Entro il clima di un riesame critico che ha investito di recente la storia della videoarte italiana, specialmente delle origini, prende forma la necessità di provare a indagare, quindi restituire, anche l’attività peculiare che Luciano Giaccari simbioticamente conduce con il suo Studio 970 2, il centro-laboratorio videografico che fonda e dirige a Varese, tra la fine degli anni Sessanta e il corso del decennio successivo, e con il quale anticipa la formulazione poi della più nota Videoteca Giaccari. La ricerca condotta prende avvio dalla possibilità di muoversi programmaticamente su più fronti, allo scopo di incrociare le informazioni e narrazioni storiche, fino ad ora tracciate, con fonti primarie di varia entità, queste ultime particolarmente riscontrate all’interno dell’Archivio Luciano e Maud Giaccari (ALMG) e nella disponibilità di Maud Ceriotti Giaccari, testimone e collaboratrice.
Si è partiti dalla imprescindibile valutazione della letteratura critica relativa, passante da fondamentali indagini sull’arte video tout court, elaborate da critici e studiosi <1 che per lo più non hanno mai avuto possibilità d’accesso diretto alla documentazione, ma solo a quanto Giaccari stesso aveva autonomamente elaborato, anche sul fronte di una autonarrazione legata alla volontà di ‘gestire’ la propria figura.
La presente ricerca si basa, invece, sull’accesso all’archivio, reso possibile dalla mediazione del Museo del Novecento di Milano <2, al quale si è affiancato il recupero filologico di contributi coevi, effettuato tramite sia la lettura di testi in catalogo e volumi, sia lo spoglio sistematico di riviste d’arte del periodo, o di poco successive, quindi un’ampia e ramificata ricerca investigativa e d’archivio, condotta partendo necessariamente da un primo riordino (3 dei materiali conservati presso l’ALMG, ovvero dalla possibilità di accedere ad altri archivi istituzionali (ASAC fra tutti) o di personalità e artisti afferenti il lavoro di Giaccari e la testimonianza di alcune figure a lui vicine. Contestualmente si è proceduto all’impostazione di una ricostruzione cronologica: inizialmente insistente su un range temporale che dagli anni Sessanta procedeva finanche ai Novanta e oltre, considerante quindi l’intera vicenda dell’attività videografica di Giaccari, dalla quale è emersa la necessità di approfondire solo il periodo tra il 1967 e il 1977, ossia quello riferibile esclusivamente alle vicende connesse allo Studio 970 2, prima cioè della sua trasformazione in Videoteca Giaccari. In tale analisi ravvicinata ci si è concentrati infatti sulla fase di avvio dell’esperienza di Giaccari nel mondo dell’arte, sull’adozione nel 1971 del dispositivo videografico e le successive collaborazioni con gli artisti.
Il capitolo d’apertura è volto a evidenziare come i prodromi di certe riflessioni e intenzioni che improntano il contributo di Giaccari al fenomeno video-artistico dei primissimi anni Settanta siano da rintracciarsi nell’attività che precede l’adozione effettiva del video-tape-recording, quando cioè lo Studio 970 2 si caratterizza quale spazio-laboratorio per una sperimentazione artistica d’avanguardia. È infatti nelle manifestazioni di carattere anche intermediale e aleatorio che Giaccari progetta – 24 ore NO STOP THEATRE (1968), Opere di neve, Opere di fumo, Esperimento di Nuovo Teatro (1969) e interVENTO (1970) – che è possibile rintracciare l’interesse (sia documentativo, sia di ‘generazione artistica’) che parallelamente egli sviluppa per i dispositivi tecnologici di registrazione, permettendo così di verificare come l’avvio al video non fosse stato un fatto casuale, improvviso e seguitante una moda, bensì un’articolata evoluzione di pensieri, urgenze e necessità che emergono germinanti in questo contesto. Ciò viene pienamente riflesso in quanto analizzato nel capitolo successivo, particolarmente dedicato a evidenziare la misura effettiva con cui il VTR è assunto nelle pratiche dello Studio 970 2. Rispetto a quanto finora noto si è osservato come Giaccari non si fosse limitato infatti a implicare il nuovo medium quale luogo di intercettazione e memorizzazione di brani effimeroperformativi (restituente oggi le video-documentazioni di performance ad esempio di Kaprow, Pisani, Chiari, Gina Pane Joan Jonas, Vostell e altri), ma avesse precipuamente inteso saggiare le potenzialità dell’uso del videotape in arte e nell’informazione alternativa. Lo scopo che egli si pone è infatti quello di verificare prospettive altre offerte dal dispositivo e dal linguaggio relativo, intendendo cioè l’esperienza televisiva non più quale fatto massificante, piuttosto strumento per impostare una comunicazione socio-culturale alternativa/controinformativa (condotta personalmente tra il 1971 e il 1973) e, soprattutto, spazio per agire creativamente le/nelle tecniche del videorecording.
