“Per chi ricorda Sergio Corazzini, poeta a vent’anni, il 17 giugno 1907”. Questo l’epitaffio che si legge a Roma sulla tomba del poeta, una marmorea impressione capace di offrirci uno scorcio sulla vita di Corazzini; così, infatti, Aldo Palazzeschi, suo intimo corrispondente, si esprime a riguardo: ‘Altra cosa mi preme osservare. M’è accaduto sovente di leggere, o udire, a proposito di Sergio Corazzini: “peccato sia morto troppo presto, peccato sia morto tanto giovane, chi sa quante belle cose avrebbe potuto scrivere.” Soltanto delle donnicciole possono parlare così. Sergio Corazzini è completo e compiuto in modo unico, perfetto, assoluto: alla sua poesia non c’è un verso da aggiungere. È un prodigio, è la bellezza e grandezza del suo destino. A vent’anni, e in poche pagine, ha detto quanto un ottuagenario con venti libri di poesie: “Io non so, Dio mio, che morire. Amen.” ‘ <4
Il monumento tombale non contribuisce però a fornirci indicazioni sulla data di nascita che ci perviene grazie all’atto ufficiale custodito nell’Archivio di Stato civile del Tribunale di Roma <5: Sergio nacque il 6 febbraio 1886 da Enrico Corazzini e Carolina Calamari in una casa sita in via Lucina 7. Per quanto concerne il padre, sappiamo che era impiegato al Registro della Dataria pontificia e che, soppresso il posto, fu pensionato. Possedeva però, inoltre, una tabaccheria di lusso a Roma, sul Corso, vicino a Piazza S. Marcello. Sulla sua persona vi sono diverse testimonianze dateci per lo più dagli amici di Sergio, le quali raffigurano un uomo dall’aspetto un po’ grossolano, dal carattere libertino, dal facile e sfortunato gioco di Borsa, spesso causa di difficoltà economiche patite anche dal giovane Corazzini ancora in vita. Alberto Tarchiani, uno dei più intimi amici del poeta, lo descrive come un uomo “balzacchiano e dostoiewskano ad un tempo” <6 rilevando la buffa tragicità di un padre vinto dalle proprie, ma anche dalle altrui disgrazie. A tal proposito sembra opportuno far emergere la sua stessa voce che si eleva come richiesta di sussidio, quando, ricoverato all’Ospizio di Mendicità, si ritrova in una profonda e autentica disperazione: “Come Sergio, spentosi a diciannove anni, mi morí di mal sottile, a 29 anni, il secondo figlio Gualtiero, mentre da Buenos Ayres tornava in patria richiamato per la guerra mondiale. Il terzo e ultimo, Erberto, dopo essere stato gravemente ferito sul Carso, rientrava come segretario ragioniere nelle Ferrovie dello Stato. Nel 1924 moriva mia moglie, della stessa malattia, ed Erberto otteneva, mercè anche i buoni uffici dell’on. Bottai, di essere trasferito in Libia con lo stesso grado. Egli mostrava sì vivo interesse di avermi seco ch’io diedi le mie dimissioni dal posto di contabile che occupavo presso la Ditta Bianchi – Cicli e Automobili. Fatalità volle che dopo solo 14 giorni dal suo arrivo a Tripoli il Capitano … (il Corazzini presenta un nome poi omesso dal Fiumi, il quale promuove una pubblica sottoscrizione alla testimonianza) abbia voluto condurre mio figlio in automobile. Poco pratico nel guidare la macchina, la rovesciò! Erberto ebbe le gambe fratturate, dovette subirne l’amputazione, ma, per sopraggiunta setticemia, spirò senza ch’io potessi rivederlo.
