Sotto il casolare i boschi diradano in strisce di prato

“Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti scoscesi dove nessuno coltiva”. I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno – Fonte: Anna Voltaggio, Op. cit. infra

Nel romanzo di Italo Calvino, il bosco è il grande spazio in cui vivono i partigiani, in cui la banda del Dritto è accampata e affronta la Resistenza.
È il paesaggio di un racconto avventuroso quello descritto nel Sentiero dei nidi di ragno, che attraverso gli occhi di Pin diventa ancora più misterioso e fiabesco.
“Per terra, sotto gli alberi del bosco, ci sono prati ispidi di ricci e stagni secchi pieni di foglie dure. A sera lame di nebbia si infiltrano tra i tronchi dei castagni e ne ammuffiscono i dorsi con le barbe rossiccie dei muschi e i disegni celesti dei licheni. L’accampamento s’indovina prima d’arrivarci, per il fumo che si leva sulle cime dei rami e il cantare d’un coro basso che cresce approfondendosi nel bosco. E’ un casolare di sassi, alto due piani, un piano di sotto per le bestie con pavimento per terra; e un piano di sopra fatto di rami perché ci dormano i pastori. Ora ci stanno uomini sopra e sotto, su lettiere di felci fresche e fieno […] Sotto il casolare i boschi diradano in strisce di prato, e là dicono che ci sono spie seppellite e Pin ha un po’ paura di passarci alla notte, per non sentirsi tirare i calcagni da mani cresciute in mezzo all’erba” 79.
Calvino introduce il lettore in una dimensione magica, anche quando racconta le esperienze atroci della guerra.
Nel Bosco degli animali c’è un altro esempio di come l’autore caratterizza i luoghi della Resistenza, trasfigurandoli in una scenografia fantastica anche se legati sempre al contesto storico. Durante i giorni di rastrellamento i contadini dei paesi e dei borghi cercano di salvare il proprio bestiame dalle requisizioni tedesche, il risultato è che il bosco si riempie degli animali nascosti: maiali, agnelli, galline, che disorientano e spaventano un soldato tedesco che attraversa il bosco con la mucca del contadino Giuà.
L’atmosfera del racconto è di una tensione giocosa: “Graffiandosi il naso nei roveti e finendo a piè pari nei ruscelli Giuà Dei Fichi gli teneva dietro, tra frulli di scriccioli e che prendevano il volo e sgusciar di ranocchi nei pantani” 80.
Il racconto mostra un ambiente che al soldato tedesco sembra stregato, come in una favola Calvino descrive una natura armonica e bizzarra che, infine, riesce a vincere una battaglia contro il più forte.
“Il tedesco già guardava con paura il bosco fitto, e studiava come poteva fare a uscirne, quando udì un fruscio in un cespuglio di corbezzoli e sbucò fuori un bel maiale rosa. Mai al suo paese aveva visto maiali che girassero nei boschi. Mollò la corda della mucca e si mise dietro al maiale. Coccinella appena si vide libera s’inoltrò trotterellando per il bosco, che sentiva pullulare di presenze amiche” 81.
[…] I boschi sono uno spazio estremamente legato alla natura del partigiano non solo perchè sono il terreno degli agguati e degli scontri o la scenografia naturale degli accampamenti e delle basi militari, ma anche perché mostrano la capacità dei partigiani di sapersi orientare in territori senza chiari punti di riferimento e di sapersi adattare alla fatica di uno spazio della natura imprevedibile e ostile.
In Paura sul sentiero Calvino sottolinea questa abilità raccontando il “mestiere” della staffetta partigiana Binda, originaria del paese di San Faustino, che si muove tra i boschi con estrema naturalezza: “Alle nove e un quarto arrivò su Colla Bracca assieme alla luna, ai venti era già al bivio dei due alberi, per la mezza sarebbe stato alla fontana. In vista di San Faustino prima delle dieci, dieci e mezzo a Perallo, Creppo a mezzanotte, per l’una poteva essere da Vendetta in Castagna: dieci ore di strada a passo normale, sei ore a dir tanto per lui […] Andava forte, Binda, a corpo morto giù per le scorciatoie, senza sbagliarsi mai alle svolte tutte uguali, riconoscendo nel buio i sassi, i cespugli, prendendo di petto le salite, di petto fermo che non cambiava il ritmo del respiro” 89.