È in questo senso che Giaccari arriva quindi a sondare l’intera gamma di quelle soluzioni rispondenti a quanto pienamente avvertito a livello internazionale e, in ambito italiano, dalle posizioni critiche rese da figure come Tommaso Trini, Francesco Carlo Crispolti, Italo Mussa, Renato Barilli tra tutti. Inoltre, particolarmente nel solco dell’ultima istanza individuata Giaccari avvia, a partire dal 1972 e fino al 1975, una significativa produzione di videotape d’artista – spesso passata in secondo piano nelle vicende biografiche di questi ultimi – , resa possibile da una singolare ‘chiamata alla sperimentazione’, come si vedrà, volta all’attivazione di collaborazioni con i protagonisti di quegli anni (da Fabro e Chiari, Olivotto e Vaccari, Merz e Prini, finanche a Nagasawa, Serra, Oppenheim, Lüthi, e altri). Accanto alle fonti primarie (d’archivio) e secondarie (di testi critici, coevi e recenti) investigate preme evidenziare come contestualmente il lavoro di ricerca sia stata resa possibile una collaborazione tra l’ALMG e il Laboratorio “La Camera Ottica”, afferente l’Università degli Studi di Udine <4, la qual cosa ha dato modo di iniziare (non senza difficoltà contingenti) un lavoro di recupero e preservazione digitale dei nastri open-reel ½” originari, rendendo così di nuovo accessibili, e filologicamente attendibili, le componenti audiovisive ivi conservate.
Queste, accogliendo l’opera-video vera e propria, hanno permesso di restituire molto di quanto prodotto in forma diretta dallo Studio 970 2 e, soprattutto, di far acquisire all’opera dei diversi artisti, nella quasi totalità dei casi mai diventati video-artisti, lavori e sperimentazioni inedite.
Un aspetto, quest’ultimo, che si rivela del tutto significativo e in grado di consentire finanche una rilettura storico-critica di certi aspetti della poetica dei singoli, la quale è tra l’altro qui tentata ad esempio nell’assunzione di due peculiari casi-studio: Luciano Fabro ed Emilio Prini. Ossia delle fenomenologie e dei processi artistico-espressivi accorsi nell’Italia dei primi anni Settanta.
Il capitolo conclusivo è stato riservato invece alla restituzione della modalità con cui Giaccari si è confrontato con il sistema artistico coevo. Da una parte si è posta attenzione al momento espositivo dell’effimero videografico, verificando quindi la partecipazione attiva dello Studio 970 2 alle stagioni che hanno connotato la fortuna della videoarte di quegli anni (le quali contribuiscono tuttavia, come avvertito da molti già a quelle date, a isolare, finanche ‘ghettizzare’, la peculiare realtà espressiva e successivamente parte degli studi in materia). Dall’altra si è invece considerata la necessità di consegnare una sua personale posizione criticoteoretica, espressa particolarmente, anche se non esclusivamente, come si vedrà, attraverso l’elaborazione e pubblicazione della “Classificazione dei metodi d’impiego del video in arte” (1973), la quale si rivela oggi essere uno dei primi tentativi di riflessione tassonomica dovuti
all’esigenza di chiarimento ideologico e sulle modalità tecnico-operative associate all’uso del VTR: tracciate da Giaccari ponendo alla base la misura di assunzione dello strumento – diretta dell’artista allo scopo di realizzare l’opera, o mediata da qualcuno che documenta il lavoro dell’artista). Come anche è stata fatta luce sulla relazione che egli attiva specificatamente con l’editore Bolaffi di Torino, per il quale cura sia un ‘videorapporto’ (1975), trattando in maniera riepilogativa le vicende che si legano alla realtà video di quegli anni, sia, soprattutto, l’avvio dei lavori per la realizzazione del Bolaffi International Video Catalogue N°1 (1976-1977), che per quanto rimasto totalmente inedito, traccia in modo significativo il ruolo che Giaccari stesso giunge ad avere prima del definitivo epilogo della parabola storica dello Studio 970 2.
