padre muratore, capocantiere di una piccola impresa che si occupava della lavorazione del cemento, in particolare di balaustre, vasi ed altre suppellettili da giardino.
Cammi era una persona semplice, sensibile, aperta, esuberante, cordiale e generosa. Era impulsivo, a volte suscettibile e irascibile nei confronti di chi considerava ostile. Non molto alto di statura, occhi piccoli e neri, grandi baffi spioventi, vestiva in modo modesto e portava in testa un berretto di lana, caratteristico copricapo dei pescatori.
Era un uomo dalla profonda umanità: amava gli animali, curava quelli feriti e, negli anni, ha avuto una civetta, una volpe, un aquilotto, tartarughe, colombi, cigni, anatre, cani e gatti.
Nel 1934, andando a ballare, incontra Vittorina, la compagna della sua vita, donna all’apparenza esile e minuta, ma con un grande temperamento, che sposa il 29 giugno del 1935. Il 2 novembre dello stesso anno nasce Claudio, soprannominato “l’inzegnè”, perchè faceva il meccanico e aveva la passione dei motori e delle moto che elaborava per fare le corse. Nel 1941 partecipa alla campagna di Russia rimanendo ferito alla mano sinistra, a cui viene amputato il dito medio. Vittorina stirava dalle suore e Marcello svolgeva lavoretti come muratore (vasche in campagna, muri, ecc.). Verso il 1947 ha cominciato a realizzare, col cemento, opere in finto legno, panche, tavolini, balaustre, recinzioni e vasche per pesci; dal 1950 in poi vasetti e fioriere in cemento che riempiva di terra, fiori, piante grasse che metteva in vendita appoggiandole sul muretto del Giardino Incantato.
[…] Comincia a dipingere nei primi anni ‘50.
Nel 1956 il Maestro Giuseppe Balbo si accorse, vedendo alcune sue opere, che Marcello – all’epoca floricoltore – era un artista istintivo e spontaneo di notevole spessore.
Un giorno Cammi si presentò all’Accademia Balbo per apprendere gli insegnamenti del maestro e diventare un bravo pittore. Balbo lo vide e gli disse: “Non voglio che tu venga all’Accademia per imparare, sai già dipingere, fai quello che ti viene in mente senza ascoltare gli altri. Se vuoi vienimi a trovare”.
Lo invitò a partecipare al premio «Cinque bettole» che vinse, facendo conoscere al pubblico la sua originalità espressiva.
Autodidatta, riusciva ad esprimere liberamente se stesso al di fuori delle norme estetiche convenzionali e dei condizionamenti di qualsiasi scuola o movimento. Anche se privo di supporti culturali, con il suo grande entusiasmo, la meraviglia di fronte al mondo, la continua voglia di fare e di sperimentare, raggiunse un grado di maturazione interiore rilevante, ricco di esperienza e di contenuti umani, che gli consentì di comunicare con l’osservatore.
Scevro da ogni influenza artistica, Cammi è considerato un naïf anche se il suo primitivismo spazia dall’espressionismo al metafisico, al surreale. Si potrebbe inserire in un’area che da Van Gogh e Gauguin arriva ad Ornèore Metelli, sino all’Art Brut di Dubuffet – il termine “Brut” non va preso alla lettera poiché non si tratta di arte grezza, bruta, volgare, ma semplicemente di arte fatta al di fuori da qualsiasi tipo di convenzione artistica precostituita, in condizioni di totale libertà e spontaneità rispetto ai valori della cultura ufficiale. Prodotti artistici fatti da persone non colte, analfabete o prive di una adeguata istruzione scolastica, sentita come una soffocante inibitrice delle potenti e innate forze creatrici. L’artista, immerso totalmente nel mondo delle proprie opere che sono spesso l’unica sua forma di consolazione, produce primariamente per se stesso con una pulsione irrefrenabile alla creazione, lontano da dettami convenzionali in senso stilistico e contenutistico; non ha vincoli artistici, né in senso avanguardistico, né in senso accademico. Tutto ciò che può essere chiamato Art Brut è esplosivo, farneticante, inquietante, al di là delle nevrosi o degli equilibri che segnano il carattere di chi crea -. L’artista brut in prima persona dà nuovi significati alle cose senza preoccuparsi che le sue decisioni siano o meno condivise dagli altri. Marcello diceva: “Tutto quello che ho fatto, sia in pittura che in scultura, l’ho fatto senza preoccuparmi del giudizio degli altri”.
Si avvicina a Van Gogh per gli eccessi caratteriali; a Gauguin per i colori applicati sulla tela in modo quasi uniforme e divisi a zona, per la bidimensionalità, la sintesi formale e per la capacità di riconoscere istintivamente l’alto valore estetico delle arti considerate «primitive»; a Metelli per l’indipendenza da ogni corrente espressa attraverso certe ingenuità e sproporzioni e per essere giunto all’arte in età avanzata; all’Art Brut di Dubuffet per il modo spontaneo di esprimersi a tutto campo e per aver inventato un microcosmo funzionante con uno stile coerente ed omogeneo nelle sue caratteristiche, mettendo in evidenza la funzione dell’arte nella vita di chi crea che così diventa di primaria importanza, insostituibile, magica, legata a bisogni fondamentali di intervento sulla realtà.