Ma il pensiero costante della presenza dei tedeschi tra quegli stessi boschi rende ogni spostamento una traversata angosciosa, tanto che a un certo punto “gli sembrò d’aver sbagliato strada: eppure riconosceva quel sentiero, le pietre, gli alberi, il muschio. Ma erano pietre, alberi, muschio d’un altro luogo, distante, di mille altri luoghi diversi e distanti” 90.
79 I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano 2005, pp.72-73
80 I. Calvino, Il bosco degli animali, in Racconti della Resistenza, cit., p. 23
81 Ivi, p. 24
89 I. Calvino, Paura sul sentiero, in Racconti della Resistenza, cit., p. 13
90 Ivi, p. 9

Anna Voltaggio, Spazi partigiani: il paesaggio letterario nella narrativa della Resistenza italiana, Tesi di Laurea in Teoria della Letteratura, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lettere Moderne, Sessione I, Anno accademico 2006-2007

[…] Lo spazio della vicenda del primo [Paura sul sentiero in Racconti della Resistenza, Einaudi, 1949] dei due racconti è facilmente precisabile. Binda, intrepida staffetta partigiana (“era un duro e solitario compito il suo”, I. Calvino, op. cit., p. 65), è il suo protagonista. Incaricato di avvisare i dispersi combattenti di un subitaneo quanto inatteso rastrellamento fascista, marcia lungo il sentiero che si snoda fra imprecisate cime autunnali. È un ragazzo ormai temprato alla guerra, Binda, conosce la sua cruda, imperscrutabile realtà di morte, come conosce, e conosce a fondo, i mille, diverticolari sentieri che per ogni dove tracciano il dorso infinito delle sue montagne natie.
[…] Il racconto costituisce lo spaccato del tragitto compiuto nella notte tra il comando centrale, dove Binda riceve la notizia, e il primo dei distaccamenti partigiani, cui la staffetta deve recare la comunicazione. Binda corre veloce i noti sentieri della sua terra natia, Tumena, una montuosa regione partorita dall’immaginazione di Calvino. Che con la sua natura incollocabile e vaga costituisce già, forse, il primo tratto di quell’incertezza, incertamente sospesa fra le pagine di questo notturno. Binda trascorre veloce le sue montagne, “la lena delle gambe spinte come da stantuffi” (p. 65) traendolo innanzi.
Redazione, Una realtà fuggevole: Italo Calvino in un contrasto, MentiSommerse.it, 19 dicembre 2019

Ora, a sessant’anni di distanza, quell’auspicata antologia ce l’abbiamo, e abbiamo anche la visione prospettica per poter rileggere e ricontestualizzare i più importanti testi nati da quella fondamentale esperienza.
«Sembra arrivato il momento di liberarci dell’automatismo che ci porta ad associare spontaneamente alla Resistenza una letteratura scialba e fortemente ideologizzata, tutta pugni al vento e bandiere rosse, scarpe rotte eppur si deve andar: una letteratura cioè pericolosamente vicina alla propaganda politica, interamente asservita alla battaglia ideologica e comunque disposta a sacrificare tutto (ricchezza del vocabolario, sfumature psicologiche e stilistiche, necessità espressive) all’esigenza primaria di comunicare un messaggio chiaro in modo che fosse comprensibile a tutti. (…)
Forse la fiaba di Calvino e l’epica di Fenoglio, l’esistenzialismo di Zanzotto e l’internazionalismo di Vittorini, la paratassi di Bilenchi e la prosa avvolgente di Pavese hanno soltanto un elemento in comune. Per tutti e quindici gli autori di questa antologia la libertà di raccontare nelle forme che ciascuno riteneva più opportune la guerra civile è stata strettamente intrecciata con l’impossibilità di sottrarsi alla scrittura. In tutti e due i momenti, durante il conflitto e a guerra terminata, la Resistenza rappresenta una scelta che non si sceglie: proprio come non si decide dove e quando nascere, il proprio padre e la propria madre, la lingua in cui pronunciamo le nostre prime parole. Si tratta di un’idea molto esistenzialistica, certo – che ha a che fare con l’esperienza dell’essere gettati nel mondo, al tempo stesso fonte di costrizione e straordinaria opportunità. Qualche anno più tardi, facendosi interprete di un sentire comune, Sartre avrebbe parlato di “condanna alla libertà”, un concetto che nel nostro caso si adatta perfettamente alle due scelte degli scrittori partigiani: ma appunto perché sarebbe stato lui a fornire l’esatta trascrizione filosofica dei sentimenti di alcuni milioni di giovani europei e non loro a farsi contagiare da una moda culturale. Non è affatto strano che Sartre e Heidegger siano stati i filosofi di una generazione che aveva già sperimentato sulla propria pelle, prima di trovarli nei libri, stati d’animo come l’indecisione tra la possibilità-che-non e la possibilità-che-sì, l’angoscia e la fede quale capovolgimento paradossale dell’esistenza».