Chiude i lavori la proposizione di un apparato dedicato alla restituzione sia di un repertorio iconografico, utile a condurre e sostenere parte delle riflessioni poste in essere nel testo; sia della proposizione di un possibile ‘Catalogo dei videotape d’artista (1971-1977)’ evidenziante cioè il corpus dei tape da intendersi quali opere lato sensu prodotti dallo Studio 970 2; sia la definizione delle tabelle dedicate alle opere realizzate dagli artisti intervenuti nel corso delle diverse manifestazioni organizzate da Giaccari tra il 1968 e il 1970; sia, soprattutto, della consegna della ‘Cronologia generale dello Studio 970 2 (1967-1977)’, lo strumento che maggiormente ha permesso di inquadrare il taglio metodologico con cui si è approntata poi l’analisi e il contributo di Giaccari all’arte tout court dei primi anni Settanta.
La creazione dello Studio 970 2 al termine degli anni Sessanta
La ricerca artistica di Giaccari negli anni Sessanta e il confronto con la giovane avanguardia italiana
Nella biografia intellettuale di Luciano Giaccari la vicinanza con Milano, dove egli svolge tra l’altro gli studi in giurisprudenza e acquisisce la carica notarile nel 1966, ha un ruolo fondamentale, poiché è in essa che egli inizia a volgere interesse per il mondo artistico e culturale più contemporaneo. Frequentare la città meneghina nel pieno degli anni Sessanta significa stare in contatto con un clima in continuo fermento e assistere a un rinnovamento artistico costantemente in atto, avendo sott’occhio molto di quello che si sperimenta a livello sia nazionale, sia internazionale. A quell’altezza cronologica, Milano rappresenta infatti uno dei poli più rilevanti in Italia per quanto riguarda il ricambio generazionale e, soprattutto, la diffusione dei linguaggi artistici d’avanguardia, grazie anche al lavoro innovativo di gallerie come l’Apollinaire di Guido Le Noci, L’Ariete di Beatrice Monti, la Galleria del Naviglio, la Galleria Bergamini, lo spazio di Arturo Schwarz, la Galleria Blu, il Milione, la Galleria San Fedele e l’inaugurazione di nuovi spazi legati alle figure cardine di Franco Toselli <5 e Luciano Inga Pin <6. Sul finire del decennio la metropoli si pone come centro nevralgico di molte esperienze, nella quale gli artisti si confrontano – tra loro e tra i maestri ancora presenti -, dove prendono forma, affiancandosi, esperienze astratte, cinetiche, oggettuali, pop, lirico-cromatiche e iniziano a diffondersi diversi gradi del concettuale, ravvisabili nelle sperimentazioni che dalla scrittura visiva arrivano alle fenomenologie dell’Arte Povera e dove alcune tra le più importanti riviste del settore, come «Flash Art», «Marcatrè», «BiT» fra tutte, prendono sede, concorrendo alla definizione di un nuovo clima culturale.
