Il Carnevale di Gerti

Gerti Frankl. Fonte: Il Piccolo, art. cit. infra

Carnevale di Gerti

Se la ruota s’impiglia nel groviglio
delle stelle filanti ed il cavallo
s’impenna tra la calca, se ti nevica
sui capelli e le mani un lungo brivido
d’iridi trascorrenti o alzano i bimbi
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio ed i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume,
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d’aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia – hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l’anno tranquillo senza spari.

Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani:
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero alle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.
(Oh il tuo Carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l’urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l’ora
che il Gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È Carnevale
o il Dicembre s’indugia ancora? Penso
che se tu muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori…)

E il Natale verrà e il giorno dell’Anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi, e questo Carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all’aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d’argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?

Come tutto si fa strano e difficile,
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse in questi
disguidi del possibile. Ritorna
là fra i morti balocchi ove è negato
pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all’esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s’aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco,
quella che additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.

Eugenio Montale
1928

da “Le occasioni” (1928-1939), “Lo Specchio” Mondadori, 1949

Waltraud Fischer, GERTI, BOBI, MONTALE E C. Vita di un’austriaca a Trieste, Diabasis, 2018
Capodanno a Firenze, 1928: una giovane austriaca fa un piccolo incantesimo divinatorio, col piombo fuso e l’acqua fredda, in omaggio a un’usanza del suo Paese natale ma anche di Trieste, la città dove vive. Siamo in casa del critico d’arte Matteo Marangoni, ospite una piccola compagnia di intellettuali e scrittori, e anche Gerti Frankl, in visita agli amici, ne fa parte. C’è Eugenio Montale, che sedotto dalla scena scriverà una delle sue poesie più famose, Il Carnevale di Gerti. «Se si sfolla la strada e ti conduce / in un mondo soffiato entro una tremula / bolla d’aria e di luce dove il sole / saluta la tua grazia, hai ritrovato / forse la strada che tentò un istante / il piombo fuso a mezzanotte quando/ finì l’anno tranquillo senza spari», si legge nella prima strofa. A quella poesia lei restò fedele per tutta la vita, parlandone pochissimo, custodendola come qualcosa di molto personale nel cuore di un’esistenza che ebbe momenti di trionfale leggerezza, di cultura e di tragedia. Daniele Del Giudice preparando il suo romanzo-saggio d’esordio, Lo stadio di Wimbledon, l’aveva incontrata ormai anziana (nata nel 1907, morì nel 1989), e ricorda che era ancora una grande seduttrice. Ma una seduttrice molto privata, quasi segreta. Un’ispiratrice, in quella che è stata definita la Bloomsbory triestina degli anni Venti, in contemporanea con il famoso circolo londinese di Virginia Woolf. In quella trama di rapporti al cui centro, come un ragno imprevedibile e caotico, si muoveva freneticamente Roberto «Bobi» Bazlen, il futuro creatore insieme con Luciano Foà dell’Adelphi, nacquero, per così dire, da un lato Montale e dall’altra Italo Svevo, quantomeno per ciò che riguarda il suo tardivo successo e il lancio internazionale. Gerti, elegantissima, ricca (i genitori possedevano una piccola banca a Graz), sposata con Carlo Tolazzi, ingegnere bergamasco trapiantato a Trieste, ammirata per la sua eleganza intellettuale e non solo, corteggiatissima, ne era una sorta di