Il primo a far cenno, contro l’opinione corrente che la voleva sottostante alla città medievale, del reale sito dell’insediamento di Ventimiglia romana nell’attuale Riviera dei Fiori – e dei possibili tesori che il terreno che la ricopriva andava celando – fu nel ‘600 l’erudito, frate agostiniano, Angelico Aprosio (Ventimiglia, 1607 – 1681).
Aprosio, fuor di dubbio, fu il primo ad intuire la esatta locazione della città romana di Ventimiglia e da quanto si può leggere in una lettera indirizzata a Giovanni Ventimiglia è da credere che non solo fosse giunto a conclusioni più pregnanti di quanto abbia voluto lasciar credere ma che, anche dallo spunto lasciato nel suo citato repertorio biblioteconomico, abbia nella gioventù raccolto oggetti di pregio dalla necropoli orientale di Ventimiglia Romana: in tale contesto non sembra strano che l’erudito intemelio abbia goduto di una fama da collezionista ed antiquario su cui non sembra soffermarsi volentieri (pur lasciando qualche interessante traccia delle sue investigazioni) ma che emerge dagli scritti di altri, specificatamente dalle notazioni di autori nordeuropei.
Certo tutto sarebbe forse più semplice da interpretare se un’opera, di cui l’erudito intemelio ha parlato sempre poco, Le Antichità di Ventimiglia non fosse andata perduta o come ho ipotizzato non fosse stata variamente assimilata entro opere diverse e poi edite: le ragioni di un graduale abbandono aprosiano per gli interessi archeologici sulla città natia e sulla sua storia romana non sono facilmente decrittabili.
Potrebbero anche risiedere nella volontà di non entrare in urto con il religioso regolare intemelio Giovanni Girolamo Lanteri: che tra parentesi godeva non solo in città ma nell’ambiente letterario e storiografico di una solida reputazione al punto che era sato scelto da svolgere da intermediario per le notizie storiche sulla diocesi intemelia e sul suo retroterra storico a pro della stesura di un’opera monumentale quale fu l’ Italia Sacra… di Ferdinando Ughelli collaborando con un, talora discusso, ma certamente importante in ambito culturale e storico, referente dell’Ughelli per l’Italia di Nord-Ovest, vale a dire il sabaudo Teofilo Rinaldo (Teofilo Raynaud).
L’Aprosio registrò una lacuna in merito alla segnalazione di una lapide romana all’interno dell Italia Sacra ma non incolpò dell’errore l’Ughelli; in effetti non citò nemmeno il Raynaud e quantomeno il Lanteri: tuttavia per concatenazione logica la trasmissione del presunto errore doveva essere addebitata a chi esercitava le investigazioni in loco, cioè Giovanni Girolamo Lanteri.
Il fatto che non si sia sbilanciato può esser dipeso da tanti fattori, non ultimo la sua vita non sempre facile per la salvaguardia dell’appena eretta biblioteca per vari tipi di opposizioni ancor più di religiosi che di laici: per lui che in fondo era un rimpatriato poteva esser scomodo farsi altri nemici oltretutto in un’epoca difficile e perigliosa per la stessa Ventimiglia.
Ma altre ragioni ancora potevano risiedere in questa scelta del silenzio in merito ai rinvenimenti archeologici; nel passo sopra esposto l’erudito intemelio parla di vari ritrovamenti di romanità ma non del suo comportamento nei riguardi degli oggetti. Si sapeva comunque che la sua biblioteca era una struttura polivalente (libreria, quadreria, nummoteca, raccolta di oggetti ar4cheologici) alla stregua di quanto lui stesso ammirava nella raccolte del bolognese Ovidio Montalbani o in quella del milanese Manfredo Settala: qualora fosse emerso o, anche contro il vero, si fosse pensato che i reperti archeologici o la nummoteca, più o meno chiaramente citati dal Breve papale di Innocenzo X, in gran parte li avesse raccolti nell’area di Nervia avrebbe avuto non pochi problemi a fronte del capitolo della Cattedrale di Ventimiglia, stante il fatto che (anche se naturalmente nulla esisteva -come per molto non sarebbe esistito- a tutela dei rinvenimenti archeologici) quel materiale lo avrebbe in qualche modo tolto senza giustificazione alla Chiesa intemelia atteso il fatto che lo aveva individuato (e raccolto?), per sua stessa ammissione, nella prebenda ecclesiastica di Nervia (una delle otto grandi proprietà ecclesiastiche in cui era stato diviso il territorio intemelio sin dal XIII secolo), prebenda per giunta caratterizzata oltre che da proprietà rurali da insediamenti diversi come i resti di qualche ospedale duecentesco e sicuramente di una chiesa a Nervia, come evidenziato da un documento del 4 marzo 1616.