Introduzione di Gabriele Pedullà
«Il libro letterario più rappresentativo della Resistenza non potrebbe essere altro che un’antologia». Italo Calvino, La letteratura italiana sulla Resistenza (1949)
Racconti della Resistenza, Coralli, Einaudi, 2005

[…] Io speravo di fare un librettino di raccontini, tutto bello pulito stringato, ma Pavese ha detto no, i racconti non si vendono, bisogna che fai il romanzo. Ora io la necessità di fare un romanzo non la sento: io scriverei racconti per tutta la vita. Racconti belli stringati, che li cominci così li porti a fondo, li scrivi e li leggi senza tirare il fiato, pieni e perfetti come tante uova, che se gli togli o gli aggiungi una parola tutto va in pezzi. Il romanzo invece ha sempre dei punti morti, dei punti per attaccare un pezzo all’altro, dei personaggi che non senti. Ci vuole un altro respiro per il romanzo, più riposato, non trattenuto e a denti stretti come il mio. Io scrivo mangiandomi le unghie. Tu scrivi mangiandoti le unghie? Ora non devi credere che io non abbia idee per romanzi in testa. Io ho idee per dieci romanzi in testa. Ma ogni idea io vedo già gli sbagli del romanzo che scriverei, perché io ho anche delle idee critiche in testa, ci ho tutta una teoria sul perfetto romanzo, e quella mi frega. […] Anche Natalia scrive un romanzo. Anche Pavese scrive un romanzo. Anch’io ho cominciato un romanzo: ne ho scritto 4 pagine in una settimana. Passano le giornate che non riesco a aggiungerci una virgola, delle giornate in cui penso se in quella frase ci sta meglio salito o montato.
Italo Calvino, Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1964, p. 8.

1. Romanzo e nevrosi: la riconquista delle cose
«Caro Marcello, scusa se son stato zitto tanto tempo. Figurati se metto superbia proprio io! A Riccione se partecipavi vincevi anche tu. Il verdetto della giuria fortunatamente i giornali non l’hanno pubblicato: diceva che non c’era nessun romanzo che valesse gran che, e quei due erano appena appena i meno peggio.» 1 Così, in data 26 settembre 1947, quasi a ridosso dell’uscita del Sentiero dei nidi di ragno, l’incipit della lettera al sodale Venturi, l’amico scrittore col quale Calvino intrattiene in questi anni un fitto epistolario. Niente da celebrare, anzi: l’opinione della giuria del Premio Nazionale Riccione, che l’ha premiato ex-aequo con Fabrizio Onofri 2, si aggiunge come ulteriore nota dissonante al già contrastato concerto di giudizi espressi sull’ancora inedito scartafaccio: «I pareri sul romanzo di chi l’ha letto finora sono molto vari: secondo Pavese è bellissimo, secondo Natalia anche, secondo Ferrata è sbagliato, senza fantasia, scritto in gergo, pieno di convenzioni e non so cosa altro, secondo Vittorini così così, secondo Balbo il primo romanzo marxista, secondo i miei genitori un insieme di sconcezze che non capiscono come il loro figlio abbia potuto scrivere». 3
Dopo la bocciatura ottenuta nei primi mesi del ’47 al Premio Mondadori 4, con il deciso niet di Giansiro Ferrata 5, cui aveva fatto invece da pendant l’entusiasmo di Cesare Pavese che, lettore per Einaudi nel gennaio, lo aveva raccomandato per la collana «Narratori contemporanei» 6, il Sentiero colleziona poi il tiepido assenso di Elio Vittorini in maggio 7, per trovarsi di nuovo sotto mira a Riccione in agosto 8, suo malgrado vincitore (ma alla pari). Consolazione postuma, un più veloce approdo tipografico: «Il romanzo uscirà tra pochissimo. Il premio ha accellerato la pubblicazione. Sarà un “corallo”, collana che io odio, per come si presenta. Avrà un brutto disegno di Morlotti appiccicato sopra» 9. Numero 11 della serie, il libro di Calvino è preceduto da Pavese con Il compagno e da Natalia Ginzburg di È stato così – che inaugura la serie; tra gli stranieri, al n. 9 da La disfatta di Fadeev, cioè dall’archetipo russo corrispettivo del Sentiero 10 e da calibri come Hemingway (Avere e non avere) e Sartre del Muro (cui farà seguito al n. 13, nel 1948, La nausea). Il vincitore del Premio Viareggio 1946 Silvio Micheli 11 e Pier Quarantotti Gambini fanno anche parte del catalogo 1947, rispettivamente con Un figlio ella disse e L’onda dell’incrociatore.
