Rispetto le considerazioni condotte in riferimento al corpo pubblico espresso dalle artiste è possibile tentare di fare un bilancio sulle situazioni che aprono il XXI secolo.
In primo luogo si può affermare che è occorso un secolo per restituire alla donna “occidentale” un percorso artistico affermativo nella società, condotto con dignità e orgoglio.
Conseguentemente a tale legittimazione sociale, non appare scontato considerare il XX secolo quale “secolo delle donne” fra altri fenomeni rilevanti del periodo in questione. <1 Questo riscontro ha permesso di trasferire la condizione di “genio” artistico al femminile, non priva di anomalie e distorsioni. Alla luce dell’arte, il passaggio di consegne da un secolo all’altro vede l’impegno creativo delle artiste ancora contraddistinto dall’attenzione verso il corpo come sinonimo di identità in continua ridefinizione. Spesso tali pratiche performative legate al corpo sono manifestate con tagli “post-femministi” che testimoniano l’affiliazione a tematiche che riguardano la condizione sociale e psico-affettiva della donna. Tali aspetti sono spesso accompagnati da un senso e da una pratica di nomadismo psicofisico e culturale, ai quali le donne e le artiste sono state “abituate” e ai quali hanno “sottomesso” menti e corpi. <2 Questa condizione viene esemplificata nella pratica da un nomadismo tecnico pluridisciplinare, che porta le artiste a sperimentare in varie direzioni, utilizzando spesso diversi mezzi artistici in modo alternato o concomitante, forse per insoddisfazione o a causa dell’ansia di ricerca (mobilità) perpetua. A fianco di queste considerazioni si riscontra nelle tematiche sottolineate dalle artiste una sorta di caratterizzazione dei diversi generi derivati dal corpo e una particolare attenzione verso “altre” condizioni rispetto la condizione pseudoemancipata occidentale. Nel corso della trattazione argomentata fino ad ora si è potuto notare frequentemente come le artiste abbiano dibattuto, attraverso il corpo, un contenuto politico impegnato a rivendicare legittimità identitaria contro i soprusi e la negazione di diritti socialmente utili. Come si è visto, l’arte rappresenta uno dei mezzi efficacemente preposti per la discussione propagandistica e la critica di valori etici. Nello specifico, i temi legati al corpo pubblico espressi dalle artiste del XX secolo, evidenziati in questa trattazione, vengono travasati al secolo successivo in termini “ibridi” pluridirezionati e non circoscrivibili ad un unico ambito espressivo. Attualmente, nell’arte è riscontrabile come la “politica” e l’“impegno post-femminista” sembrino allinearsi con frequenza ai canoni della spettacolarizzazione mondana del dramma, senza offrire una soluzione decorosa alle problematiche che investono la donna nella caratterizzazione di genere. Questo è permesso tramite l’orrore quotidiano che incessantemente viene trasmesso in modo frammentato attraverso il tam-tam mediatico. Tragedia e orrore sono “visti” e vissuti a intermittenza come se facessero parte dell’estetica del quotidiano, resa accessibile anche a fini commerciali e in termini di audience. Rispetto ad azioni “incompiute” o ancora in corso, è confermata all’inizio del XXI secolo una manifestazione comune e pubblica di idee al “femminile”, anche se spesso la “rivendicazione” o la “condivisione” di “ideali” sono lasciate a innumerevoli associazioni sparse senza coordinamento comune. Ove appaia che sussista un coordinamento, si nota alternativamente un radicamento a “vecchi” principi o alla compartecipazione ad una nuova causa per far fronte al senso di disgregazione e smarrimento, frutto delle innumerevoli cadute di “ideologie”. Qualsiasi impegno di ordine pubblico, anche al “femminile” sembra ridursi a un numero piuttosto che a un concetto “forte”. Si è visto come tali condizioni non coincidano con le proposte di un corpo pubblico di qualità e come le