regina. Ma era anche ebrea, e su di lei, come su altri personaggi di questo gruppo, incombeva un destino ancora imprevedibile e spaventoso. Molto si sapeva, soprattutto dopo la biografia che Cristina Battocletti ha dedicato a Bazlen (Bobi Bazlen, L’ombra di Trieste, ed. La nave di Teseo) ma la reticenza di Gerti a parlare di sé aveva lasciato zone d’ombra, perfino misteri. Ora Waltraud Fischer, studiosa austriaca che vive e insegna a Trieste, le ha dedicato un libro (Gerti, Bobi, Montale e C. Vita di un’austriaca a Trieste, Diabasis) dove davvero tutto – o quasi – è riportato alla luce, grazie a una gran mole di documenti lasciati a un’amica e da questa donati all’Università di Trieste, in parte usati già per una mostra del 2005. Gerti era avanti rispetto alle pur emancipate donne della sua città adottiva. Si era sposata contro la volontà dei genitori, matrimonio clandestino a Londra; guidava fieramente l’automobile, viaggiava molto anche da sola, benché sposata, accettava la discreta corte dei suoi ammiratori, primo fra tutti Bazlen che le scriveva incessantemente parlando dei propri amori ma nello stesso tempo manifestandole un’adorazione che andava oltre l’amicizia. Se Montale visse dal ’38 con Drusilla Tanzi, la «mosca» di tante sue poesie conosciuta nel ’27 (il soprannome era stato inventato da Bazlen) quand’era la moglie dell’amico critico d’arte Matteo Marangoni (si sposarono solo nel ’62, dopo la morte di quest’ultimo), l’affascinante austriaca perse invece il marito, anche grazie a Bazlen e proprio a causa del grande amore di quest’ultimo, Duska Slavik, una giovane di condizione modesta e per nulla letterata. Bazlen – come avrebbe ricordato anni dopo Montale, era perennemente dedito a «esperimenti più o meno falliti di creare o distruggere felicità coniugali» – gliene parlò in molte lettere chiedendole di aiutarla, fino a introdurgliela in casa; risultato, esempio non raro di eterogenesi dei fini, Carlo Tolazzi se ne innamorò, lasciando la moglie e mettendo su famiglia con lei. Gerti, che amava la fotografia, scattò com’è noto l’istantanea delle gambe di una misteriosa Dora Markus; Bazlen la spedì a Montale perché ci scrivesse una poesia, e la ottenne. Il poeta non vide mai Dora Markus, e per decenni gli studiosi si sono interrogati sulla sua identità, mettendola persino in dubbio. Dalle carte emerge invece che la donna è esistita: anche lei ebrea – e austriaca – riuscì a sottrarsi alle persecuzioni e a riparare prima in Inghilterra e poi in America. Scrisse almeno due volte a Gerti, invitandola a raggiungerla. Lei però non poteva più, o non voleva. Dopo l’invasione dell’Austria doveva salvare i genitori: tentò in ogni modo di convincerli ad abbandonare Graz, senza riuscirci. E quando finalmente capirono che bisognava fuggire, era ormai troppo tardi. La bella dama divenne una combattente, a caccia di visti per far espatriare gli ebrei dall’Austria. Maneggiava denaro, corrompeva, «comprava» vite. Per i genitori arrivò fino a Mussolini, senza risultato. Dopo l’armistizio, riuscì persino a farsi assumere come interprete dal comando nazista – ma una vicina di casa la denunciò. E, alla macchia in montagna, continuò ormai senza un soldo ad aiutare chi fuggiva in Svizzera. Gli anni ormai non finivano più «senza spari». Ma la poesia rimane. Anche quella di Dora Markus, scritta in due fasi. La prima parte, del ’29, è tutta dedicata alla sconosciuta. Nella seconda, del ’39, c’è invece Gerd Franld, come spiegò il poeta stesso («Di lei e di Dora feci un unico fantasma» disse a Guido Nascimbeni, per un libro uscito nel ’69). Questi versi, peraltro notissimi: «forse / ti salva un amuleto che tu tieni / vicino alla matita delle labbra, / al piumino, alla lima: / un topo bianco, / d’avorio; e così esisti!» elencano proprio i suoi oggetti di culto.
Mario Baudino, Gerti Frankl e Montale l’incantesimo della seduttrice segreta, La Stampa, 17 dicembre 2018, articolo qui ripreso da Moked

