La connotazione obliqua del realismo di “Tre operai” viene rilevata fin da subito da parte di critici e recensori

Come indicato da Borgese a partire dai primi anni Venti (“Tempo di edificare” è del ’23) l’obiettivo primario della nuova generazione di narratrici e narratori è quello di seguire l’esempio europeo e costruire, dando priorità al contenuto di realtà (da cui il cosiddetto contenutismo), un modo letterario inedito. Come si è notato, però, la scrittura restituisce a chi scrive una realtà fondamentalmente ambigua, e la sostanza morale si rivela contraddittoria al punto da richiedere l’impiego di meccanismi formali di tipo destrutturante.
Un romanzo che rende perfettamente conto di questo processo è “Tre operai” di Carlo Bernari, poiché la sua storia compositiva esemplifica il passaggio da una scrittura d’impianto tradizionale, a tratti naturalista, alla formulazione problematica e problematizzante della rappresentazione.
Il primo «embrionale progetto [alla base di “Tre operai”] si qualifica come un saggio a carattere storico e sociologico», nato «dall’esperienza lavorativa di Carlo Bernari come impiegato presso una fabbrica, a partire dal 1924, e dall’esigenza di testimoniare le condizioni di lavoro e di vita degli operai e dei “diseredati del Pascone”; è da questi anzi che proviene la sollecitazione a scrivere una “storia della classe operaia a Napoli”» <4. L’idea compositiva originaria, dunque, è un lavoro d’impianto cronachistico, con finalità etiche e documentarie, finalizzato alla resa diretta della realtà sociale di una classe reale di persone.
Più avanti, il progetto sociologico diventa letterario, ed è a questo punto che inizia la storia redazionale del primo romanzo di Bernari, così articolata: tra il ’28 e il ’31 l’autore si dedica alla stesura di “Tempo passato”, poi rinominato “Gli stracci”.
Si tratta della prima versione inedita del romanzo <5, ripresa e rivista tra il ’32 e il ’34 per la pubblicazione in volume <6. Con il titolo definitivo di “Tre operai”, il lavoro viene pubblicato nel 1934 nella collana i giovani di Rizzoli, diretta da Cesare Zavattini, e in copertina riporta il nome di Carlo Bernard (poi sostituito con lo pseudonimo Bernari). L’autore torna sul testo in due ulteriori occasioni: la prima coincide con la riedizione del 1951, per la collana la medusa degli italiani di Mondadori, cui corrispose un sensibile intervento correttorio; e la seconda, del ’65 per la collana narratori italiani di Mondadori, in cui si registrano varianti di dettaglio <7 e l’aggiunta di una “Nota d’autore”.
La fase di rielaborazione principale, dunque, corrisponde alla riscrittura del ’32-’34, mentre le pubblicazioni successive non presentano integrazioni e modifiche sostanziali (importanti, sì, ma non al punto da riconfigurare la struttura, lo stile e i significati del romanzo <8). Nell’ottica di un discorso rivolto al romanzo italiano degli anni Trenta, l’analisi di “Tre operai” terrà in considerazione la prima edizione in volume del ’34, e, in particolare, la forma che il testo assume in relazione ai cambiamenti che si registrano nel passaggio dalla prima stesura, ossia “Gli stracci”, alla versione pubblicata.