Pazzo di dolore, fui ricoverato all’Ospedal Maggiore, dove rimasi tre anni. Quindi, privo di mezzi, senza più figli, senza più moglie, senza più parenti mi trasferirono all’Ospizio di Mendicità. […] Dire che non mi occorrerebbe che un paio di mila lire, per uscire da questo stato avvilente, per affrontare nuovamente la vita e guadagnarmelo, il mio pane!… Non ho potuto scriverle fino ad oggi perché appena ora, compilando qualche lettera a ricoverati analfabeti, ho potuto racimolare l’importo del francobollo per la presente…” <7
Nonostante le disgrazie fin qui emerse, possiamo immaginare ch’egli fosse per Sergio “un buon romano (che) ha la sua filosofia…” <8 e che abbia influito in parte sul carattere del ragazzo; forse trasmettendogli una certa libertà di spirito, uno sprazzo di leggerezza che poteva facilmente emergere quando la sera il poeta si riuniva con gli amici al caffé Sartoris e, tra un Pernod e l’altro, si confrontava, si rilassava, si appropriava di un respiro lontano dalla soffocante atmosfera dell’ufficio. Così l’amico Tusti esprime le sue perplessità a riguardo: “Io non potevo capacitarmi come mai Sergio ancor minorenne e appartenente ad una distinta famiglia, fosse caduto in siffatto ambiente pieno d’interrogativi per me che per la prima volta bazzicavo un caffè. Ma ebbi la spiegazione quando Sergio mi presentò ad un signore alto dalla barbetta appena brizzolata, che fumava tranquillamente il suo virginia su la soglia della tabaccheria adiacente al caffè. – Papà ti presento Tusti di cui ti ho parlato. – Gli feci buona impressione perché fui il solo ammesso in quel tempo a frequentare la sua famiglia”. <9
Per quanto Fausto Maria Martini definisca Sergio “romanissimo nel sangue” <10 , si sa che la madre del poeta, Carolina Calamari, era d’origine cremonese. Da una lettera di Gualtiero Corazzini ad Arturo Muratori risulta che Sergio si recò a Cremona nel novembre 1901 ed anche Alberto Tarchiani ha un preciso ricordo di un suo viaggio in città (forse nel giugno 1906 di cui si conserva una cartolina). Ma le origini cremonesi e il ricordo della Lombardia non sono così presenti nell’opera del poeta, tranne per un paio di sonetti che ricordano le “acque stagnanti – ne’ verdi piani della Lombardia”, le “acque serene ch’io corsi sognando – ne la dolcezza delle notti estive” <11. Appare più rilevante, invece, notare come la personalità della madre si avvicini delicatamente a quella di Sergio: sarà lei per prima ad imprimere nel poeta quello spirito religioso che permea l’intera opera ed, ancora, sarà lei ad essere abitata dalla stessa malattia di cui morirà Sergio.
[NOTE]
4 Prefazione di Aldo Palazzeschi in Filippo Donini, Vita e poesia di Sergio Corazzini, De Silva, Torino 1949, p. XI.
5 Per quanto riguarda i dati sull’età del poeta, si faccia riferimento al quadro proposto da Guy Allanic, La vie et l’oevre du poète Sergio Corazzini, thèse N. 208, Université de Genève, Bellegarde, Scop-Sadag, 1973.
6 “Ho conosciuto bene quell’uomo che fu forse in parte disgraziato, ma certo poco scrupoloso e “stoccatore” cronico. Negli ultimi anni speculava, con poca o nessuna dignità, sulla memoria di Sergio e su altre sventure familiari, di cui era spesso causa per leggerezza o per incapacità. Quand’io conobbi Sergio, suo padre possedeva una tabaccheria di lusso a Roma sul Corso, vicino a Piazza S. Marcello. Ma contemporaneamente, e soprattutto, giocava in Borsa, e doveva avere costose avventure femminili. […] Le speculazioni borsistiche andarono male e mi ricordo sempre di un viaggio di Sergio a Cremona (forse nel 1906) per ricorrere all’aiuto dei parenti della madre, per salvare la famiglia dalla rovina. Non riuscì nell’intento e il padre perdette anche la tabaccheria e cominciò a vivere di espedienti. Gli amici si occuparono di far curare Sergio, ammalato, come potettero. Nel 1912 trovai la Signora Corazzini a Milano nella casa del figlio Gualtiero che aveva preso moglie. Il marito l’aveva abbandonata, per convivere con altra donna, in Milano stessa. Quand’ero al Corriere (tra il ’19 e il ’25) il padre Corazzini venne più volte a chiedermi aiuto con diversi pretesti. Faceva lo stesso con tutti gli amici di Sergio. Gualtiero era morto, e anche l’ultimo figlio, Erberto, era rimasto vittima di un incidente in Libia. Famiglia tragica, di cui il solo superstite rimase poi questo strano padre, balzacchiano e dostoiewskiano allo stesso tempo”. Da una testimonianza di Tarchiani, presente in Filippo Donini, Vita e poesia di Sergio Corazzini, Torino, De Silva 1949, cit., pp. 15-16.
