La forma-diario è centrale per comprendere la poesia di Raboni

D’altronde, questa tendenza diaristica è vistosamente rintracciabile in diverse pagine critiche e d’autore a diverse altezze cronologiche. E non solo, come ricorda Anna Chella, perché (per cominciare dal principio) nell’archivio privato di Raboni si conservano alcuni frammenti di un diario giovanile, «un piccolo journal intellettuale, in cui ricorrono i nomi di Rilke, Mann e Gide, intrecciati ad appassionate riflessioni sulla filosofia e la teologia», risalente alla fine degli anni ’40; <84 né tantomeno per i contorni «diaristici» che, all’altezza del 1956, assume (negli scambi epistolari con Betocchi) la plaquette inedita intitolata Passione secondo san Luca («non riesco a chiudere il capitolo della Passione – mi sembra che in fondo sia quello il mio diario, il mio libro aperto al quale tornare di continuo»); <85 o, ancora, gli esperimenti condotti a partire dal Diario di una scrittrice di Virginia Woolf – nel quale identificava il ripercuotersi dell’«immagine anonima, polivalente di tutta un’area della letteratura europea fra le due guerre, intenta a catturare un’esistenza-pronuncia, un’esistenza sintassi » in quella, soffertamene reale, di un’«esistenza indifferenziata» (oggi si direbbe, con l’Agamben insieme più e meno heideggeriano, «singolarità qualunque») che stava precipitando «per conto suo verso le inumane e impronunciabili sconfitte che conosciamo». <86
A ben vedere è in primo la ‘correzione’ sereniana a Vittorini cui più sopra si accennava a darci una precisa indicazione in merito. La passione con la quale Raboni si dedicherà, sul filo degli anni, alla lettura del Diario d’Algeria e agli ‘inediti’ sereniani destinati a confluire negli Strumenti umani sembra adesso assumere il valore di una dichiarazione di poetica non solo in versi: “Dopo il Diario d’Algeria (1947), di cui non conosco altro libro che sia un diario più autentico, più ferocemente datato (datato in tutti i sensi: luogo stagione, anno domini, età del poeta), non si poteva, direi, che tornare a leggere il suo primo libro con l’intenzione specifica di vedere se, alle volte, non se ne erano involontariamente rimosse certe implicazioni, se non era possibile rintracciarvi la preistoria o addirittura la prima parte di quello stesso diario […]. Con quell’ambiguità e quella possibilità di risultare significante contemporaneamente a più livelli, che sono proprie della poesia, il Diario d’Algeria riesce a restituirci, da una parte una situazione singola, irripetibile e «non esemplare» (e proprio per questo persuasiva e sconvolgente) e da un’altra parte, senza contraddizioni e senza sforzo, una situazione collettiva che non è affatto la dilatazione, la moltiplicazione degli elementi che compongono la prima ma possiede una sua esattezza e verificabilità completamente autonome”. <87
“Dopo averci dato, con il Diario, l’immagine di una crisi storica oltre che personale, Sereni ci sta dando ora il ritratto altrettanto sincero e forse ancora più lacerante di un intellettuale assediato dalle pressioni dell’apparato capitalistico”. <88 Come, del resto, è ravvisabile anche sul fronte epistolare: “Caro Sereni, ho tentato ieri sera di telefonarle perché non volevo partire da Milano (parto questa mattina) senza ringraziarla ancora della lettura che mi ha permesso della Sua poesia e soprattutto senza dirle che ne ho ricavato una grandissima impressione. Soprattutto le ultime (penso da I versi in avanti: ma anche indietro…) mi sembrano straordinariamente importanti, e non solo per la storia della sua poesia, ma anche per la nostra storia comune, per la lettura che consentono – in chiave positiva, aperta verso il futuro – di una situazione confusa ma piena di nodi, di grumi attivi, come è quella attuale della poesia”. <89
Questa ‘funzione Sereni’ (ma tenendo, a ben vedere, sullo sfondo una ‘funzione diario’) si rispecchia a più riprese sul versante critico. In un’occasione cagionata dal secondo numero della rivista «Questo e altro», Raboni ne rintraccerà occasioni e modi a partire dalla «permanenza nella storia» e dall’«impegno» che traspare da una poesia solo apparentemente «metafisica» e «religiosa» come quella di Clemente Rebora: “Prima di essere una poesia religiosa la poesia di Rebora è stata, si direbbe oggi, una poesia «ideologica»: una poesia innervata da una ricerca di tipo morale, dalla ricerca di una verità (non una verità poetica, ma una verità pratica, comune e totale). E di questa ricerca la poesia di Rebora è stata, fin dall’inizio, non lo strumento, e tanto meno il luogo, ma semplicemente il diario, una verifica quotidiana”. <90
Se, come crediamo, la forma-diario è centrale per comprendere non solo la poesia di Raboni, ma l’opera tout court – autentico luogo di incontro di storie e destini personali e generali -, sarà bene anticipare delle conclusioni. Si conoscono – è ancora Chella a rammentarlo, con particolare attenzione agli aspetti legati alla traduzione e al rapporto con Louis Aragon – le ragioni che porteranno Raboni a comporre, nel 1968, una sorta di «diario in racconti» destinati a divenire, due anni più tardi, i testi in prosa della plaquette (e quindi della sezione di Cadenza d’inganno) intitolata Economia della paura. <91 Si tratti di poesia o di prosa, l’idea centrale è sempre quella di una «resistenza del fatto letterario rispetto a ciò che lo minaccia»; ciò che comporta una profonda interconnessione tra letteratura e realtà, di cui il diario è forse l’espressione più alta.