Waltraud Fischer, GERTI, BOBI, MONTALE E C. Vita di un’austriaca a Trieste, Diabasis, 2018
Ispirò la poesia di Eugenio Montale “Carnevale di Gerti” e fu protagonista del mondo intellettuale triestino del Novecento: la figura di Gerti Frankl, donna ebrea di origini austriache, viene raccontata approfonditamente da Waltraud Fischer, studiosa austriaca che vive e insegna a Trieste, e che le ha dedicato il libro “Gerti, Bobi, Montale & c. Vita di un’austriaca a Trieste”, edito da Diabasis.
Gerti era una raffinata intellettuale, figlia della buona borghesia (la sua famiglia era proprietaria di una piccola banca a Graz), era emancipata, ammirata e corteggiatissima. Era anche coraggiosa: partecipò alla Resistenza e tentò invano di salvare i genitori dalla deportazione. Loro furono catturati e morirono nei lager, lei scampò fortuitamente alla cattura, e visse fino al 1989.
Una vita avventurosa e piena, la sua, ricostruita in questo libro fatto di testimonianze e di documenti epistolari, relativi al rapporto di Gerti con, tra gli altri, Italo Svevo, il critico e consulente editoriale Bobi Bazlen, il traduttore Piero Rismondo, con Eugenio Montale e con sua moglie Drusilla Tanzi Marangoni e ancora con Guido Lopez, con Armando Tipaldi, con Max Picard. In un discorso che coinvolge parole, testimonianze e presenze come quelle – tra le più notevoli – di Umberto Saba, Linuccia Saba, Alessandro Psyllàs, Aurelia Gruber Benco, Pino Menassè (uno dei collaboratori triestini di “Solaria”), Daniele Del Giudice.
Sono questi solo alcuni dei nomi ricorrenti, in un panorama molto più affollato di figure e di problemi, parte di una storia con i risvolti più diversi: sentimentali, scherzosi, drammatici, e poi tragici, come la persecuzione antiebraica, la morte nei lager dei genitori, arrestati a Vienna dalla Gestapo, la delazione di una vicina di casa che, a Trieste, denuncia Gerti alle SS in quanto ebrea. Gerti si salverà fuggendo, entrerà nella Resistenza e si spenderà per far espatriare perseguitati in Svizzera.
Una figura di grande interesse, immersa nella cultura del suo tempo, in quella Trieste mitteleuropea che fu brodo di coltura di grandi scrittori, intellettuali ed esponenti delle scienze umane (una su tutte: la psicanalisi, che si può dire giunse in Italia passando per Trieste) e che questo volume contribuisce a conoscere e approfondire.
Marco Di Porto, La travolgente vita di Gerti, Moked, 8 gennaio 2019

Confesso di non avere mai amato i libri di Roberto Calasso, di cui invece apprezzavo il fiuto editoriale. Ero impressionato dal giudizio sarcastico di Cases in “Che cosa fai in giro?”, il quale parlando del suo antenato rabbino di Reggio, Israel Carmi, oppostosi a Napoleone, il grande livellatore della differenza ebraica, scriveva: Ceronetti, Zolla e Calasso “mi invidierebbero un antenato che si oppose all’imperatore”. Per Cases, e si parva licet anche per me, l’evasione verso il misticismo del trio era incomprensibile. Mi sono ricreduto in questi giorni leggendo il breve libro di Calasso, uscito postumo e dedicato a Bobi Bazlen, di cui sempre il crudele Cases lamenta “l’aura mitica e la scarsa produttività”. Si tratta di un testo in verità autobiografico, in cui Calasso racconta gli anni della sua formazione attraverso i ricordi soprattutto del periodo romano dell’inventore della casa editrice Adelphi. Il gioco d’intarsio fra i ricordi personali e i testi che Calasso medesimo aveva già pubblicato in (“Note senza testo”) rendono impervio il cammino di chi voglia discernere la parola di Bobi con quella di chi ne rammemora le gesta. Meno di cento pagine, fitte di episodi e personaggi.
Due note mie, senza testo. Nel 1941 Bobi acquistò un quaderno, doveva diventare il “Diario dell’ariano”, egli (cioè il Duce) volle che diventasse il “Diario dell’Ebreo”. Seconda nota, pag. 57 sull’antefatto della poesia di Montale sul ’38 e le leggi razziali, “Dora Markus”. Con una cartolina con due belle gambe di donna, Bobi aveva ordinato a Montale di scrivere una poesia sulla sua Musa ebrea. Più tardi Bobi dirà di non essere convinto di quei versi, sentiva che vi mancava qualcosa che possiamo dedurre solo dalla risposta di Montale (la lettera di Bobi non s’è conservata). Il qualcosa che il poeta “non se la sentiva” di nominare era la catastrofe incombente che Montale stesso avrebbe sempre – di poco – schivato, ma che riapparve in una nota alla prima edizione delle Occasioni: “Finale di una poesia non scritta. Antefatto ad libitum. Servirà sapere che Liuba – come Dora Markus era ebrea”. Fine delle virgolette, nota di Calasso, dunque virgolette per ridare la parola direttamente a lui: “Quell’antefatto ad libitum era molto preciso – e dava a quegli otto versi una sospesa e lacerante tensione”.
Alberto Cavaglion, Bobi, Moked, 1 settembre 2021