Cosa che fuor di dubbio non gli avrebbe giovato nell’intrattenere, come al contrario fortemente voleva, ottimi rapporti con il Vescovo intemelio e naturalmente tutti i canonici. da Cultura Barocca
Aprosio, fuor di dubbio, fu il primo ad intuire la esatta locazione della città romana di Ventimiglia e da quanto si può leggere in una lettera indirizzata a Giovanni Ventimiglia è da credere che non solo fosse giunto a conclusioni più pregnanti di quanto abbia voluto lasciar credere ma che, anche dallo spunto lasciato nel suo citato repertorio biblioteconomico, abbia nella gioventù raccolto oggetti di pregio dalla necropoli orientale di Ventimiglia Romana: in tale contesto non sembra strano che l’erudito intemelio abbia goduto di una fama da collezionista ed antiquario su cui non sembra soffermarsi volentieri (pur lasciando qualche interessante traccia delle sue investigazioni) ma che emerge dagli scritti di altri, specificatamente dalle notazioni di autori nordeuropei.
Certo tutto sarebbe forse più semplice da interpretare se un’opera, di cui l’erudito intemelio ha parlato sempre poco, Le Antichità di Ventimiglia non fosse andata perduta o come ho ipotizzato non fosse stata variamente assimilata entro opere diverse e poi edite: le ragioni di un graduale abbandono aprosiano per gli interessi archeologici sulla città natia e sulla sua storia romana non sono facilmente decrittabili.
Potrebbero anche risiedere nella volontà di non entrare in urto con il religioso regolare intemelio Giovanni Girolamo Lanteri: che tra parentesi godeva non solo in città ma nell’ambiente letterario e storiografico di una solida reputazione al punto che era sato scelto da svolgere da intermediario per le notizie storiche sulla diocesi intemelia e sul suo retroterra storico a pro della stesura di un’opera monumentale quale fu l’ Italia Sacra… di Ferdinando Ughelli collaborando con un, talora discusso, ma certamente importante in ambito culturale e storico, referente dell’Ughelli per l’Italia di Nord-Ovest, vale a dire il sabaudo Teofilo Rinaldo (Teofilo Raynaud).
L’Aprosio registrò una lacuna in merito alla segnalazione di una lapide romana all’interno dell Italia Sacra ma non incolpò dell’errore l’Ughelli; in effetti non citò nemmeno il Raynaud e quantomeno il Lanteri: tuttavia per concatenazione logica la trasmissione del presunto errore doveva essere addebitata a chi esercitava le investigazioni in loco, cioè Giovanni Girolamo Lanteri.
Il fatto che non si sia sbilanciato può esser dipeso da tanti fattori, non ultimo la sua vita non sempre facile per la salvaguardia dell’appena eretta biblioteca per vari tipi di opposizioni ancor più di religiosi che di laici: per lui che in fondo era un rimpatriato poteva esser scomodo farsi altri nemici oltretutto in un’epoca difficile e perigliosa per la stessa Ventimiglia.
Ma altre ragioni ancora potevano risiedere in questa scelta del silenzio in merito ai rinvenimenti archeologici; nel passo sopra esposto l’erudito intemelio parla di vari ritrovamenti di romanità ma non del suo comportamento nei riguardi degli oggetti. Si sapeva comunque che la sua biblioteca era una struttura polivalente (libreria, quadreria, nummoteca, raccolta di oggetti ar4cheologici) alla stregua di quanto lui stesso ammirava nella raccolte del bolognese Ovidio Montalbani o in quella del milanese Manfredo Settala: qualora fosse emerso o, anche contro il vero, si fosse pensato che i reperti archeologici o la nummoteca, più o meno chiaramente citati dal Breve papale di Innocenzo X, in gran parte li avesse raccolti nell’area di Nervia avrebbe avuto non pochi problemi a fronte del capitolo della Cattedrale di Ventimiglia, stante il fatto che (anche se naturalmente nulla esisteva -come per molto non sarebbe esistito- a tutela dei rinvenimenti archeologici) quel materiale lo avrebbe in qualche modo tolto senza giustificazione alla Chiesa intemelia atteso il fatto che lo aveva individuato (e raccolto?), per sua stessa ammissione, nella prebenda ecclesiastica di Nervia (una delle otto grandi proprietà ecclesiastiche in cui era stato diviso il territorio intemelio sin dal XIII secolo), prebenda per giunta caratterizzata oltre che da proprietà rurali da insediamenti diversi come i resti di qualche ospedale duecentesco e sicuramente di una chiesa a Nervia, come evidenziato da un documento del 4 marzo 1616.
Cosa che fuor di dubbio non gli avrebbe giovato nell’intrattenere, come al contrario fortemente voleva, ottimi rapporti con il Vescovo intemelio e naturalmente tutti i canonici. da Cultura Barocca