La costante frequentazione del milieau milanese, la lettura delle riviste d’avanguardia <7 e dei bollettini delle gallerie, la conoscenza diretta di molti artisti e critici, concorrono a spiegare le ragioni prime della necessità di Giaccari di sviluppare anche un proprio lato creativo. Il suo percorso da autodidatta, iniziato già nei primi anni Sessanta, si attesta su esperienze pittoriche di stampo informale e astratto-geometrico, ossia con quadri modulari e materici, che guardano a un Informale di stampo italiano ed europeo <8 e a certe soluzioni del Nouveau Réalisme – portato a Milano da Pierre Restany, con artisti presentati soprattutto alla Galleria Apollinaire <9, uno dei luoghi frequentato da Giaccari con maggior regolarità -, finanche a strutturazioni che ricordano l’opera di Agostino Bonalumi. Contestualmente Giaccari sviluppa interesse per la scultura, in cui indaga le qualità del ferro, con forme che richiamano il mondo di Piero Consagra, dei fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro, come anche di Victor Pasmore, Georges Vantongerloo, Ben Nicholson, risalendo fino ad alcune soluzioni di Robert Delunay <10. Sebbene la maggior parte delle possibili declinazioni di queste ricerche rimangono esplorate principalmente in forma progettuale <11, alcune opere trovano occasione di esposizione nella mostra “Dipinti e sculture di Luciano Giaccari” [fig.1.1], presso la Galleria Don Chisciotte di Arona (1-11 maggio 1965) <12. Successivamente, la ricerca del notaio-artista, inizia a risolversi in forme più definite e lineari, con lavori <13 composti di lastre ed elementi sottili di metallo, tendenti alla definizione di forme geometriche assemblate, tagliate e saldate tra loro, con pieghe o ondulazioni nette – con chiari rimandi a Fausto Melotti, e alla Sculture pieghevoli e Sculture da viaggio di Bruno Munari – ovvero ricoperte da colorazioni primarie, richiamando così certe soluzioni di Paolo Icaro, Anthony Caro e la giovane generazione inglese di suoi allievi (da Phillip King a Michael Bolus, ad Isaac Witkin). In questo senso Giaccari elabora sul finire del 1965 la serie delle “Sculture rosse” [figg.1.2-1.3], con le quali sonda finanche l’idea di multiplo e un concepire l’opera non più quale oggetto da piedistallo, piuttosto luogo relazionale e percettivo rispetto alla sua collocazione nell’ambiente. Il lavoro, di cui si dirà anche più avanti, è infatti pensata per adattarsi idealmente al luogo in cui viene collocato: per ridefinire il tracciato d’ingresso dell’arco di un cascinale, sulla sommità di una collina per seguirne lo skyline, ovvero realizzate idealmente in una singola versione colossale destinata a coprire l’intera facciata del Duomo di Milano.
[NOTE]
1 Cfr: M. Meneguzzo, L. Giaccari (a cura di), Memoria del video. 1. La distanza della storia. Vent’anni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, catalogo della mostra (Milano, Padiglione d’arte contemporanea, 15 dicembre 1987-31 gennaio 1988), Milano, Nuova Prearo Editore, 1987; V. Valentini (a cura di), Cominciamenti, Fernsehgalerie Gerry Schum, Art/Tapes/22, Lafontaine, Pirri-Eitetsu Hayashi, catalogo della III Rassegna Internazionale del video d’autore (Taormina, 30 agosto – settembre 1988), Roma, De Luca Editore, 1988; V. Fagone, Memoria del video 2. Presente Continuo. Vent’anni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, catalogo della mostra (Milano, Padiglione d’Arte Contemporanea, 4 ottobre – 31 dicembrec1988), Milano, Nuova Prearo, 1988; V. Fagone, L’immagine video. Arti visuali e nuovi media elettronici, Feltrinelli, Milano, 1990; A. Madesani, Lineamenti di una storia della Video Arte in Italia (parte I), in «Ipso Facto», n. 5, settembre-dicembre 1999, pp. 56-73; S. Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione, Milano, Costa&Nolan, 1999; D. Bloch, Art et vidéo 1960-1980/82, Locarno, Edizioni Flaviana, 1982 (ora in V. Fagone (a cura di), L’Art Video 1980-1999. Vignt and du VideoArt Festival, Locarno. Recherches, théories, perspectives, Mazzotta, Milano 1999, pp. 87-180); R. Albertini, S. Lischi (a cura di), Metamorfosi della visione. Saggi di pensiero elettronico, 2 ed., Pisa, Edizioni ETS, 2000; B. Di Marino, L. Nicoli (a cura di), Elettroshock. 