Sapeva di essere una donna che veniva da una poesia. Firenze, Capodanno 1928, in casa del critico d’arte Matteo Marangoni ci sono Eugenio Montale, la ‘Mosca’, Bobi Bazlen e Gerti Frankl, la giovane austriaca che da un paio d’anni abitava a Trieste, dove era giunta per amore di un amico di Bazlen. Gerti, allo scoccare della mezzanotte, getta nell’acqua un cucchiaio di piombo fuso per leggere nelle forme prese dal metallo i pronostici per l’anno che verrà. Montale ne rimane colpito e quella notte verrà trasfigurata nel ‘Carnevale di Gerti’, una delle sue liriche più famose.
[…] Il lavoro della Fischer, di cui si era giovata anche la mostra ‘Il viaggio di Gerti’, organizzata nel 2005 dall’Associazione Archivio e centro di documentazione della cultura regionale, fa luce su quel gruppo di amici che si nutrivano di letteratura e solo di libri e sentimenti parlavano, evitando, per disinteresse, qualunque accenno alla politica; e dire, si era nei primi anni della dittatura, che gli argomenti non mancavano. Un cenacolo che Elvio Guagnini nella prefazione al volume (di cui la Fischer ha intenzione di pubblicare una versione in lingua tedesca) definisce una ‘sorta di Bloomsbury dell’alto Adriatico coagulatasi attorno a Bobi Bazlen’.
E infatti la parte fondamentale del lascito sono le lettere di Bazlen, scritte a volte a mano a volte a macchina, senza uno stile unico, procedendo per libere associazioni di idee. Si tratta di un documento di grande interesse per capire il modo di pensare del ‘bracco letterario triestino’, che buttava giù i suoi pensieri senza riflettere troppo, dando voce agli umori del momento.
Per Bazlen non è lo stile a essere importante, quanto il fermare sulla carta l’urgenza che in quel momento deve trovare sfogo. Perciò le sue lettere, sempre sotto il nume tutelare del paradosso, sembrano scritte di getto. A volte sono frasi come telegrammi, a volte lunghe digressioni in cui fa pettegolezzi, una sua passione, su amici e conoscenti. A Gerti si rivolge sempre con il lei, come era d’uso ai tempi, nonostante sia la sua amica spirituale, la confidente che ascolta i suoi patimenti per l’innamorata che lo delude, Duska Slavik, una slovena triestina che per Bazlen rappresenta la passione carnale. Anche se, quando Bazlen scrive, in una lettera del 1929, “le labbra, le zone erotiche; le dita di Gerti, bianche (come la neve); piaceri che valgono la vita. Il desiderio di Bobi canta: beh beh”, non sembra che Gerti sia solo una confidente per il mercuriale Bazlen. D’altronde lui mischiava vita e letteratura, entrava nella vita delle persone e cercava di dirigerne i destini. Riuscendoci, va detto, perché come era riuscito a far scoppiare ‘con gran fracasso’ il caso Svevo, così riusciva a convincere qualcuno a buttarsi tra le braccia di un’altra. Ci fu la sua mano dietro la fine del matrimonio di Gerti, che il marito Carlo lasciò proprio per Duska. Quando tutti questi intrecci cominciarono a generare dolore, quando il romanzo raccontato nelle lettere si andò trasformando in vita vissuta, Bazlen interruppe l’epistolario.
Le altre carte di Gerti consentono di seguirne la vita attraverso il ’900. Questa donna che aveva un carattere forte, che era ironica, che guidava, che si spostava da un paese all’altro, indipendente e moderna, e che era stata benestante, finì nell’imbuto nero della guerra, scampando, lei ebrea, con la fuga alla deportazione. Da ricca che era si trovò nella condizione di dover ricevere gli aiuti dei parenti emigrati in Australia e a New York, dove era stata invitata a raggiungerli, rimanendo però sempre nella sua casa di via Belpoggio.
A Gerti piaceva fotografare. Era stata lei a scattare la famosa foto che Bazlen inviò a Montale con un biglietto: “È un’amica di Gerti con delle gambe meravigliose: fanne una poesia”. E nacque Dora Markus, ma la poesia è totalmente ispirata da Gerti: il piumino, il topo bianco d’avorio erano i suoi. Per anni non si seppe nulla dell’identità di Dora, finché il suo volto finalmente si rivelò nella mostra del 2005, la foto ce l’aveva ancora Gerti, e la sua storia si è chiarita grazie all’indagine della Fischer, che tra le lettere di Bazlen ne ha trovato una inviata a casa di Dora Markus, a Vienna, dove era ospite Gerti. Dorothea, nata nel 1900, si trasferì nel 1938 in Inghilterra e poi a Chicago nel 1952. Le ultime notizie risalgono al ’78, a portarle è un amico di Gerti che sta a Graz, e che di Dora sapeva che viveva a San Francisco.
Negli ultimi anni Gerti si sentiva una sopravvissuta. «Era una donna – parole di Del Giudice – che veniva da un’epoca in cui le persone contavano, e amarle significava conoscerle e conoscersi nel rapporto con esse e magari giudicare e confliggere ma proprio per questo amare. Credo che questo fosse il tesoro di Gerti».
Redazione, I segreti di Gerti Frankl magnetica seduttrice della Bloomsbury triestina, Il Piccolo, 11 settembre 2018

