Finora non avevamo a disposizione – dal Fondo Caproni – che una busta vuota, con la data del 15 giugno 1975 desumibile dal timbro postale. 44 Alcune annotazioni a lapis di mano caproniana ne facevano supporre una qualche importanza, se registravano il giorno dell’arrivo (il 16/6) e due diverse modalità di risposta («Risp. telef. 21/6 – Risp. lett. 22/6»). Adesso sappiamo che proprio quella busta inviata da Francesco Tentori doveva contenere il dattiloscritto dal titolo Nota sull’ultimo Caproni poi pubblicato (anche se senza titolo, in successione a quello di Luzi) su «L’Albero» 1975. 45
Si trattava di fogli di carta velina compatibili con una busta di normale formato, recanti in testa, manoscritte, alcune parole di accompagnamento/saluto («e un abbraccio / Francesco»), che dovettero essere collocati subito dallo stesso destinatario nella «cartella articoli» (se si tiene conto di una nota a lapis apposta sulla stessa busta vuota). Quelle pagine recensive di fatto continuavano un dialogo che c’era stato tra i due tra il ’74 e il ’75, configurandosi quasi come una risposta (visto che di nuovo si citava l’«animo», e parimenti in ‘altezza’) a una lettera (non rintracciata finora tra le carte Tentori) che Caproni doveva avergli inviato nell’ottobre dell’anno prima per ringraziarlo dell’invio di Corrispondenze in una stanza, 46 se nel Fondo Caproni, 47 ancora inedito, si trova, allegato alla busta vuota del 15 giugno, un foglio/lettera quadrettato di mano del nostro poeta che doveva esserne stato un originario canovaccio:
Caro Francesco,
dopo quello che ha detto in limine Mario [Luzi], e con così tagliente penetrazione, che posso aggiungere io, rileggendo (e in parte leggendo per la prima volta; ma una poesia – un poème – lo si legge sempre per la prima volta: e in questo consiste la prova della sua autenticità) i versi raccolti in Corrispondenze in una stanza?
Hai l’amore – l’invidia – che ho sempre provato per te: per la tua coerenza e il tuo procedere rettilineo (un sol impatto stilistico), o compiendo soltanto quegli scarti che l’animo comporta non orizzontalmente ma verticalmente, nel senso di un sempre maggior scavo, o di una sempre maggiore elevazione.
(Brutta frase fatta, quest’ultima, ma perdonamela).
Ci rivedremo spero. L’ultima visita, interrotta dal medico, mi ha lasciato male
tuo
Giorgio
Dell’entusiasmo invece di Tentori per la poesia di Caproni sappiamo, oltre che dal pezzo pubblicato sull’«Albero», 48 da lettere a D’Andrea 49 e da un’altra lettera inedita a Caproni del 2 maggio 1971 50 che doveva rispondere a un semi-privato invio, un’anticipazione di testi che sarebbero poi confluiti nel Muro della terra.
Tentori insisteva su convinzione e commozione 51 giocando di nuovo su verticali misure, dicendo:
[…] quanto mi abbiano toccato – in fondo, come sempre – le tue ultime cose, le ultime datemi: tanto quelle che già conoscevo, Il vetrone e L’idalgo, quanto quelle nuove per me; soprattutto per il loro massimo di concisione e di pathos trattenuto – l’Eco della Traviata e la «biblica» famiglia. Di più, in questa direzione, non si può. La Bibbia poi, per chi sa leggere, è la quintessenza della lacerazione «esistenziale». E poiché la poesia è unica, sento queste cose vicine ad alcune di quei poeti cubani di cui ti detti un estratto dall’«Approdo»: specialmente di Eliseo Diego. Se ne hai il tempo guardale. // Le hai mandate a Luzi e a Betocchi? Loro le apprezzerebbero molto, ne sono certo: come è certo che siete, tutti e tre, nella singolarità di ciascuno, i poeti che sento di più. / Una volta c’era Montale. / Un abbraccio dal tuo / Francesco.