7 Pubblica sottoscrizione promossa da Lionello Fiumi sul «Giornale di Genova», 5 luglio 1929 in Filippo Donini, Vita e poesia di Sergio Corazzini, cit., pp.15-16.
8 Ibidem.
9 Ivi, p.12.
10 Cfr. Fausto Maria Martini, Si sbarca a New York, a c. di Giuseppe Farinelli, Istituto propaganda libraria, Milano 1974.
11 I sonetti di riferimento, Acque lombarde e Cremona, si trovano nella raccolta Dolcezze, in Sergio Corazzini, Opere. Poesie e prose, cit., p.101 e pp. 103-104.
Anna Galetti, Sergio Corazzini e il suo cenacolo romano, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2012-2013
L’ipotesi di una strategia metrica corazziniana presuppone che Corazzini sia consapevole dell’orizzonte d’attesa a cui si rivolge, in controtendenza all’immagine stereotipata del poeta crepuscolare <438 trasmessa dalla critica, che lo ha spesso descritto come una persona introversa, completamente chiusa in se stessa ed indifferente al mondo. <439
Il nostro lavoro poggia sull’assunto che – in ogni scrittore […] fatti di vita e fatti letterari sono complementari, allora come il suo comportamento nella vita aiuta a leggere meglio i suoi libri, così i suoi libri aiutano a decifrare i suoi comportamenti. <440 Per tale ragione osserviamo quei fatti che consentono di isolare i tratti caratteriali che testimoniano l’apertura e l’attenzione al clima culturale contemporaneo da parte di Corazzini, nonché il suo desiderio di fama e di originalità. <441
La consapevolezza del clima culturale emerge soprattutto dai suoi giudizi critici. Essi infatti testimoniano, da un lato, una profonda conoscenza del contrasto fra neomisticismo e rinascenza latina, dall’altro, una propensione fermamente antipositivista. <442
Corazzini è cosciente dell’orizzonte d’attesa a cui si rivolge, dato che distingue due tipi di produzioni poetiche presupponendo l’esistenza di altrettanti pubblici diversi: l’uno commerciale, che va soddisfatto e conquistato al solo fine di ottenere successo e guadagno; l’altro di nicchia, colto e raffinato, in grado di riconoscere ed apprezzare le finezze dell’opera poetica: “Il pubblico avrà le cose nostre dalle quali vorremo trar guadagno, le rimanenti, le più pure, le ignori, non importa!” <443
Segno di attenzione alla contemporaneità è anche l’alta frequenza del sonetto di settenari, <444 molto in voga e diffusissimo a quel tempo, <445 dei cui fenomeni letterari Corazzini è attento osservatore, come dimostra la lettera a Caprino <446 dove fa riferimento alla Serao. <447 La stessa attenzione emerge dalla lettera del 20 settembre 1906 indirizzata a Caruso, la cui opera presenta un “soggetto […] troppo comune a certi altri della Negri di ‘Fatalità e Tempesta’”. <448
[NOTE]
438 Il crepuscolarismo ‘non fu un movimento con una vita di gruppo e con un programma comune, né rispecchiò nei singoli poeti una partecipazione ad una comune esperienza culturale, come accade per i vociani’, ma fu piuttosto ‘uno stato d’animo, comune ai vari poeti, pur diversi tra loro, nei confronti del vivere e dei miti e delle forme, soprattutto del dannunzianesimo, dominanti nella letteratura del tempo’. Vd. Santoro M., Civiltà letteraria del XX secolo (1860-1970), Firenze, Le Monnier, 1970, p. 202.