artiste spesso agiscano in questa ultima veste da “isolate”. La mancanza di unitarietà riscontrata nelle proposte artistiche, quantitativamente circoscritte, prese in esame, non sembrano però precludere la qualità di direttive comuni indirizzate verso la collettività nel suo complesso. Le donne e gli uomini comuni, che sembrano aver perso la fiducia nelle istituzioni pubbliche e, nell’eventualità di delegare ad altri i propri interessi, si sentono incapaci di muovere azioni efficaci. Per queste cause ci si affida sdrammatizzando al mondo dei mezzi di comunicazione di massa, sempre più tecnologici, che sono caratterizzati “dall’immagine-spettacolo” e dalla satira, dove l’impegno artistico si mescola con quello politico e gli attori e i registi diventano potenzialmente dei politici e viceversa. Come si è appurato, anche le artiste cercano di provocare criticamente la collettività incarnando spesso il corpo pubblico con parodie e azioni simboliche. Tale riflessione che investe il mondo dell’arte dal punto di vista della donna artista serba in seno molte contraddizioni. Come assistere e giudicare infatti senza sospetto la piéce teatrale “The Vagina Monologues” che in ambito hollywoodiano raduna donne affermate della “macchina dello spettacolo” a sostegno di “Step Up Women’s Network” (organizzazione che raccoglie fondi per donne maltrattate)?. [3 Per non commentare la patetica risposta a tale rassegna avvenuta dalla parte maschile! Il sospetto nasce dal chiedersi perché occorra coinvolgere le personalità di rilievo del o star system per far leva sulla solidarietà e sensibilizzazione su un determinato problema. Ci si domanda se lo stesso “successo” sarebbe riscontrabile se sul palco si succedessero donne qualsiasi. Operazioni di questo tipo rischiano di scadere di contenuto e di non essere tempestive rispetto eventi che attentano all’integrità del corpo e dell’identità. È chiara l’importanza e l’esigenza di una partecipazione femminile a discorsi sui diritti sociali, anche in termini artistici per una creazione e una critica in “libertà” capace di stabilire un compromesso con la società. Rispetto ad un tema come la clonazione, ad esempio, appare ormai evidente che il corpo del XXI secolo corra il rischio di essere usato in termini mercantili e di non essere tutelato dai “progressi” scientifici e tecnologici. Nonostante la scienza, come l’arte, debbano continuare ad essere “libere”, i ricercatori e promotori di tali discipline devono imporsi delle questioni etiche che non trasgrediscano i diritti pubblici umani. La donna sotto questi aspetti è coinvolta e compromessa non solo numericamente o quale genere ma soprattutto come madre, una specificità ottemperabile o trasgredibile secondo i punti di vista. L’arte pubblica e il corpo pubblico, come potenziali configuratori della realtà sociale, possono concepire progetti di vivibilità interdipendenti con il potere tecnologico e politico. Non serve stabilire barriere nel vedere una progettualità legata al corpo in divenire, semmai basta stabilire delle connessioni per superare dei possibili limiti. Non è possibile sottrarsi al senso di minaccia derivato dal controllo e uso delle nostre tracce corporee (intercettazione, contraffazzione, duplicazione, trapianto d’organi, uteri artificiali, cloni, etc.). Per tali motivi, con molta probabilità il corpo pubblico nell’arte e nella società continuerà a esibirsi e a poter esercitare il proprio diritto di partecipazione rispetto i temi che tentano di replicare il corpo o sostituirsi ad esso. Libertà di creazione e creatività in termini scientifici e artistici devono essere mantenuti saldi e proficui per mantenere un margine di critica e discussione. <4 Accettare un senso o un bene comune è una convenienza che elude dal vero senso delle cose in sé perchè in un certo senso è un atteggiamento di superficie. L’etica e la bioetica sembrano obbligare la produzione