Gerti Frankl nasce l’11 settembre 1907 (1) a Graz in Austria dove frequenta le scuole. Nel 1925 si trasferisce in Italia a seguito delle nozze contratte con Carlo Tolazzi (2). Quando nel marzo 1938 i nazisti invasero l’Austria ed emanarono le leggi razziali i genitori traslocarono a Vienna in un’abitazione di un generale tedesco, mentre Gerti viaggiò tra l’Austria e Trieste cercando anche dei visti per coloro che volevano espatriare e che chiedevano il suo aiuto poichè era l’unica libera (avendo sposato un uomo di religione cattolica non era conosciuta come ebrea). Racconta che, dopo il 1940, si presentò a Benito Mussolini spiegandogli che se l’avesse aiutata a far espatriare i suoi genitroi avrebbe messo a disposizione le sue ricchezze per l’Italia, ma non ottenne alcun risultato. Decise quindi di presentarsi al Papa ma fu ricevuta dal cardinale Maglione. Dopo poco tempo quando era già rientrata a Trieste la chiamò il vescovo Santini comunicandole che era arrivato un documento, firmato dallo stesso cardinale e sul quale c’era scritto per speciale riguardo al Santo Padre, che oltre a proteggere i genitori li esoratava a farli venire (1) in Italia. I genitori che avrebbero dovuto partire lo stesso giorno furono catturati e deportati in un campo di concentramento in Cecoslovacchia. Quando il territorio di Trieste fu occupato dai tedeschi tornò a Palmanova, dove aveva affittato due stanze per conservare la sua argenteria. Qui fu denunciata e arrestata dalla polizia per la diffusione di notizie allarmanti, ma grazie ad un ufficiale di sua conoscenza fu immediatamente liberata. A Palmanova lavorò come traduttrice dal tedesco delle carte d’identità fino al 1944. All’arrivo delle truppe tedesche partì per Tirano, in Valtellina, dove alloggiò presso l’amico Armando Tipaldi, direttore di dogana e triestino antifascista dove rimase a lungo. A causa della lotta partigiana e dei bombardamenti lasciò Tirano per trasferirsi a Milano, dove il vescovo della stessa città le disse di rivolgersi al vice parroco don Lorenzo Cazzani della parrocchia di santa Maria Bianca della Misericordia che le procurò le carte d’identità e un alloggio in via Leoncavallo. Dopo aver rifiutato la proposta di fare da guida a persone che volevano migrare in Svizzera attraverso la Valtellina, in un negozio in corso Buenos Aires fu riconosciuta dal delatore Grini, che la segnalò ad un SS in borghese. Fu in quel momento che passò per la via un tram con porte aperte sul quale velocemente salì dirigendosi verso la stazione ferroviaria e, dopo aver avvisato il vescovado, partì per Tirano.
Note
1) Gerti Frankl dichiara nell’intervista di essere nata l’11 settembre 1907. Dai cataloghi delle due mostre documentarie dedicate a Gerti Frankl, realizzate dal Centro di Documentazione della Cultura regionale di Trieste nel 1995 e nel 2005, si evince invece che la data di nascita di Gerti Frankl è l’11 novembre 1902. 2) Carlo Tolazzi, triestino, nel 1922 frequentava il Politecnico di Graz. Durante una serata fra amici, conobbe Gerti Frankl. I due si sposarono clandestinamente a Londra nel 1925; si separarono nel 1932.
Redazione, Intervista a Gerti Frankl, Cdec

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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