30 anni di video in Italia 1971-2001, catalogo della mostra (Roma, varie sedi, 21-27 maggio 2001), Roma, Castelvecchi Arte, 2001; S. Lischi, Visioni elettroniche. L’oltre del cinema e l’arte del video, Roma, Fondazione Scuola nazionale di cinema; Venezia, Marsilio, 2001; A. Madesani, Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia, Milano, Bruno Mondadori, 2002; M.R. Sossai, Artevideo. Storie e culture del video d’artista in Italia, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2002; C. Cirritelli (a cura di), Luciano Giaccari. Premio Marconi 2004 – Per l’Arte Elettronica, Bologna, 2004; M. Meneguzzo (a cura di), La scoperta del corpo elettronico. Arte e video negli anni 70, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 2006; S. Bordini, Memoria del video: Italia anni Settanta, in ead. (a cura di), Videoarte in Italia, numero monografico di «Ricerche di storia dell’arte», n. 88, 2006, pp. 5-24; L. Leuzzi, S. Patridge (a cura di), Rewind Italia. Early Video Art in Italy| I primi anni della videoarte in Italia, New Barnet, 2006; M.M. Tozzi, La videoarte italiana dagli anni ’70 ad oggi, Ravenna, Danilo Montanari editore, 2016; L. Parolo, Le fonti, i metodi e le narrazioni della storia della videoarte in Italia negli anni Settanta. La Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura, Gennaio ’70, in «Sciami. Ricerche. Rivista semestrale di teatro, Video e Suono», n. 2, ottobre 2017, pp. 48-77; C. Saba, Cominciamenti della video arte in Italia (1968-1971), in «Sciami. Webzine semestrale di teatro, Video e Suono», n. 6, ottobre 2019; V. Valentini, Ipotesi per una pre-storia delle installazioni video, in «Sciami. Webzine semestrale di teatro, Video e Suono», n. 6, ottobre 2019; L. Parolo, Video arte in Italia anni Settanta. Produzioni, esposizioni, teorie, in «Sciami. Webzine semestrale di teatro, Video e Suono», n. 6, ottobre 2019.
2 Con cui lo stesso Giaccari aveva preso contatti nel corso degli anni Duemila.
3 E che tuttavia necessiterebbe di una secondaria, e più precisa, azione archivistica.
4 Grazie particolarmente al lavoro scientifico ivi svolto dalla Prof.ssa Cosetta G. Saba.
5 Cfr: Germano Celant, + spazio: le gallerie Toselli, Monza, Johan & Levi editore, 2019.
6 Per una primaria ricostruzione dell’attività della galleria si rimanda a: I. Caravita, Milano, 1967-1975: Storie di gallerie private che espongono fotografia, tesi di dottorato in Storia dell’Arte, XXXII ciclo, La Sapienza Università di Roma, a.a. 2019-2020; ead., Milano 1965-1975: i primi anni di attività di Luciano Inga-Pin, in A. Bertuzzi, G. Pollini, M. Rossi, a cura di, In corso d’opera 3. Ricerche dei dottorandi in Storia dell’Arte della Sapienza, Roma, Campisano Editore, 2020, pp. 167-174.
7 Nell’abitazione privata ora di Maud Ceriotti Giaccari e nell’Archivio Videoteca Luciano e Maud Giaccari (d’ora in avanti ALMG) a Varese è stato possibile rinvenire le riviste alle quali Giaccari era abbonato nella circostanza degli anni Sessanta-Settanta, o delle quali acquisiva i numeri di suo maggior interesse. Tra le diverse: «Flash Art», «Marcatré», «BiT», «DOMUS», «Opus International» (dal n. 1 al 14), «Prospects» il bollettino della galleria Diagramma di Luciano Inga Pin, «D’Ars», «NAC-Notiziario d’Arte Contemporanea», «DATA», «GALA» e «Segno», allargando poi a riviste come «Il Verri», «In – Nuovi Argomenti di Design». La stessa moglie Maud Ceriotti Giaccari ricorda quanto Giaccari si tenesse costantemente informato sulle uscite dei nuovi numeri di ogni singola rivista (era solito comprare ogni primo numero delle riviste d’arte di nuova uscita per poi selezionare quelle a cui abbonarsi e quindi acquisire con continuità) e di come arrivasse anche a fotocopiare più e più volte articoli di suo particolare interesse.