creativa saggiando misure e limiti nel rispetto di una collettività. <5 Per questo chi scava e ricerca nel profondo e nel non ovvio o “sano” rischia continuamente di essere visto come un pazzo o come un profeta (vedasi artisti e scienziati). Occorre tenere presente gli “scarti” che tali ricerche producono nell’esigenza di una presunta “conquista” innovativa e benefica. Considero che ci sia sempre spazio per un margine di rischio, in arte come nella scienza, quindi una presunta replica artificiale del corpo non potrà restituire senza errori la simbiosi mente/corpo. In un certo senso la metodologia comune tra arte e scienza è quella di avere “visioni” del mondo da rappresentare. L’illusione della ricerca serba molte speranze verso ipotesi che fungono da prologo piuttosto che da epilogo. L’ansia di ricerca e sperimentazione coincide con il desiderio di avere capacità profetiche e di dominio sugli eventi della realtà. Essere in grado di ovviare alla vulnerabilità del corpo corrisponde a poter modificare la realtà superando convenzioni, agendo con una dose di “immoralità” che permetta a scienziati e ad artisti di creare con umiltà ma senza compromessi. Rispetto la tesi in questione si è ricercata la permanenza del corpo pubblico, anche se con varianti, all’interno di un flusso complesso di dati artistici. Pur attuando attraverso dinamiche imposte è possibile riscattare una progettualità intesa a livello locale e globale. L’essere propositivi rispetto a un progetto significa saper “organizzare” con criterio dei valori che si intendono mantenere e perpetuare, perché utili a un determinato percorso.
[NOTE] 1 La donna, rispetto l’uomo, è l’identità che all’interno del XX secolo ha affrontato più modifiche rispetto i ruoli della società. Per l’approfondimento della tematica cfr.: Lipovetsky, Gilles, La Terza Donna. Il Nuovo Modello Femminile, Frassinelli, Trento, 2000 (1997) 2 L’atteggiamento “nomade” delle donne e delle artiste, portato alla luce nei capitoli precedenti, equivale a considerare la condizione femminile in continua ridefinizione per contingenza o necessità. Metaforicamente la nomadicità femminile permette alla donne di sentirsi non appartenenti a un luogo definito e chiuso e al contempo di sentirsi a “casa” in ogni luogo. Tale caratteristica nomade permette un continuo transito e accomodamento che può condurre alla sopravvivenza. 3 Ensler Eve, autrice di The Vagina Monologues, è un’attivista impegnata per i diritti delle donne, poetessa, sceneggiatrice, regista e insegnante di drammaturgia presso l’Università di New York. The Vagina Monologues è uno spettacolo che debuttò off Broadway nel 1996 ed è basato su una raccolta di testi compiuto da Ensler, già autrice di Necessary Targets, piéce teatrale sulla violenza alle donne bosniache. La presentazione di tale evento è sempre accompagnata da uno “sgradevole” bilancio di numeri (la parola vagina ripetuta 128 volte, le 200 donne intervistate da sei a settantacinque anni, il numero di spettatori, il numero di attrici coinvolte, la cifra raccolta….) Da quando ne è stato decretato il successo, con il prestigioso Obie Award nel 1997 (premio che valorizza le produzioni teatrali indipendenti), Hollywood ha esteso la chermesse a celebrità femminili dello spettacolo che hanno come “gareggiato” per prendervi atto (Erica Jong, Amy Irving – ex moglie di Steven Spielberg- e Alanis Morissette fra altre). Nel 1998 Ensler ha organizzato a New York una serata di beneficenza chiamata V-day, a favore di associazioni che lottano contro la violenza sulle donne; da allora il V-day è presentato in vari teatri occidentali. Recentemente Ensler ha intrapreso un viaggio in Afghanistan per prendere contatti con RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan) ed inoltre stá lavorando a un progetto cinematografico sulle donne e le carceri. www.rawa.org/. (…) il 5 marzo scorso [2001] è stata la prima festa della vagina, il primo V-day italiano! E per festeggiarla degnamente una ventina fra le attrici più note (…) È’ infatti da New York che arriva il V-day, dal 1998 una vera e propria ricorrenza, una tradizione, un rito. (…) L’ultimo Vday, il 10 febbraio scorso [2001], si è svolto sul palcoscenico del Madison Square Garden. Così, nel regno del machismo sportivo, è andata di scena la vagina, il cui nome viene pronunciato, nel corso dello spettacolo, ben 128 volte.