Il primo film di Francesco Rosi che può essere qui osservato attraverso gli occhi e il giudizio di Marotta è La sfida (1958), recensito in Eccellenti fotografi delle cose, privi di nozione e di sentimento delle cose <299. Gran parte dell’articolo è occupata da divagazioni su fatti d’attualità e da un accenno alle vacanze estive del critico, appena concluse, mentre al film venne dedicato uno spazio limitato. Probabilmente ne si può rintracciare la ragione già nel primo commento rivolto alla pellicola: «che delusione: Franco Rosi, come napoletano e come regista, non impiegò neppure dieci minuti a sfebbrarmi» <300. Marotta iniziò a commentare La sfida <301 assegnando alla sceneggiatura i principali meriti del film, e giustificando questo giudizio con la presenza, tra gli sceneggiatori, di Suso Cecchi D’Amico, da lui considerata «la migliore penna del cinema scritto» <302. Marotta sottolineò quanto Rosi avesse inevitabilmente tratto degli insegnamenti da grandi maestri come Visconti, ma che non avesse assolutamente la sostanza e le capacità di Visconti. Nel narrare la vicenda, Marotta evidenziò diverse incongruenze nella trama, che secondo lui non si addicevano ad un napoletano, quale era appunto Rosi, e giudicò inopportuni i giudizi di critici quali Gromo e Contini che parlarono, in riferimento al suo film, di verità e di realismo. Ritenne che Rosi avesse trattato i vari «guappi» presenti nel film con superficialità e arbitrarietà, non rappresentandoli sulla scena come realmente apparivano nella realtà, di conseguenza, a giudizio di Marotta «avendo sbagliato i “guappi”, Rosi ha purtroppo sbagliato film» <303. Il regista, occupandosi di «una malavita fasulla, apocrifa, vista da un signorino per i signorini di Venezia», non colpì minimamente Marotta che lo accusò di aver realizzato dei personaggi privi di carattere, seppur inseriti all’interno di belle immagini ma anch’esse inanimate. Il giudizio di Marotta sul film lo si ritrova, oltre che nelle righe conclusive della recensione, nel titolo della stessa: Rosi è «l’ennesimo geniale fotografo delle cose, privo di nozione e di sentimento delle cose».
Marotta si dimostrò nuovamente deluso da Rosi quando ebbe l’occasione di vedere I magliari (1959). La figura del magliaro <304, ben nota al critico napoletano e così legata alla sua città natale, rappresentò per lui ben più che una semplice professione. Marotta affermò: “il “magliaro” è viaggio, scoperta, invenzione, teatro, umiltà, superbia, viltà, coraggio, sciagura, fortuna, gioventù, decrepitezza; il “magliaro” è cento inconciliabili e conviventissimi individui in uno; il “magliaro” è la bibbia della plebe della mia difficile, astrusa città (la più bella e la più brutta, la più nobile e la più ignobile, ossia la più viva ed umana città che esista)” <305. L’immagine poetica che Marotta diede dei magliari non ebbe in realtà niente a che fare con quella che ne offrì il regista. Il critico sperava che il regista ne indagasse i sentimenti, che sapesse interrogare quel mondo per meglio capirne le dinamiche, cosa che in realtà non seppe fare, mostrandosi, inoltre, agli occhi di Marotta, totalmente privo del senso del comico. Scene ben studiate e dirette si alternarono ad altre di carattere totalmente opposto. Marotta, inoltre, notò nel confronto tra I magliari e La sfida, film girato l’anno precedente, una ripetizione di temi e volle ribadire in entrambe le circostanze l’incapacità di Rosi di indagare nei caratteri dei personaggi, di rivelarne l’essenza, mentre invece lo stesso regista dichiarò più volte di averlo fatto approfonditamente. I magliari diedero a Marotta l’occasione per ribadire quanto, per lui, Rosi non fosse un autentico narratore e quanto riuscisse invece ad ottenere degli ottimi risultati quando le cose si raccontavano spontaneamente. Non lo definì mai un bravo regista, ma piuttosto un grande aiuto-regista e inaspettatamente concluse la sua recensione affermando: «con tutto il male che ne ho detto, I magliari penso che dobbiate vederlo». <306