In occasione dell’edizione definitiva del romanzo, quella del ’65, Bernari ripercorre la genesi e la storia di “Tre operai” nella “Nota” già menzionata. In via retrospettiva, quindi, l’autore indaga le ragioni che a cavallo tra gli anni Venti e Trenta lo spinsero a scrivere il libro e, di lì a poco, a riformularlo quasi totalmente. Il motivo che sta alla base dell’autoanalisi critico-filologica coincide con il ritrovamento del dattiloscritto inedito de “Gli stracci”, emerso «magicamente» da «una cassa piena di cartacce» (finita tra le mani di Bernari in occasione dello sgombero della «cantina allagata» <9). Nel presentare il romanzo, quindi, l’autore avanza un’interpretazione circa la natura e gli effetti dei principali interventi correttori. In primo luogo, l’autore segnala l’«operazione riduttiva» <10 avvenuta nel passaggio da “Gli stracci” a “Tre operai”, connettendo fin da subito i contenuti del racconto alle forme e ai modi della rappresentazione. Il protagonista Teodoro nella prima stesura è infatti un «piccolo-borghese declassato» che in seguito diviene «operaio in un mondo di operai». Si passa così da «un’oggettività naturalistica piccolo borghese ad una soggettività aspra, risentita, quasi da prima persona», che s’innesta sulla «vocazione dell’intero dramatis personae a escludere il narratore per autonarrarsi» <11. La caratterizzazione del protagonista segna così la riformulazione in chiave soggettiva, e insieme non mediata o stilizzata (aspra, risentita) della focalizzazione complessiva, passando da moduli naturalistici, quindi tradizionali nel mantenimento della distanza prospettica tra istanza narrativa da una parte e personaggi (quindi luoghi e ambienti in cui si muovono) dall’altra, alla resa più marcatamente diretta del punto di vista del protagonista Teodoro <12. Si tratta di un’operazione che Bernari connette, tramite relazione causa-effetto, alla «regressione verso il parlato, il dialetto», alle «ibridazioni di linguaggio, specialmente fra discorso diretto e indiretto» <13 e, insieme, alla «sfocata dilatazione di effetti visivi, a mezza strada tra espressionismo e metafisica» <14. La connotazione obliqua del realismo di “Tre operai” viene rilevata fin da subito da parte di critici e recensori, come ricorda lo stesso autore. Esemplificativo il giudizio di Luciano Anceschi che, recensendo il romanzo nel ’34 <15, parla di «nuova obbiettività», contaminata, aggiungiamo noi, dai modi della “Neue Sachlichkeit” tedesca e, questo a detta di Bernari, animata dalla «lezione figurativa» impartita dal «cinema realista europeo o americano» <16. L’incidenza storica, come adesione più o meno volontaria alla temperie culturale e ideologica degli anni Trenta, sta alla base di un altro importante cambiamento, ossia la scelta di «scartare la memoria come terreno di coltura letteraria» <17. Il ragionamento di Bernari è il seguente: la rappresentazione nostalgica di un’«idillica giovinezza» avrebbe fornito «un alibi estetico al fascismo», sfociando nella formulazione di un «termine negativo ma non distruttivo» <18 nei confronti della realtà. L’istanza distruttiva è quindi raggiunta tramite due movimenti principali: quello dell’«alienazione» (a creare uno spazio in cui «non s’intromettesse nessun elemento autobiografico»19) e quello della storicizzazione, corrispondente all’adesione, il più possibile referenziale, alla realtà storica e reale che Bernari sentì il dovere di raccontare («Già l’aver affidato il messaggio a tre operai, invece che a tre piccolo-borghesi mi pareva costituire di per sé un atto di liberazione» <20). Alla medesima vocazione etica («dovetti sentire che il passato che evocavo voleva essere un implacabile atto d’accusa al presente» <21) è ricondotto l’impiego di quello che l’autore chiama «presente storico» <22, ma che è più corretto definire «presente simultaneo» <23. Nel passaggio da “Gli stracci” a “Tre operai”, infatti, il romanzo presenta l’uso diffuso del presente indicativo, e solo alcune parti, per altro facilmente circoscrivibili (vi si torna in seguito), presentano l’impiego tradizionale dell’imperfetto e del passato remoto <24.