Il paragone potrebbe sembrare eccessivo ma, mentre Gauguin maturò la convinzione che l’unica via d’uscita al disagio esistenziale provocato dalla vita moderna stesse nella fuga verso una civiltà incontaminata (la Polinesia e Tahiti, dove si dedicò allo studio degli indigeni), Marcello il primitivismo lo aveva dentro di sé e riuscì ad esternarlo creando un giardino incantato che rappresentava il suo vissuto, oppure dipingendo paesaggi ideali e incontaminati. Non cercava rifugio in un mondo ancora intatto, ma ne aveva realizzato uno fantastico, a tratti irreale.
E’ stato un “Artista puro” capace di esprimere liberamente se stesso attingendo all’arte primordiale ed istintiva.
Lo hanno definito il “Ligabue ligure”, titolo che non accettava perché lui era Marcello Cammi, un artista unico nel suo genere, pittoricamente e plasticamente se stesso. Oltre ad essere diversi nel modo di dipingere e dello stile creativo, i due personaggi sono agli estremi soprattutto dal punto di vista caratteriale: Cammi amava la vita e la compagnia, era aperto e disponibile; Ligabue introverso, selvaggio e solitario. Forse li accomuna l’arte spontanea senza pretese culturali, la forte personalità, il modo istintivo di lavorare e di realizzare i ritratti e le figure con linee marcate.
Artista vulcanico, ironico e disponibile ad accogliere chiunque lo volesse andare a trovare, spiegava con semplicità, pazienza e soddisfazione gli stimoli e i segreti connessi alla nascita di ogni opera e le sue intenzioni: rappresentare la sua esperienza della realtà. Sovente offriva come ricordo ai visitatori un piccolo ed originale acquarello realizzato col “vino unico al mondo”, come di solito li autografava, sopra carta da parati dai contorni irregolari, dove primeggiavano tra le figure stilizzate, palme e fiori, ripresi a volte con segno di penna. Utilizzava vari tipi di vino: Rossese, Dolcetto e Chianti.
Il suo giardino era un omaggio alla natura e alla materia, dove aria, acqua, terra e fuoco erano saldamente riuniti ad un inatteso quinto elemento: il vino, che per lui era nettare, ispirazione ed inchiostro per esprimersi.
Entrando nel capanno-studio si intravedevano centinaia di tele sparse ovunque, accatastate negli angoli e appese alle pareti; altre le teneva nel lavatoio, sulla strada, davanti all’ingresso del giardino.
Osservando i suoi lavori si riconoscono la forza espressiva del segno e del colore (sempre miscelato e mai puro, i cui toni tendono allo scuro) accostato con tinte piatte stese grossolanamente; la capacità di organizzare la composizione in modo equilibrato; l’uso con funzione espressiva della linea di contorno che mette in risalto soprattutto le figure e i ritratti.
Il suo modo di vedere non è mai stato oggettivo: più che narrare fatti o descrivere luoghi, all’artista interessava il significato che va al di là dell’apparenza e che egli sentiva e trasponeva in modo del tutto personale, quasi da visionario, trasfigurando la realtà e le sue recondite inquietudini, proiettando i propri sentimenti su ciò che lo circondava. Dipingeva in modo rude andando all’essenza delle cose. Le sue opere esprimono l’anima dell’autore e vivono perché hanno preso vita da quell’energia. La semplicità compositiva dei suoi lavori riflette la naturalezza, la purezza e l’ingenuità del suo stile di vita. I temi da lui preferiti sono stati: i soggetti ispirati alla crocifissione, alla resistenza e ai campi di concentramento; animali (cani, gatti, scimmie, cigni, anatre, pavoni, civette, aquile, pesci, pinguini ecc.) e nudi di donna tra le piante; i paesaggi liguri, le marine, i pescatori, i contadini e le palme sempre presenti nei suoi pensieri e protagoniste in numerosi dipinti. Era un uomo che nutriva sentimenti forti, attento e sensibile ai problemi di quanti appartengono alle classi sociali più disagiate. Un pittore capace di rappresentare la vita della gente comune. Dipingeva ovunque, su supporti di qualsiasi materiale: tela di juta, legno, carta, ceramica, terracotta e nylon, usando tempere o colori ad olio.