La collocazione di un esordiente in questa galleria di talenti, complice il (relativo) chiasso del Premio attribuitogli 12, è una intuizione editoriale che il mercato non smentisce. Quanto la strada per arrivare alla pubblicazione è stata costellata da brusche frenate, tentennamenti e piccole amarezze, tanto la ricompensa giunge repentina […]
1 I. CALVINO, Lettere 1940-1985, cit., p. 203. (Le citazioni seguenti dal volume delle Lettere includeranno solo destinatario, data e pagina.)
2 «La giuria del Premio Nazionale Riccione per un romanzo, presieduta da Sibilla Aleramo e presenti i seguenti giudici: Mario Luzi, Guido Piovene, Cesare Zavattini, esaminati i ventotto manoscritti concorrenti non ha potuto riscontrare in nessuno di essi qualità artistiche tali da suscitare il suo deciso consenso. […] la giuria ha però constatato che un terzo delle opere sottoposte al suo esame erano degne di considerazione per la commossa partecipazione dimostrata dai concorrenti alle recenti vicende della nostra vita nazionale, e segnala […] tra questi per migliori qualità letterarie i romanzi di Italo Calvino e di Fabrizio Onofri, tra i quali la giuria ha deliberato di dividere ex-aequo il premio.» (Archivio della Fondazione Premio Riccione, Collocazione: b 2 1947, fascicolo 2, Segreteria; citato per intero in A. DINI, Calvino al Premio Riccione 1947 cit.). Curiosamente, Calvino riecheggia le parole che Sibilla Aleramo aveva scritto sul proprio diario il 15 agosto, giorno della premiazione, in merito alla qualità letteraria del Sentiero, «libro che non è neppur esso un capolavoro, ma è indubbiamente assieme a quello di Onofri quanto di meno peggio è stato mandato al concorso» (S. ALERAMO, Diario di una donna. Inediti 1946-1960, cit., p. 152).
3 A Silvio Micheli, 20 giugno 1947, p. 194. D’altro canto, il romanzo era stato apposta concepito come «un boccone un po’ amaro da ingoiare per palati conservatori e benpensanti» e non certo come cosa da «passare sotto silenzio» (A Marcello Venturi, 19 gennaio 1947, p. 177). Le reazioni discordanti finita la lettura era quasi date per scontato, per questo testo «molto scabroso e difficile» (A Marcello Venturi, 5 gennaio 1947).
4 «[…] Pavese lo incoraggia a scrivere un romanzo; lo stesso consiglio egli riceve a Milano da Giansiro Ferrata che è nella giuria d’un concorso per un romanzo inedito, indetto dalla casa Mondadori come primo sondaggio dei nuovi scrittori del dopoguerra. Il romanzo che Calvino finisce appena in tempo per la scadenza del 31 dicembre 1946 […] non piacerà né a Ferrata né a Vittorini e non entrerà nella rosa dei vincitori (Milena Milani, Oreste Del Buono, Luigi Santucci)» (I. CALVINO, Nota introduttiva a Gli amori difficili, in Romanzi e racconti, t.2, cit., pp. 1282-1299. La citazione è a p. 1283). Un breve profilo della cronistoria del romanzo in merito alla genesi si trova in B. FALCETTO, «Il sentiero dei nidi di ragno», in I. CALVINO, Romanzi e racconti, t.1, cit., p. 1243-1250 e in F. SERRA, «Gli esordi difficili» cit. (in particolare le pp. 44-48: Serra fa meritoriamente ampio uso dell’epistolario calviniano, generoso di scambi sui mesi successivi la scrittura, per cui si rimanda anche a I. CALVINO, Lettere 1940-1985, cit., pp. 162-214 passim).