[…] Se è vero che lo «stile medio del diario» è l’autentica via raboniana alla «resistenza» poetica – punto di contatto tra quotidiano e storico, «a partire dal vissuto» ma appartenente a tutta un’«esperienza» -, allora ha ragione Maurizio Cucchi quando afferma che è impossibile o sbagliato separare il Raboni critico dal poeta. <94 Ha torto Mengaldo, quindi? Si direbbe piuttosto, se «il critico è il critico e il poeta il poeta» (con il loro «ben preciso stacco di piani», la loro «completa autonomia di responsabilità e di linguaggio»), che i due condividano, oltre a una «complicità di carattere culturale e spirituale», il significato di una particolare «angolatura»: quella che interseca il luogo-progetto sempre aperto e possibile che è la forma-diario. <95 Non si tratta, in effetti, di casi isolati: Magro individua tracce del diarismo raboniano in Nel grave sogno (e in particolare in Il più freddo anno di grazia), nonché in Canzonette mortali e Barlumi di storia; <96 circostanze che si muovono, come le raccolte stesse testimoniano, di una biforcazione sempre più evidente e dolorosa tra un massimo di collettività esemplata e anzi esperita dalla singolarità nei suoi più o meno immediati dintorni e un minimo di singolarità che tenta, per tramite di sé e del suo «privato» veritativo-amoroso, di riassumere una condizione di generale smarrimento esistenziale.
Ebbene, questi elementi sono a ben vedere simmetricamente rintracciabili nell’opera del critico. Basterà fare ritorno al 1961 – anno che, ad ogni buon conto, inaugura la «storia» di Poesia degli anni Sessanta – per reperire, tra i testi non raccolti, una testimonianza quanto mai esemplare: “Un diario è sempre un documento difficile da interpretare, un documento che bisogna esplorare in molte dimensioni – quella della sincerità ma anche quella dell’insincerità, la dimensione delle notizie, della cronaca ma anche una dimensione, in largo senso, espressiva, legata cioè a un certo grado di espulsione e oggettivazione fantastica – per poter cominciare a ricavare dalla somma delle reazioni di lettura un po’ di ordine e il principio di una restituzione valida anche per terze persone, un’immagine sufficientemente a fuoco e unitaria”. <97
Oggetto dell’indagine del documento diaristico è, precisamente, lo scarto e il contatto fra quotidianità ed «espressività», notiziario-cronaca e oggettivazione formale, dimensione intima e «restituzione» di un’immagine valida al di fuori di sé. Klee sembra interessare a Raboni per qualità che sono, a ben vedere, anche sue, come l’ombra del tecnico che si staglia sull’artista: “si veda come a certe confessioni del tecnico, dell’artigiano […], che ci fanno intravvedere il «maestro» della Bauhaus, si alternano, bruscamente, ma con un effetto cosciente se non calcolato, i passi molto numerosi nei quali Klee mette l’accento sulle clausole metafisiche della propria opera, sul fondo sostanzialmente religioso […] della propria esperienza”. <98
È chiaro che «attenersi al semplice fatto della poesia» è quanto mai «difficile» se non si «sta ai testi», se «un’“idea” di poetica guida la lettura, la forma (o deforma) a propria immagine e somiglianza». Per questo – sottolinea Raboni parlando di Solmi – l’attività vista dai molti come «poco meno che umiliante» può rivelarsi il solo modo di rendere onore agli oggetti: l’«ostinato lavoro di un artigiano». <99
[NOTE]
