Nell’archivio dei soggetti non realizzati di Zavattini è raro che le protagoniste donne siano anche eroine della storia, nonché simbolo di unione e di pace, di amicizia che supera le differenze culturali. Per Zavattini “pace” e “religione” sono argomenti chiave, che convivono con lui, nonostante non abbia mai espresso in maniera esplicita una preferenza politica. Nel soggetto “Suor Celeste e Miss Dorothy” (Za Sog NR 28/3) la guerra viene raccontata su due piani: a livello macro vi è la guerra vera e propria, quella che apparentemente, ad inizio anni Sessanta, è ancora accesa tra protestanti e cattolici, due religioni i cui fedeli non sembrano trovare il modo di conciliarsi; a livello micro, ovvero la guerra che riguarda le due protagoniste, antagoniste, che scoprono un’amicizia vera solamente di fronte alle ingiustizie e alle difficoltà che la vita pone davanti loro. Estremamente interessante e coerente all’isotopia della guerra è una lettera datata 9 agosto 1943. Zavattini scrive: «Ho capito che la guerra, come ogni altra cosa, capita perché deve capitare a causa del comportamento degli uomini. La maggioranza stragrande si comporta male (una bugia, una viltà, le mille ipocrisie, quotidiane ecc., portano alla guerra – cioè la guerra è stabile in noi). Quindi migliorare educare l’uomo. Quella delle rivoluzioni la giudico la più facile, e la peggiore». Le vicende tra Suor Celeste e Miss Dorothy sono bugie, viltà e ipocrisie, la guerra non è un mistero che accade ma qualcosa che l’uomo, così come la donna, ha dentro di sé e concretizza nella quotidianità anche nei piccoli gesti che mancano di rispetto verso «la vita e la dignità umana». Poco importa quindi che la guerra tra America e Giappone faccia da sfondo alla guerra tra Suor Celeste e Miss Dorothy, sempre di guerra si tratta e finché non si usa un «metro morale» nelle relazioni di qualsivoglia tipo tra le persone, la guerra ci sarà sempre.
Contrapposta alla guerra, vi è la pace, altro tema che tormenta Zavattini perché per quanto sia un dato fattuale che la pace sia l’estremo opposto della guerra, che non ha segreti per Zavattini – la definisce infatti «somma dei nostri quotidiani errori» – la pace non la si può raggiungere perché non la si può nemmeno definire. Risale al biennio 1980-1982 un testo incompleto pubblicato in “La Pace”, in cui Zavattini si interroga su che cosa sia davvero la pace. Scrive: “Come tanti altri, da parecchi anni mi occupo della pace come posso. Il mio chiodo fisso è sempre stato quello di capirne un po’ di più. Mi è sembrato implacabilmente che ne capiamo poco oppure niente. So benissimo che dirlo in un momento qual è questo è impopolare e si è accusati perlomeno di provocatorietà. Sia pure. […] E allora? Mi si consenta di correre il rischio del ridicolo nel tentativo di riassumere il mio punto di vista in poche parole. Ho già osato esporlo qua e là e non ho capito bene l’effetto che ha prodotto. Secondo me la pace è impossibile, poiché dovrebbe essere il vertice della comprensione dello status dell’uomo moderno, quando invece l’uomo non solo ha pochi strumenti per approfondire e rinnovare la propria conoscenza ma impedisce, talvolta credendo che non sia vero, che la maggioranza sia in grado di assumerli. Non ho il coraggio di gridare (sottovoce qua e là l’ho detto) […]” <101.
Si può forse ipotizzare che questo soggetto sia un coraggioso grido sottovoce che Zavattini ha tentato per definire che la pace? O almeno che sostenere che la pace è “impossibile”? In una intervista con la studiosa Silvana Cirillo, Zavattini dice: «Purtroppo parliamo di pace senza sapere cosa sia. Non si può lottare per una cosa che non si sa cosa sia. Non credo ci possa essere una prova più schiacciante della nostra sempre più grave approssimazione concettuale di quella per cui tutti i partiti concludono le loro programmazioni con la parola “pace”. Non sono all’altezza del compito, ma avrei voluto esserlo […]» <102.
E mentre il vescovo in “Suor Celeste e Miss Dorothy” (Za Sog NR 28/3) avrebbe voluto continuare la guerra delle due protagoniste anche una volta morte, scelta che si definirebbe coerente con qualunque linea politica, Zavattini inserisce a fine soggetto una variazione, che lo spettatore non si aspetterebbe, un lieto fine forse proprio perché utopico, una rieducazione dell’uomo, uno sforzo, un «simbolo» verso la definizione della pace, qualsiasi cosa essa sia, una deposizione delle armi di quella guerra quotidiana che l’essere umano da sempre si fa.
[NOTE]
101 Cesare Zavattini, La Pace. Scritti di lotta contro la guerra, (a cura di) Valentina Fortichiari, Milano, La nave di Teseo, 2021, pp. 191-192.
102 Ibid., p. 196.
Maria Doina Mareggini, Le tematiche legate al “mondo femminile” e al “lavoro” nel cinema italiano dal dopoguerra ad oggi, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 2023