Nella sua lunga attività ha lavorato molto, creando un numero notevole di opere – circa settemila dipinti e tremila sculture, quasi tutte in cemento, venti teste in pietra e cinque figure in legno, materiale che non amava particolarmente ma che utilizzava per dimostrare la propria capacità nel lavorare qualsiasi tipo di materia – in assoluta libertà e obbedendo più al sentimento che alla ragione. Le realizzava senza preoccuparsi di dar loro un titolo e di datarle, se non in rare occasioni. Da esse traspare una tristezza di fondo e una costante melanconia, acquisite probabilmente nella tragica e sofferta campagna di Russia del 1941/43, in seguito alla quale fu deportato a Mauthausen – Gusen.
Numerose sono le opere su Mautahausen, i partigiani, i guerriglieri e i tupamaros, a ricordare il suo odio per tutte le guerre. Cammi raccontava: “Sono un vero comunista, mutilato della Russia. Non sono stato un volontario, perché contro i comunisti non ci andavo sicuro, anzi, ho fatto la guerra piangendo, non ho ucciso nessuno, ho ucciso una capra perché avevo fame”.
Della sua produzione artistica è rimasto ben poco. Nel 1979, con il pretesto di organizzare una mostra a Milano, 150 tele vennero sottratte e mai restituite; negli anni successivi centinaia di opere sono state rubate e alcune vendute nei vari mercatini dell’estremo Ponente.
Il giardino situato nell’alveo del torrente Sasso, già gravemente danneggiato dalle alluvioni del 30 settembre del 1998 e del 6 novembre 2000, ora non esiste più: è stato definitivamente cancellato dal nubifragio del 14 settembre 2006.
Delle quasi cinquecento sculture – a tutto tondo e bassorilievi – ancora presenti (nel mese di luglio 1997 ne furono censite 706) se ne sono salvate circa duecento di cui più della metà richiedono un intervento di restauro (una cinquantina erano conservate nelle cantine dell’ex Chiesa Anglicana di Bordighera, 12 nella galleria del Porto, una trentina nel locale ex Esagono al Palazzo del Parco, le altre si trovavano ammucchiate, come in una fossa comune, nel terreno dell’acquedotto comunale di Bordighera sito nel territorio di Camporosso, località Braie); molte furono divelte dalla violenza dell’acqua, sradicate e trascinate al mare, altre, coperte dal fango, sono state distrutte dalla ruspa che, nel mese di ottobre 2006, il Comune aveva inviato per sistemare l’alveo.
[…] “Mai la memoria di un artista ha forse avuto minor rispetto. Ma se Marcello fosse ancora in vita forse non se ne dorrebbe. Sosteneva infatti che la vita è un girotondo, che ogni cosa ed ogni animale prima o poi debbano scomparire, tornare al mare, al luogo dove sono venuti. Sulla spiaggia trovava parte dei materiali che usava per le sue composizioni: sassi e cocci colorati”. (Tratto da “ Il giardino incantato” di Piero Farina, produzione Geo & Geo, RAI 3, 2000).
Il 7 maggio 2005, in seguito all’esplosione della sua abitazione dovuta a una fuga di gas (in cui sono andate disperse circa cinquanta tele della collezione personale), al centro ustionati di Genova moriva la moglie Vittorina Grassi. La vedova Cammi, da sola e a proprie spese, aveva gestito, custodito e difeso per anni, tra mille difficoltà, il giardino-museo nell’indifferenza totale dell’Amministrazione Comunale.
Ricordo la prima volta in cui sono entrato nel suo giardino e rivedo quel mondo fantastico: piante e arbusti intrecciarsi a figure mitologiche di uomini di antiche civiltà; donne, figure di Cristo, animali e totem, che nella loro immobilità sembrano prendere vita da un momento all’altro, muoversi e parlarci. Un’altra dimensione, dove spazio e tempo si sono fermati e la fantasia diventa realtà.
Natura e arte si mescolano e si confondono. Busti e graffiti, bassorilievi, colonne decorate e pinnacoli, caravelle fissate sulla cima di alberi maestri, statue color ruggine, corpi scheletrici che emergono dai vialetti e dal greto del ruscello, come se invocassero aiuto, bloccati nel cemento da un sortilegio, maschere circolari simili alla luna – in cemento con anima di ferro, avvolta spesso con retina zincata – si alternano, esprimendo le mille sfaccettature della condizione umana: gioia e dolore, amore e odio, sogno e tragica realtà, comunicativa e impenetrabilità.
La visita a questa specie di museo caotico, sovraffollato da sculture stilizzate, dalle misure a volte sproporzionate, sparse in ogni angolo mi ha lasciato nella memoria sorpresa, stupore, inquietudine e profonde suggestioni.
Questa foresta di sculture, fonte inesauribile di scoperte poiché ogni volta che si attraversava apparivano nuovi lavori, più volte è stata definita dalla stampa internazionale “l’ottava meraviglia del mondo”: una grande opera antropologica, dove le varie civiltà dell’Isola di Pasqua, africana, precolombiana, bizantina, ecc., si incontravano in una sintesi armonica di primitivismo culturale […]
Marco Farotto, Marcello Cammi, Facebook, 17 gennaio 2023

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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