8 Proposto a varie riprese nelle gallerie che frequenta: Galleria Blu, con artisti come Morlotti, Afro, Vedova, Wols, Burri e Dubuffet, la Galleria Montenapoleone che seguiva anch’essa Wols e proponeva Gorky, la Galleria del Naviglio con Mathieu, l’Apollinaire con Fautrier e la Galleria L’Ariete con Kline, De Kooning, Wols e Dubuffet, tra gli altri.
9 Si ricorda in particolare la prima collettiva: Les Nouveaux Réalistes, presentata da Restany nel maggio 1960 con artisti come Arman, Hains, Klein, Villeglé, Tinguely e Dufrêne.
10 Nell’abitazione di Giaccari è stato ritrovato il volume di Michael Seuphor, The Sculpture of this Century del 1959 (2 ed. 1961) in cui sono inseriti diversi segnalibri e appunti all’altezza di alcuni artisti e immagini a cui, le opere che poi realizza, sembrano ispirarsi.
11 Come dimostrano i numerosi bozzetti, disegni e appunti scritti conservati all’interno dell’ALMG.
12 Invito “Dipinti e sculture di Luciano Giaccari”, in ALMG, cartella Giaccari ante-video.
13 Molti di questi sono conservati oggi presso l’ALMG.
Irene Boyer, Luciano Giaccari e lo Studio 970 2 di Varese (1967-1977), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, Anno Accademico 2021-2022
Nel terzo capitolo [1.3] l’indagine è stata portata avanti a partire, esclusivamente, dalle fonti critiche dirette, in forma di cataloghi (di mostre, rassegne e festival, personali e collettive, pubbliche e private) e articoli di riviste e periodici d’arte e d’architettura prevalentemente italiani. Si è scelto <17 di prendere a riferimento un ampio numero di riviste appartenenti ad ambiti culturali e artistici molto diversi tra di loro, sia per avere una prospettiva allargata sul decennio, sia per individuare in quali contesti e con quali discorsi si è via via contribuito a promuovere la nuova forma artistica legittimandone l’esistenza mediante riferimenti al rapporto con la tecnologia, i nuovi mezzi di comunicazione, la politica, il design, l’informazione ecc. Questo ha permesso di indagare contestualmente lo sviluppo generale della piattaforma tecnologica video (artistica) nel corso del decennio, i contesti più o meno artistici in cui sono state mostrate le prime opere e/o documentazioni in video in Italia, per arrivare ai convegni e alle retrospettive programmati in tutto il territorio nazionale verso la fine degli anni Settanta che sembrano segnare la chiusura della fase più sperimentale. L’ultima sottosezione del paragrafo [1.3.9] invece, analizzerà il passaggio agli anni Ottanta, quando la diffusione della videoarte del decennio precedente avviene prevalentemente a partire dai festival e dalle rassegne. In questa fase non vi sono stati tentativi di ricostruzione della storia della videoarte nazionale e l’attenzione è rivolta più spesso a casi specifici come i centri di produzione art/tapes/22 di Maria Gloria Bicocchi e lo Studio 970/2 di Luciano Giaccari.
[…] La 45^ Biennale di Venezia è anche rappresentativa per quanto attiene, in particolare, la videoarte degli anni Settanta. E infatti Giaccari, il direttore dello Studio 970/2 [1.3.2], nella sezione Transiti è chiamato a curare la parte da lui intitolata “Museo Elettronico” e presentata da un saggio nel quale mette in luce le nuove sfide che l’arte dagli anni Sessanta pone al museo, sia dal punto di vista espositivo che conservativo. La soluzione secondo l’autore è costituire un museo alla cui base deve esserci «il carattere universalmente comunitario del patrimonio artistico, il che comporta un assetto planetario della struttura museale, nella quale i singoli musei costituiscano le componenti cellulari». <86
Per questo Giaccari propone una retrospettiva dei video conservati nella sua Videoteca a Varese costituitasi proprio quell’anno in «cellula promozionale del Museo Elettronico», a dimostrazione delle potenzialità delle nuove tecnologie per la documentazione e produzione di opere. Il video degli anni Settanta riemerge in un’importante manifestazione artistica come la Biennale in un momento in cui si stanno rivalutando varie forme ed espressioni artistiche. Non quindi in una retrospettiva dedicata, bensì in una sezione mirata a rivedere criticamente alcune – non tutte – le omissioni fatte dalla storia.