Mentre il 4 febbraio 1974, su carta intestata di Ministero della Pubblica Istruzione, 52 mandandogli qualche notizia sulla sua pratica di pensione, gli dichiarava «vecchia ammirazione» indicando la sua predilezione per altre liriche di quella futura raccolta: Parole del borgomastro, Il cercatore, Istanza, Lasciando Loco, a riprova che lo «scavo non accenna a finire; andrai dall’altra parte della terra, o di te stesso».
Quanto a Caproni, come già si anticipava, l’invio tentoriano del 15 giugno aveva avuto un’eco ormai documentabile. Dopo una telefonata che non l’aveva soddisfatto, il grande poeta sarebbe infatti di nuovo intervenuto in merito a quel «pezzo bellissimo» che attribuiva non solo alla generosità, ma alla bravura (di poeta e di critico) del suo interlocutore. Che aveva evocato non soltanto il sentenziare gnomico di Montale (di cui potremmo ricordare anche il «tardi, sempre più tardi» dei Mottetti) ma anche, e in più di un’occasione, Machado.
Un poeta a Caproni carissimo, da ‘conversazioni in una stanza’ (questo il libro di Tentori, del ’74, a cui di nuovo si fa un fuggevole riferimento nel testo, intensificato con forza dalla finale trascrizione degli endecasillabi riportati, a mo’ di saluto, dalla lirica incipitaria) se quanto ci si propone di raggiungere è un cielo domestico, prodotto/destino di un’anima che preferisce il silenzio alle parole:
Roma, 22 giugno 1975
Caro Francesco,
la telefonata non mi ha soddisfatto. Sai che ho in odio il telefono.
Volevo scriverti, e non ci rinunzio.
Hai scritto sul povero mézigue un pezzo bellissimo dove il poeta e il critico si sopraffanno a vicenda e perfettamente si integrano. Un pezzo troppo bello perché io possa crederci, e perché io possa rinunziare del tutto a crederci.
L’ho riletto con attenzione. Ed è caduta anche la mia piccola ‘riserva’ montaliana.
Avevo letto la frase (nella foga della prima lettura) in direzione sbagliata.
Vorrei davvero meritarmi l’apparentamento a Machado. L’ho voluto tirare in ballo di proposito, senza nominarlo. Se non me la perdonerà lui, perdonamela tu! Ma non conosco ‘modello’ più fermo del suo, per un poeta che voglia toccare il cielo dell’anima (anche se io all’anima non ci credo) restando radicatissimo alla terra.
Nessuno ha finora capito, come hai capito tu, che cosa bisogna (non) mettere in luogo dei puntini finali del Vetrone. Quei puntini sono un trabocchetto, perché costretti dalla rima, tutti sono indotti a riempirli col verbo «morire».
Con una banalità, cioè. La tua interpretazione è la stessa ch’io diedi a Frénaud quando tradusse quella poesia, e mi chiese lumi.
Ho ricevuto una tua cartolina, firmata anche da Macrí e da Jacobbi. Grazie.
Partirò dopo il «Viareggio», cioè verso il 15 luglio. Forse prima mi verrai a trovare.
Auguro al tuo libro (che è un gran bel libro, così unito nel suo tessuto e così ricco – lui sì! – d’‘anima’) la fortuna che merita.
Ti abbraccio con tutto il mio affetto e con tanta gratitudine
tuo
Giorgio
A te un saluto, un altro, oltre la siepe di dolore e silenzio, oltre la polvere del consumarsi quotidiano… 53
Esplicita (in sintonia soltanto con la seconda delle possibilità adombrate poi a Surdich) l’interpretazione dei puntini di sospensione, 54 e l’accoglimento dei riferimenti machadiani 55 che rimandavano alla «noria di calce e anima» di Toponimi («quanto machadiana!») 56 e alla «moralità» di un «sentenziare gnomico» per il quale però il nome di Machado era associato a Montale.
- Alla segnatura GC. 1. 757.4(a-b)/b (dove GC. rinvia al Fondo Caproni conservato all’«Archivio Contemporaneo Bonsanti» del «Gabinetto G. P. Vieusseux» [ACGV]).