Il movimento critico rivolto al presente storico rimane tuttavia insuperato nella misura in cui presenta una «negatività programmatica» <25 che impedisce al romanzo di risolvere quella che rimane a tutti gli effetti la «“favola” di una formazione mancata» <26. L’autore conferma la lettura notando che «all’ideale di una società libera, razionalmente organizzata, “umanizzata” dalla scienza e dalla tecnica non seppe opporre che la pietosa menzogna di una “storia operaia”» <27. Riferendosi, dunque, alla stesura della prima edizione di “Tre operai”, Bernari registra lo scarto esistente tra il contenuto ideologico astratto della scrittura, che pure esercita una spinta di tipo etico-morale, e l’unica risposta narrativa possibile: ovvero il racconto di un’esperienza individuale che nel proprio fallimento assurge a simbolo manchevole e problematico di un’intera generazione. Sul piano storico-reale, il polo negativo in virtù del quale si realizza lo scacco coincide con il regime mussoliniano (che nel corso degli anni Trenta va istituzionalizzandosi), a proposito del quale l’autore si descrive «sdegnoso di ogni gesto letterario che non servisse a liberare (qualcosa, qualcuno, sé stesso) dalla soggezione del fascismo» <28. Si comprende allora meglio la portata «distruttiva» e, insieme, problematica di un romanzo che, nel ’34, mette in scena la parabola fallimentare di tre operai (Teodoro, Marco e Anna). Lo scacco si consuma sia da un punto di vista esistenziale, legato cioè al percorso di crescita dei personaggi, sia da un punto di vista storico-politico, dal momento che la seconda metà della vicenda è ambientata nel cuore delle rivolte operaie del cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920) <29. Il fallimento illumina una realtà senza riscatto che smentisce apertamente l’ideale sociale in nome del quale il fascismo stava investendo i propri sforzi propagandistici, e nel farlo istituisce una critica negativa e pessimista, che non ha ancora gli strumenti necessari a formulare una prospettiva di superamento positiva delle impasse etiche e politiche <30.
[NOTE]
4 Francesca Bernardini, Tre operai nel tempo, «Rivista di studi italiani», XXXIV, 2, 2008, p. 26
5 Gli stracci è inedito all’altezza della prima edizione in volume del ’34 e tale rimane fino primi anni Novanta: Carlo Bernari, Gli stracci, a cura di Eugenio Ragni, Manichelli, Roma 1994.
6 Per la ricostruzione e la datazione delle fasi di stesura della prima e della seconda redazione del romanzo, con riferimento agli scambi epistolari tra Bernari e Cesare Zavattini (direttore della collana i giovani per Rizzoli) e in generale per la ricostruzione dettagliata e filologica del lavoro di revisione condotto da Bernari in occasione delle riedizioni del romanzo, cfr. Francesca Bernardini, Introduzione, in Carlo Bernari, Tre operai, Mondadori, Milano 2005, pp. V-XLII.
7 Come nota Quaglino, «le varianti introdotte rispetto all’edizione del 1951 sono però di poco conto e attengono perlopiù al livello linguistico» (Margherita Quaglino, La rappresentazione del lavoro nelle varianti di Tre operai di Carlo Bernari, «Allegoria», XXXV, 86, luglio-dicembre 2022, p. 39). Quaglino studia le varianti intervenute nel processo compositivo del romanzo; in particolare, evidenzia in che modo il passaggio dalla prima stesura alla versione definitiva del ’65 (attraverso la riscrittura del ’34 e la revisione del ’51) riveli «la filigrana politica» del testo (ivi, p. 38).
8 «La struttura del romanzo è definita nel ’34 e rimane invariata nelle successive edizioni» (Francesca Bernardini, Introduzione, in Carlo Bernari, Tre operai, cit., p. XXIV)
9 Carlo Bernari, Nota 1965, in Id., Tre operai, cit., p. 159.
10 Ivi, p. 161.
11 Ibidem.
12 «Grazie a questi interventi, il centro del romanzo è definitivamente il percorso umano e intellettuale di Teodoro» (Francesca Bernardini, Introduzione, in Carlo Bernari, Tre operai, cit., p. XIX).