439 Mito alimentato dallo stesso Petronio, che attribuisce alla vita appartata di Corazzini il motivo che non gli permette di fare esperienza del mondo, con la conseguenza che tale mondo non entra mai nei suoi versi, costringendolo dunque, per bilanciare tale povertà esperienziale, ad un ripiegamento interiore assoluto. Cfr. Petronio G., Poeti del nostro secolo, op cit., pp. 16-7. Dal canto nostro, invece, interpretiamo il ripiegamento non come effetto, ma come causa dell’assenza di vita attiva: Corazzini, influenzato dal neomisticismo nordico, si rinchiude in se stesso al fine di cercare al proprio interno la verità. Inoltre, il giudizio di Petronio è estremo: Corazzini era un uomo aperto, socievole ed attento alla cultura contemporanea.
440 Petronio G., L’autore, op. cit., p. 164.
441 A livello metodologico è interessante ricordare alcuni elementi di cui un’analisi marxista, secondo Petronio, dovrebbe tener conto: una sociologia dell’opera letteraria in tutti i suoi elementi; l’analisi del ruolo sociale che lo scrittore ha svolto; l’analisi dello specifico letterario dell’opera e pertanto l’intelligenza delle innovazioni che l’autore ha introdotte rispetto alla tradizione nella quale si inseriva e alle attese del pubblico, e quindi la maggiore o minore originalità della sua opera. Cfr. Petronio G., L’autore, op. cit., pp. 220-1.
442 Sul ‘Don Marzio’ di Napoli del 29-30 gennaio 1905 distingueva fra un filone della poesia nostalgica e tetra, cioè la poesia dei ‘cantori simbolici della natura […] malata’, rappresentata da Giorgio Rodembach, e da Corazzini stesso; e fra un filone della lirica antisimbolista, ‘impetuosa e refrattaria a ripiegamenti intimistici’, interpretata da Federico De Maria, Carlo Basilici, Giulio Orsini e, tra gli stranieri, Whitman. Cfr. Villa A. I., Sergio Corazzini “poeta sentimentale”, op. cit., p. 17.
443 Corazzini S., Considerazioni letterarie I, [Recensione a Francesco Chiesa], L’Unione Sarda, 30 gennaio 1904.
444 Questa forma poetica ha le sue origini nei sonnets mineurs di Baudelaire, in quelli di Verlaine e di Mallarmé, e fu diffusa in Italia da D’Annunzio, Pascoli, Panzacchi e De Bosis. Cfr. Donini F., Vita e poesia, op. cit., p. 26.
445 Le strofette di settenari sono metro carissimo a Sergio. Cfr. Donini F., Vita e poesia, op. cit., p. 41. Tale forma metrica risponde ad un’esigenza espressiva, come testimonia Il bacio, dove la rottura dell’unità metrica e dell’uniformità ritmica è funzionale al contenuto che si esprime. Nella prima parte di questo componimento, infatti, la rottura delle unità metriche corrisponde all’espressione di una realtà piccola e fragile; nella seconda parte, invece, il continuum ritmico evidenzia l’energia e il rilievo dell’oggetto considerato. Siamo dunque dinanzi ad una struttura dittica. Insomma, il sonettino di settenari è adottato non tanto per esigenze di novità, quanto per esigenze espressive: esso è la forma metrica più adatta alla rappresentazione di una condizione esistenziale esigua e precaria. Cfr. Porcelli B., Tradizione e personalità in Corazzini, in Id., Momenti dell’antinaturalismo. Fogazzaro Svevo Corazzini, Ravenna, Longo, 1975, pp. 150-2.
446 Lettera ad Antonello Caprino, agosto 1905, in Epistole corazziniane, in Corazzini S., Opere, op. cit., p. 284.
447 L’atto sublime di Cristo è crocifisso nell’anima mia come il sorriso lo era sulle labbra di quella piccola suora malata, evocata da Matilde Serao in Fantasia. Cfr. Donini F., Vita e poesia, op. cit., p. 124.
448 Ivi, p. 167.
Patrick Cherif, Le strategie versoliberistiche di Sergio Corazzini. Studio del versoliberismo corazziniano in relazione all’orizzonte d’attesa metrico primo novecentesco, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Cagliari, Anno Accademico 2012-2013