Posso immaginare che abbia visti ruderi simili a questi della fotografia, che sono, invero, ormai in qualche modo sistemati, ruderi che affioravano appena dalle sabbie accumulatesi con il tempo a Nervia di Ventimiglia (IM), il religioso ed erudito Aprosio a metà 1600, che trasse dalla sua scoperta non solo la convinzione di avere individuato la sepolta città romana, ma anche, con l’enfasi tipica della sua epoca barocca, l’ispirazione di paragonare quegli scomparsi antenati alla dimensione mitica di antichi troiani.
Ci fu chi, considerato allora insigne dotto da quelle – queste mie! – parti, contestò simili affermazioni di un Aprosio appena tornato in zona dopo decenni passati altrove – importante, ad esempio, il periodo di Venezia per le conoscenze là maturate -, rinfacciandogli che la presenza quirite si era, invece, affermata sul promontorio del successivo sviluppo medievale di Ventimiglia. Passarono più di due secoli perché si desse ragione al Nostro.
Già una riflessione di questa natura rende interessante, a mio avviso, la figura di Aprosio (al secolo Ludovico; Angelico come eremitano di S. Agostino; nato a Ventimiglia nel 1607 e ivi morto nel 1681). Io stesso ho considerato a lungo il fondatore della prima Biblioteca Pubblica della Liguria, che da lui prende il nome, solo un collezionista di libri, che si dilettava di artifici letterari barocchi, per l’appunto. Man mano che leggo della sua vita, dei suoi contatti con un certo mondo intellettuale, non solo italiano, ed anche di certe sue opere, la figura dell’Aprosio assume ai miei occhi una nuova dimensione, di uomo che ardeva dal desiderio di conoscere e che talora fu pavido per non soccombere a facili, ai suoi giorni, accuse di eresia. Per dire, fu anche Vicario dell’Inquisizione, ma molti indizi fanno supporre che avesse cercato quella carica soprattutto per poter leggere, in funzione della sua insaziabile curiosità, libri messi all’Indice.
Conobbe Gian Domenico Cassini, il futuro grande astronomo.
Cassini che fece i primi studi, quelli di base, nella parrocchia di Vallebona.
E del quale mi piace, aprendo una divagazione, pensare che dalla natia Perinaldo passasse spesso da questo crinale, che comunque incombe su Vallebona e sulla Valle del Borghetto.
Fu l’Aprosio a mettere in contatto Cassini con un nobile di Genova, che per il giovane rappresentò una sorta di trampolino di lancio verso la successiva, luminosa attività.
C’é un particolare, tipico in quel secolo, che sottolinea il rapporto tra l’anziano agostiniano e l’astronomo, di lì a poco amico di Cristina di Svezia, ma soprattutto in seguito beniamino del Re Sole: il Cassini ormai emigrato mandò all’anziano religioso in dono un quadro che lo ritraeva, un segno preciso, nel simbolismo di quella società, di stima e di considerazione.
In quello che era ormai il suo eremo in Ventimiglia – il Convento nella piana tra il fiume e il torrente, che ospitava, mercé anche qualche accorgimento rispetto alle regole vigenti, quale dichiararla aperta al pubblico, la sua poderosa “Libraria” -, l’Aprosio aveva anche l’animo di sollevare lo sguardo da sue residuali incombenze e ancor più dalla sua fitta corrispondenza epistolare con il mondo della cultura a lui contemporaneo per accorgersi di dolenti aspetti di umanità intorno a lui, come la povertà dei pescatori di Bordighera, costretti a vendere il frutto delle loro dure fatiche a prezzi imposti su piazza a Ventimiglia…