(…) www.alice.clarence.com/teatro/vagina.html La “risposta” teatrale maschile (Puppetry of the Penis) all’evento è ancor più discutibile perché portata avanti con soli sberleffi tragicomici. 4 “(…) La creatività è la caratteristica essenziale delle attività cerebrali dell’Homo sapiens. Delle infinite realizzazioni che formano il nostro patrimonio culturale, la scoperta scientifica si presta più di ogni altra manifestazione creativa a un’analisi dei meccanismi cerebrali preposti alla sua elaborazione. Se pure non possa sussistere alcun dubbio che gli stessi meccanismi siano implicati nella creatività sia in campo artistico, che in tutti gli altri settori dell’attività umana, i processi che si estrinsecano nella scoperta scientifica sono stati più di ogni altro oggetto di analisi dell’attività creativa. (…) Una differenza essenziale tra la scoperta scientifica e le opere d’arte è che queste ultime sono la risultante dell’attività creativa di un singolo individuo. (…) Al contrario la scoperta scientifica, pur avendo origine nel felice intuito di un singolo, diventa immediatamente un’opera collegiale che va incontro ad approfondimento ed estensione a mano a mano che gli studi portano nuove conoscenze. Un altro aspetto della creatività è la similarità della creatività esplicata nella scoperta scientifica e nella produzione artistica. (…) la scoperta scientifica e l’opera d’arte, pur non rappresentando che due aspetti della creatività, sono state oggetto di analisi più di ogni altra produzione umana. (…) Sia la scoperta scientifica che l’opera d’arte sono ovviamente il prodotto realizzato in quel formidabile complesso di sistemi e circuiti neuronali neocorticali così altamente sviluppati in individui della nostra specie. (…) L’artista a differenza dello scienziato creerebbe perciò la sua opera dal nulla <> e non ispirandosi alle apparenze illusorie quali gli sono trasmesse dai sensi. In questo senso la sua produzione differirebbe sostanzialmente da quella dello scienziato. La creatività, sia pure come di norma ritenuto, nel periodo del pieno sviluppo delle attività cerebrali, raggiunge il massimo della sua espressione, diminuisce nei decenni seguenti e praticamente decade progressivamente nell’età senile, ma può manifestarsi in una nuova forma in quest’ultimo periodo vitale. (…) In condizioni normali le capacità mentali, e tra queste quelle della creatività in ogni settore dello scibile umano, sono potenziate dal continuo uso delle funzioni cerebrali e dall’incessante interesse per quanto ci circonda, sia che si tratti del mondo inorganico sia dell’organico, e in particolare nell’affrontare tematiche volte a migliorare la qualità della vita a livello globale (…) Un ulteriore sviluppo è in atto nella riflessione sulle relazioni tra scienza, tecnologia e famiglia nella società contemporanea affinché le risorse e le responsabilità dell’individuo in un mondo che cambia, possano essere coscientemente valorizzate. Una riflessione, questa, volta a promuovere una politica di educazione moderna, modificando i criteri e i metodi tradizionali dell’apprendimento per un migliore sviluppo della creatività umana, attraverso un’adeguata formazione e preparazione dei giovani nella gestione culturale dei cambiamenti in atto. (…)” Levi Montalcini, Rita, “Creatività Come Corollario (C=C)” in Levi Montalcini, Rita, L’Asso Nella Manica a Brandelli, Baldini&Castoldi, Milano, 1998, pp. 63 – 69