13 Carlo Bernari, Nota 1956, in Id., Tre operai, cit., p. 161.
14 Ivi, p. 163.
15 Luciano Anceschi, Recensione a Tre operai, «Camminare», febbraio 1934.
16 Carlo Bernari, Nota 1956, in Tre operai, cit., p. 164.
17 Ivi, p. 165.
18 Ibidem.
19 Ibidem.
20 Ivi, p. 162.
21 Ivi, p. 166.
22 Ibidem.
23 La definizione di narrazione simultanea è ripresa da Gerard Genette, Figure III. Discorso del racconto, trad. it. di Lina Zecchi, Einaudi, Torino 1976, p. 264. Genette definisce simultaneo «il racconto al presente contemporaneo all’azione». Un altro riferimento critico importante è quello offerto da Castellana che, sulla base del discorso genettiano, intende il presente simultaneo come soluzione formale tipicamente modernista (Riccardo Castellana, Finzione e memoria. Pirandello modernista, Liguori, Napoli 2018; cfr. in particolare il capitolo V, Indicativo presente: la narrazione simultanea nelle novelle, pp. 134-140). Altri aspetti, evidenziati da Castellana, confermano la possibilità di riconoscere in Tre operai l’applicazione della narrazione simultanea. Nel romanzo di Bernari si registra infatti: «1) l’uso tendenzialmente esclusivo del Presente come tempo narrativo (senza alternanza con il Perfetto e l’Imperfetto) e 2) la contemporaneità effettiva (non retorica) tra azione e narrazione: chi narra registra insomma gli eventi narrati nel momento esatto in cui essi si svolgono» (ivi, p. 135).
24 Come nota Harald Weinrich, i generi letterari rappresentano situazioni comunicative tipizzate. I generi narrativi – quali, ad esempio, la novella e il romanzo – impiegano tempi verbali al passato (in particolare: imperfetto e passato remoto) che rientrano nella configurazione del mondo narrato. La significazione verbale del mondo narrato si distingue dalla significazione grammaticale poiché la sua funzione primaria è quella di marcare una differenza ontologica rispetto alla realtà. Il passato del mondo narrato è quindi indice di una situazione comunicativa indipendente dalla realtà concreta, comprensiva delle regole cronologiche e grammaticali (Harald Weinrich, Tempus, Le funzioni dei tempi nel testo, trad. it. di Maria Provvidenza La Valva e Paolo Rubini, Il Mulino, Bologna 2004; cfr. in particolare il capitolo II, Mondo commentato e mondo narrato, pp. 43-80).
25 Francesca Bernardini, Introduzione, cit., p. XXXV.
26 Ivi, p. XXV.
27 Carlo Bernari, Nota 1956, cit., p. 171.
28 Ivi, pp. 168-169.
29 Quaglino evidenzia un lieve sfasamento temporale tra il fatto raccontato nel romanzo e l’episodio reale. La rappresentazione dell’occupazione delle fabbriche, in Tre operai (’34), è collocata nel biennio 1920-1921, mentre il “biennio rosso”, cui senza dubbio l’autore allude, coincide con gli anni 1919-1920. A questo proposito, Quaglino nota che «lo spostamento cronologico, già presente in T34, alludeva probabilmente alla nascita del partito comunista dalle agitazioni del 1919-20 ma, forse per timore della censura fascista, evitava di farlo in modo diretto» (Margherita Quaglino, La rappresentazione del lavoro nelle varianti di Tre operai di Carlo Bernari, cit., p. 51).
30 «I personaggi (e soprattutto Teodoro) restano infatti al limite di una conquistata consapevolezza di diritti e di doveri, quasi in una zona nebulosa […] Affiora quindi un proposito di rinnovamento senza ben individuati sbocchi […] l’impersonalità di Anna, vittima e non artefice di avvenimenti, la fiacca protesta di Teodoro (un’incostante vita pendolare che oscilla e non avanza, che si macera senza risultati positivi), le frustrate speranze di Marco non sono certo i coefficienti di una tesi, bensì di uno stato di incertezza, nel quale i programmi hanno preso forma, non forza» (Giuseppe Amoroso, Per i Tre operai di Carlo Bernari, in Id., Sull’elaborazione di romanzi contemporanei, Mursia, Milano 1970, p. 124).
Michela Rossi Sebastiano, Il realismo obliquo nel romanzo italiano degli anni Trenta, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Siena, Université Paris Nanterre, 2023

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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