Quando Marotta ebbe l’occasione di recensire, all’inizio del 1962, il nuovo film di Francesco Rosi, Salvatore Giuliano, ricapitolò i suoi giudizi precedentemente espressi sui film del regista e confermò: «Non mi piacquero La sfida e I magliari, opinabili e deficienti nella stessa “verità” che si proponevano di servire, scentrati e diseguali come le biciclette quando avevano una ruota gigante e una ruota nana» <307. Allo stesso tempo, però, fu felice di affermare, fin dalle prime righe, quanto gli fosse piaciuto Salvatore Giuliano, tanto da aggiungere, in netta contrapposizione con i giudizi estremamente negativi espressi sugli altri film e appena ribaditi: «egregio don Ciccillo <308, posso? C’è ancora un posto fra gli ammiratori vostri? … eccomi qua col giglio della mia dannata sincerità in mano… disturbo? Permettete? Grazie» <309. Il critico iniziò la sua recensione presentando la trama del film e facendo notare il vigore della scena iniziale, incentrata sui rilievi giudiziari sul cadavere del bandito. Rosi seppe descrivere, tra le vie di una Sicilia assolata, la diffidenza, la paura e la curiosità dei suoi abitanti. La trama del film concesse a Marotta la possibilità di concentrarsi ancora una volta sull’attualità, di parlare della situazione del meridione e di soffermarsi sui suoi problemi. Il film di Rosi venne inteso da Marotta non come la semplice storia di un brigante, ma «la storia di una collettività in un sintomatico periodo, la storia di una piaga sociale, di una crisi politica e di costume» <310, e il critico si compiacque di come questi eventi fossero diventati arte nel film di Rosi. Il regista, infatti, comprese e riprodusse «l’asciuttezza e la mestizia siciliane, quell’esprimersi categorico, sentenzioso, di gente che ad ogni pensiero dà il giro breve e scandito di un proverbio!», ma soprattutto comprese il paesaggio e gli umori di quello stesso paesaggio. In un nuovo riferimento a Visconti, Rosi non apparve più agli occhi di Marotta come l’allievo a cui mancasse la sostanza del maestro, ma venne visto come un ex-allievo, finalmente affrancatosi.
Marotta, come raramente accadde in questi anni, si complimentò con il regista e sottolineò che il film non avesse alcun vizio da sottoporre alla sua cattiveria di «patrono del diavolo» <311. Evidenziò come Salvatore Giuliano avesse «la bellezza calma e insostenibile delle statue greche: un raro, difficilissimo punto di equilibrio fra la concitazione e la sobrietà» <312. Nelle colonne conclusive della recensione è presente una lunga sequenza delle scene memorabili del film, che lo resero, agli occhi di Marotta, «un poema cinematografico». Marotta assegnò alla regia anche i meriti per l’efficienza degli interpreti.
[NOTE]
299 Giuseppe Marotta, Eccellenti fotografi delle cose, privi di nozione e di sentimento delle cose, «L’Europeo», XIV, 39, 28 settembre 1958, p. 57.
300 Ibidem.
301 Si veda la scheda del film La sfida sul sito (https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/lasfida/11262/, ultima consultazione 27 aprile 2022).
302 Giuseppe Marotta, Eccellenti fotografi delle cose, privi di nozione e di sentimento delle cose, cit., p. 57.
303 Ibidem.
304 Con il termine magliaro si fa riferimento ad un venditore ambulante che, soprattutto negli anni del dopoguerra, vendeva le proprie merci presentandole come affari vantaggiosi, in realtà spesso erano il frutto di atti illeciti. Il termine venne poi esteso ed utilizzato per indicare un truffatore, un imbroglione.
305 Giuseppe Marotta, «Magliari» ad Amburgo e orfanelli di genitori vivi a Parigi, «L’Europeo», XV, 41, 11 ottobre 1959, p. 52.
306 Ibidem.
307 Giuseppe Marotta, Sull’erba siciliana gli anomali fiori del giardinetto di Caino, «L’Europeo», XVIII, 3, 21 gennaio 1962, pp. 88-89.
308 Ciccillo è il nomignolo con il quale Marotta si rivolse spesso a Francesco Rosi.
309 Giuseppe Marotta, Sull’erba siciliana gli anomali fiori del giardinetto di Caino, cit., p. 88.
310 Ibidem.
311 Ibidem.
312 Ibidem.
Barbara Morello, Giuseppe Marotta critico cinematografico sull’«Europeo» (1958-1963), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2020-2021