- Conservato a parte nel Fondo Caproni.
- Il libro uscito nel ’74 da Lacaita.
- Alla segnatura GC. 1. 757.4(a-b)/a.
- L’unico di Tentori su Caproni, secondo quanto risulta dalla bibliografia di Michela Baldini, quantomeno sulla stampa italiana, visto che una recensione a Tutte le poesie dovette uscire, all’immediata apparizione del libro, in Spagna, su El País.
- Cfr. «Caproni, che frequento oggi e compone con Luzi e Betocchi la mia più amata famiglia di poeti» (da una lettera del 12 agosto 1974, in Fiorentini abusivi. Il carteggio Ercole Ugo D’Andrea-Francesco Tentori (1972-1995), a cura di Enrica Colavero, Firenze: Firenze University Press, 2008, p. 46); mentre d’Andrea gli avrebbe scritto l’anno dopo: «ho letto d’un fiato, di Caproni, Il muro della terra […] anch’esso felicemente senza scampo» (ivi, p. 54, da una lettera del 23 giugno 1975), ricevendo come risposta, il 1 luglio, la notizia della recensione («Sì, bello l’ultimo libro di Caproni, sempre più scarnificato; ne ho scritto un pezzo per l’“Albero”, dunque lo vedrai»: ivi, p. 56).
- Alla segnatura GC. 1. 757.1.
- Così come avrebbe continuato a fare nel tempo, proponendo al destinatario antologie ideali della sua poesia. Si veda per questo una lettera dell’8 giugno 1986 (t.p. del 10 giugno: GC. 1. 757.11), inedita, come tutte quelle citate in queste pagine (che trascriviamo adattandole alle modalità di citazione d’uso, interpretando i capoversi e collocando in sequenza gli elenchi): «Caro Giorgio, / ho letto “con calma”, come mi raccomandavi, il tuo Conte (quanti romanzi hai scritti!). Sei sempre più lapidario; ma sotto l’asciuttezza (del “dettato”, direi se fossi un critico) serpeggia sempre un fremito (“un tremito” aggiungeresti tu…). / A “botta calda”, qualche mia preferenza; il mio mestiere di antologista (non si potrà dire antologo? ma son brutti tutti e due) mi induce sempre a fare una prima selezione: La lamina, Al più frenetico, Riferimento, All’amico appostato, Supposizione, Oh cari (da tempo ammirata), Versi controversi, Tre improvvisi, Interrogativo. / Ho detto di qualche preferenza. Ma il libro, così apparentemente frammentario, va letto come un “continuo”, o magari “sentito” come una musica. Ma dico cose che sei stufo di sentirti dire. / A presto, e se avrai un’ora (o meno) libera verrò a salutarti prima della Grande Estate / Francesco T.». Il 23 maggio 1982 (t.p. del 24 maggio: GC. 1. 757.7), in risposta al Franco cacciatore, gli avrebbe scritto: «Caro Giorgio, / dopo i trionfi di Genova, meriteresti ben altro che questa striminzita letterina – del resto ancora da scrivere. / Il tuo libro, sei né più né meno tu che parli e ammicchi, ridi (sul serio) di quello che dici (per scherzo). O al contrario, chissà. Non sto a dirti quello che sai: le grandi trovate (il ricordo del vino […] l’arrivare al punto di partenza», proponendo un’antologia con Coda, Asparizione, Biglietto lasciato, Errata Corrige, Conclusione, Altro inserto, a cui aggiungere Larghetto, Riandando in negativo, Escomio, Poesie per l’Adele, Idillio, e concludendo: «Sei, credo, il solo poeta così esistenziale (io che credo di esserlo a confronto mi trovo ornamentale, come un vaso di fiori) da farmi venire, alla lettera, le lagrime agli occhi». Analogamente, in una lettera del 9 gennaio 1984 (t.p. del 10 gennaio: GC. 1. 