Probabilmente, come si diceva ad introduzione del capitolo, è anche in seguito alla ‘riemersione’, inaugurata proprio dalla Biennale del 1993, dopo un periodo in cui la videoarte è assente dai volumi di storia dell’arte contemporanea italiana ed è ospitata solo in festival dedicati, che nel 1995 viene data alle stampe la già citata monografia “Videoarte e Arte. Tracce per una storia” di Bordini.
[…] Per Francesco Carlo Crispolti e per Giaccari sembra invece che in un primo momento il piano della contro-informazione (e quindi politico) e quello dell’arte siano intercambiabili e che la differenza riguardi o l’uso autonomo che fa l’artista del video, o il grado di apprezzamento del pubblico. Sia Francesco Carlo Crispolti che Giaccari, inoltre, nell’organizzare le «videoserate» <145 e le «videosalette» <146 useranno il dispositivo non solo per la trasmissione del pre-registrato, ma anche per la costruzione di vere e proprie installazioni dove i monitor sono disposti nello spazio e – in diretta o in differita – riproducono ciò che avviene nell’ambiente circostante similmente a quanto era già successo alla 35^ Edizione de La Biennale di Venezia (1970).
È per mettere ordine, spiega Giaccari, alla confusione che sta emergendo, che viene redatta la ‘Classificazione’ cui la storiografia ha quasi sempre accennato dichiarando che quest’ultima è stata pubblicata nel 1973. <147
La documentazione raccolta fino a questo momento non consente di risalire al testo che nel 1973 sarebbe stato dato alle stampe. Le prime tracce individuate si ritrovano invece nel catalogo della mostra “Impact Video Art ’74. 8 Jours video au musée des arts decoratifs” (1974, Losanna), dove si legge, appunto, che «nel maggio 1973 Luciano Giaccari, art-director dello Studio 970/2 di Varese, centro di studi ed attività video dal 1968, ha pubblicato una tesi di classificazione che si propone come primo tentativo di verifica e analisi di una produzione altrimenti indifferenziata». <148 Successivamente, la Classificazione viene presentata da Dorfles nel 1975 all’Espace Cardin di Parigi, nel quadro degli incontri internazionali sul video <149 e lo stesso anno viene pubblicata su Bolaffi Arte nel numero di aprile-maggio, in un articolo a cura dello stesso Giaccari, a partire dal quale si faranno le prossime considerazioni.
Con il chiaro obiettivo di differenziare l’arte dalla non arte e i diversi usi del video Giaccari propone di distinguere una volta per tutte tra «rapporto diretto» – «l’artista utilizza direttamente il mezzo televisivo» – e «rapporto mediato» – «Il mezzo televisivo riprende il lavoro dell’artista». Per quanto attiene al rapporto diretto, si può poi parlare di «videotape», ovvero «nastro magnetico che costituisce il supporto materiale dell’opera ed è in effetti l’opera stessa – il quale può essere – un unicum o avere tiratura più o meno limitata». O di «videoperformance <150 » e «videoenvironment» – «performance e ambienti basati sull’impiego di un circuito chiuso o di registrazioni televisive o di entrambi da parte dell’artista che si avvale di questi mezzi elettronici per creare una determinata situazione». <151 Per quanto attiene, invece, al rapporto indiretto, vi sono diverse tipologie tra cui la «Videodocumentazione», il «Videoreportage», la «Videodidattica» e la «Videocritica».