5 Rispetto la morale comune, l’ambito che propone maggiori interrogativi rispetto il corpo è quello dell’etica della biologia e della medicina. Molte delle risposte ai quesiti più inquietanti che investono il corpo risiedono nella bioetica, che si pone come riflessione critica e morale sulla vita, la sua genesi, la cura della malattia del corpo e la morte. La bioetica si interroga sulle questioni legate al corpo e alla vita biologica studiando i problemi legati all’applicazione delle più recenti scoperte nel campo bio-medico. Il trapianto d’organi, l’eutanasia, la procreazione clinicamente assistita e l’ingegneria genetica sono i temi ricorrenti della società contemporanea. Bioetica e biotecnologie coinvolgono perciò le scienze umane e sociali e trovano una peculiare collocazione nell’affrontare il discorso politico e economico rivolto alle donne, per gli aspetti che ancora riguardano ad esempio il legiferare sul corpo femminile e le discriminazioni sul lavoro e il salario. La bioetica non ha più come fondamento l’etica tradizionale basata sulle scienze empiriche e logico-matematiche; essa si rivolge ai risultati concreti raggiunti, piuttosto che a principi dati a priori.
È impossibile assolutizzare una morale che è comunque rivolta verso un bene qualitativo comune: la vita. È necessario ripensare la “sacralità” del corpo in relazione alla qualità della sua vita, infrangendo molti sensi morali sul valore della vita in senso lato. Eppure si cerca ancora di sostenere il valore non strumentale della persona umana, considerandola sempre come fine e mai solamente come mezzo, insistendo sulla “ centralità della persona”. Rispetto alla clonazione o a un potenziale trapianto di organi da corpo a corpo si rischia nel “ricevente” la non accettazione psico-fisica. Se un organo o addirittura un arto esterno al corpo non riesce a sostituirsi all’ “unicità” del corpo, il meccanismo di non riconoscimento (non adattamento), non genera qualità e benessere, produce disagio. La “sacralià” del corpo è perciò infranta per vari aspetti, per lasciar spazio alla coscienza che corpo e identità non sono sempre elementi coincidenti. Non accettare l’integrazione nella propria immagine corporea di un organo estraneo, anche se questo non è visibile, equivale alla paura per la perdita dell’integrità fisica e morale. L’organo esterno può essere avvertito come dotato di una propria identità legata ad un corpo specifico anche se anonimo (donatore) capace di mettere in crisi l’identità del corpo ricevente. Anzi questa non identificazione permette di prendere sempre più coscienza e possesso della fisicità del corpo “proprio”. La morte del corpo e conseguentemente la possibilità di una donazione di organi generalmente suscita un doppio pensiero
contradditorio: da un lato la consapevolezza della morte e dall’altro la possibilità di sostenere la vita di altri. Questa contraddizione deve generare perciò una coscienza del corpo nella sua variante pubblica : il dono di un “privato” organico verso un anonimato pubblico. Ed è proprio sulla parola dono che è possibile stabilire dei parallelismi sulla capacità di questo gesto di stabilire uno scambio che genera vita e conoscenza. Domandandosi di chi sia il corpo, quale funzione abbia al di là del proprio essere unico e privato, arte e bioetica esercitano cura per l’altro, attenzione e comportamenti in grado di sollevare quesiti ma anche porre rimedi e possibili soluzioni. Certo il sospetto rimane, proprio perché investe l’etica sul corpo umano e i discorsi attorno ad esso, in particolare riguardo le sopraffazioni e gli abusi delle fasce più “deboli”. Ma è giusto considerare il corpo non solo come proprietà privata, ma semmai come parte di un patrimonio comune inerente la natura e la società e al sevizio di queste e di tutti gli esseri che la popolano.
Vania Tinterri, Corpo pubblico: corpo significante, Tesi di dottorato, Università di Barcellona, 2004