757.9) in risposta al volume di Tutte le poesie, avrebbe proposta un’altra mini-antologia (precisando: «se esistesse, includerebbe altro…») che prevedeva quanto meno Il mare brucia le maschere, Quale debole odore, Nella sera bruciata, Il tuo nome che debole rossore, Alba, Ah padre i lastricati, L’ascensore, Perch’io, Preghiera, Ad portam inferi, Ultima preghiera, Il becolino, Il vetrone, A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre, Su un’eco (stravolta), Bibbia, Larghetto, Riandando (in negativo), Per l’Adele, Per quanto tu ragioni, Oh cari. In corrispondenza di (in seguito a) questa nuova lettura dovette nascere in Tentori anche la consapevolezza di una dimenticanza nel suo Fiorentino abusivo (una plaquette edita da Pananti a Firenze nell’83, con testi dedicati a Betocchi, Bertolucci, D’Andrea, e altri ‘amici’, del passato come del presente), visto che nell’aprile dell’83 (la data accompagna in calce la firma: «a Giorgio / Francesco») inviò a Caproni (la busta registra la data del 15 aprile di quell’anno: GC. 1. 757.8) un dattiloscritto dal titolo Rileggendo il suo «Fiorentino abusivo» che costituiva un’addenda al libretto appena citato. Ne trascriviamo il testo, inedito: «Rileggendo il suo “Fiorentino abusivo” // Come nello scaffale, sono qui / raccolti insieme i nomi dei poeti / che hai avuto più vicini in tre decenni / dai trent’anni ai sessanta (non ancora / dice basso la voce di chi in te / distingue il tempo dalla prima cifra…). / Più vicini e sarebbero / tutti (i pochi) se non mancasse Giorgio / che, quante volte, ha toccato in profondo / nei suoi versi la radice del pianto / e t’ha messo a confronto / con il mondo, con lo spoglio sentire: / cuore di cera il suo, scabro all’esterno. // Come sarebbe tutta qui la ville / e la magia che ne emana, non fosse / per quell’essenza, affettuoso fantasma / ormai ma ieri trepida presenza, / che manda il suo lamento senza suono / dal bianco tra le righe e si ricorda / col suo mancare al te d’allora / e al te d’oggi perché seguiti a vivere. // Sei presente anche tu / nei ritratti tentati? Sì, se vaga / dall’uno all’altro, da te agli altri un’onda / che rechi e porti via quanto ti basta / di verità e di segreto. / E ti avvedi / che il dono più inatteso / è quello per cui scordi, mentre badi / a tracciare le linee di un carattere, / l’ombra da cui un profilo emerga, / te stesso, infine! e il filo non cessi / da quanto ormai di avvolgere, di svolgere… / Quanto più l’altro si fa luogo e penetra / nella trama, quanto più questa perde / della sua tenuità, tanto più rischio / scema che la tua voce si riduca / a sillabe ridette in un deserto, / ad un nodo di pianto che non salva».
- Alla segnatura GC. 1. 757.3.
- Si tratta, come già si accennava, della trascrizione dei versi che aprivano il tentoriano Conversazioni in una stanza.
- Nella misura in cui avvalla nella lettera l’interpretazione di Tentori come l’unica vera: «in Il vetrone è il fantasma del padre che chiede “il conto (il torto) / di una vita che ho spesa / tutta a scordarmi”, e al quale si vorrebbe, in un buco, un interstizio che manca, poter dire “fuori di vergogna” che tutti non si fa altro che…; ed è la stessa vanità del dire, del dirsi, che ammutolisce il poeta a mezza frase» (Francesco Tentori, «Per “Il muro della terra” di
G. Caproni», L’albero, n. 53, 1975, [p. 166-168], p. 168). - Tentori citava anche, come riemersione di personali letture, Pascoli, Vallejo, l’Ecclesiaste.
- F. Tentori, «Per “Il muro della terra” di G. Caproni», cit., p. 168.
Anna Dolfi, Giorgio Caproni, una lettera a Tentori e il «cielo dell’anima», Quaderns d’Italià 22, 2017, pp. 172-177