[NOTE]
17 Per un approfondimento si veda il terzo capitolo (1.3). Le riviste esaminate sono: Bolaffi Arte (1970-1993), Data (1971-1978), Notiziario Arte Contemporanea (NAC, 1968-1974), Domus (1928-), D’Ars (1960-), Marcatre (1963-1970), La Biennale di Venezia (1950-1972) e Flash Art (1967-); durante il periodo di studi svolto a Londra, presso la British Artists’ Film & Video Study Collection della Central S. Martins University (l’archivio dedicato a raccogliere la documentazione di tutti i film e video artisti inglesi), si è inoltre proceduto allo spoglio del periodico Studio International (1893-) che, come si vedrà, negli anni Settanta ospiterà gli articoli di David Hall, videoartista entrato presto in contatto con Paolo Cardazzo.
86 In L. Giaccari, Museo Elettronico, in A. Bonito Oliva (a cura di), Catalogo della 45^ Edizione de La Biennale di Venezia, Punti cardinali dell’arte, edizioni Biennale, Venezia, 1993, p. 52
145 Cfr., F. C. Crispolti, (a cura di), Videolibro n. 1…Roma, 1971
146 Cfr., L. Giaccari, Tv Out, in L’immagine iconoscopica: uno strumento ….Argomenti e immagini di design, n. 4, gennaio-febbraio 1972
147 «L’esigenza di definire ambiti precisi all’uso del video in arte nasceva da una notevole confusione esistente sullo strumento, sia a livello teorico che pratico. Pur non mancando esempi di estrema coerenza di impiego, l’uso generalizzato del videotape sia in USA che in Canada che in Europa, si basava spesso su una serie di equivoci che ne limitava ampiamente i risultati. Innanzitutto esisteva una sorta di ‘transfert’ dal mezzo all’opera, per cui si riteneva che usando uno strumento – rivoluzionario a livello tecnico – si ottenessero automaticamente dei risultati innovativi anche a livello di contenuti. Il mito del video rivoluzionario convinse poi molti che con questo strumento si potesse fare anche la rivoluzione, e in questo stato confusionale nacquero tristi esperienze di artisti che facevano una sorta di video sociopolitico, e di ‘impegnati’ politicamente che producevano nastri para-artistici. Un’altra identificazione errata era quella tra l’intero fenomeno del video e il portapack […] che era legata anche ad una istanza di totale libertà nell’uso del mezzo. […] In sostanza mancava la consapevolezza del fenomeno produttivo, che esiste comunque anche in situazioni di micro-televisione. […] Oltre che una mancanza di definizione dell’oggetto video, c’era anche una carenza pressoché totale di chiarezza sul come farlo, come elaborarlo, dove e a chi proporlo». Cfr., L. Giaccari, M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video 1…Milano, 1987, p. 50
148 Cfr., R. Berger e J. De Sanna, Impact Art, Video Art ’74. 8 Jours video, catalogo della mostra Musée des Arts Decoratifs, Losanna, 1974
149 Cfr., C. G. Saba e L. Parolo (a cura di), Videoarte a Palazzo dei Diamanti, ferrara, 1973-1979/2015 in C. G. Saba, L. Parolo e C. Vorrasi (a cura di), Video Arte a Palazzo dei Diamanti…Ferrara, 2015
150 Gli esempi fatti da Giaccari in questo caso sono la serie «Identifications di Gerry Schum, TV OUT (1-2-4-7 ecc.) di Luciano Giaccari e i videotape di Nam June Paik e Frank Gillette». Cfr., L. Giaccari, È nata l’arte dell’era televisiva. Veni, Video. Vici?, in Bolaffi Arte, n. 49, aprile/maggio 1975, p. 77-81
151 Videoperformances e video environments di Wolf Vostell, Dennis Oppenheim, Dan Graham, Joam Jonas, Nam June Paik, Vito Acconci, Allan Kaprow. Cfr., Ibidem
Lisa Parolo, Per una storia della videoarte italiana negli anni Settanta: il fondo archivistico della galleria del Cavallino di Venezia (1970-1984). Riesame storico-critico delle fonti e individuazione di nuovi metodi di
catalogazione digitale, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2016-2017