84 A. Chella, Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia, cit., p. 10.
85 G. Raboni, Lettera a Carlo Betocchi del 21 giugno 1956, ora in A. Chella, Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia, cit., p. 45. Al riguardo, cfr. L. Daino, «Passione secondo San Luca»: una plaquette inedita di Giovanni Raboni, in C. Borrelli, E. Candela, A. R. Pupino (a cura di), Memoria della modernità. Archivi ideali e archivi reali, Atti del XIII Convegno Internazionale della MOD (7-10 giugno 2011), Pisa, ETS, 2013, pp. 317-28.
86 G. Raboni, Recensione a V. Woolf, Diario di una scrittrice (traduzione di G. De Carlo e V. Guerrini, Mondadori, Milano), «aut aut», 57, maggio 1960, pp. 196-7.
87 Id., Sereni e l’inclusività dello spazio poetico, in Esempi non finiti della storia di una generazione, «aut aut», 61-62, gennaio-marzo 1961, pp. 73-93: 87-93; poi, con tagli e come Sereni inedito in P60, pp. 223-6.
88 Id., Sereni inedito, cit.
89 Id., Lettera a Vittorio Sereni del 5 luglio 1960, ora in A. Chella, Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia, cit., pp. 118-9.
90 G. Raboni, Gli spigoli della realtà, «Questo e altro», 1, 1962, pp. 75-7; poi, come Perché Rebora, in P60, pp. 254-60: 256-7.
91 Id., Lettera a Carlo Betocchi del 3 maggio 1968, ora in A. Chella, Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia, cit., p. 302. Cfr. G. Raboni, Economia della paura, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1970; poi in Cadenza d’inganno (1976), ora in OP, pp. 99-104.
94 A. Porta, Il progetto infinito, a cura di G. Raboni, Roma, Edizioni «Fondo Pier Paolo Pasolini», 1991, p. 120. Cfr. anche V. Sereni, A partire dal vissuto, lettura radiofonica del ciclo Poesie come persone; ora in V. Sereni, Poesie e prose, cit., p. 975. Nelle note al testo si legge che quest’ultimo «è trascritto dal dattiloscritto conservato nell’Archivio Sereni con la segnatura SER PR 0342. Sul dattiloscritto sono inseriti interventi successivi (in parte inglobati in una stesura posteriore, conservata con la segnatura 0343) per ricavarne la voce monografica edita in Poesia italiana del Novecento, Milano, Garzanti, 1980, vol. 2, pp. 609-12.
95 Cfr. P. V. Mengaldo, Giovanni Raboni, cit., p. 108. Cfr., per le riprese testuali, G. Raboni, Il semplice fatto della poesia, cit.
96 Cfr. F. Magro, Un luogo della verità umana, cit., pp. 122, 151, 173. Cfr. anche M. Del Corona, Il percorso poetico di Giovanni Raboni, l’anti-realtà di «Canzonette Mortali e oltre, «Annuario» del Liceo Classico Statale Carducci (Milano), 3, A. S. 1987-88, pp. 126-34: 129: «Canzonette mortali è, anche in questo senso, diverso [da Nel grave sogno], mi pare che abbia una struttura da canzoniere, tra il piccolo canzoniere e il diario». Cfr. anche G. Raboni, «Vivere almeno al 50 per cento», cit., pp. 2-14: 11-12: [Canzonette mortali] è un libro che continua a piacermi, composto di due parti abbastanza diverse perché le Canzonette mortali vere e proprie sono state scritte dopo: l’altra parte, Lista di Spagna, è una specie di diario. Un diario scritto in un momento in cui sembrava che tutto dovesse finire».
97 Id., Klee nei diari, «aut aut», 58, 1960, pp. 246-8: 246.
98 Ivi, p. 247.
99 Id., Il semplice fatto della poesia, cit.
Massimiliano Cappello, Giudici, Zanzotto, Raboni. Autonomie ed eteronomie della prosa, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2020-2021

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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