5 A Marcello Venturi, 23 aprile 1947, p. 188: «Ferrata me l’ha stroncato per M[ondadori]; mi ha scritto una lettera con una completa stroncatura del lavoro, definendolo mancante d’invenzione, troppo «tranche de vie», scritto in gergo. Tutte ragioni che non mi convincono affatto: posso benissimo capire che il mio romanzo sia da stroncare, ma le ragioni addotte da F[errata] mi sembrano quanto mai peregrine». A pubblicazione ottenuta, Calvino riannoderà il dialogo con una lettera del 6 dicembre: «Caro Giansiro, tanto che non ci scriviamo. […] Il sentiero si vende, c’è chi ne dice bene, chi così così, e chi lo stronca. Nessuno mi convince del tutto. La più fiera stroncatura rimane la tua, e non nego che tu possa aver ragione. Ma so anche che non c’intenderemmo mai in un romanzo e che per ora certo non riuscirò a scrivere meglio» (p. 207). Si cfr. anche la lettera a Elsa Morante del 3 settembre 1948, p. 230: «[Ferrata] incoraggiò e lodò i primi racconti, poi stroncò il romanzo con ragioni che non m’hanno mai persuaso».
6 «È senz’altro da stampare nei N. C.» (C. PAVESE, in B. FALCETTO, «Il sentiero dei nidi di ragno», cit., p. 1244). Su questa collana, ecco quanto indica l’editore stesso: «Realizzata nel 1941 e confluita nel 1947 nei “Coralli’, questa
iniziativa si proponeva di “raccogliere senza alcun pregiudizio di scuola, narrazioni autentiche e impegnative’ » (Cinquant’anni di un editore. Le edizioni Einaudi degli anni 1933-1983, Torino, Einaudi, 1983, p. 567). Il romanzo non si sottrae comunque alle attente cure dello scrittore piemontese: lo spazio dei «Coralli», che lo accoglie, sarà altrettanto «fortemente segnato»dal suo impegno (Ibidem., p. 579).
7 «Caro Calvino, ho dato a Einaudi parere favorevole per il tuo libro. Però non sono del tutto d’accordo, tu sai già come e perché, ormai ci conosciamo […]» (E. VITTORINI, Gli anni del «Politecnico». Lettere 1945-1951, cit., p. 121.) Scelto anche come giudice per il concorso riccionese, Vittorini non partecipa ai lavori, anche se invia da Sarzana, il 16 agosto, un telegramma per la giuria in soccorso a Calvino («Voto pro Italo/ Calvino Saluti/Vittorini») che non viene però menzionato dall’Aleramo o in altri documenti a Riccione come decisivo per l’exaequo. La riproduzione fotografica del telegramma appare nell’articolo di Pier Vittorio Tondelli, Cabine! Cabine! Immagini letterarie di Riccione e della riviera adriatica, in AA.VV. Ricordando fascinosa Riccione. Personaggi, spettacolo, mode e cultura di una capitale balneare, a c. di G. Capitta e R. Duiz, Bologna, Grafis Edizioni, 1990, p. 139, riprodotto ora in AA.VV., Pier Vittorio Tondelli. Riccione e la Riviera vent’anni dopo, a c. di Fulvio Panzeri, Guaraldi, Rimini, 2005, p. 122. Brevi notizie sulla cronaca del Premio si trovano anche in S. PIVATO, Provincia e non provincia. Le origini del Premio Riccione e la cultura in Romagna nel secondo dopoguerra, cit., pp. 9-21 (cfr. in particolare pp. 15-17).
8 Oltre al giudizio dell’Aleramo, riportato sul diario edito nel 1978 (cfr. qui n.2), l’unico altro parere scritto del Premio Riccione 1947 è un telegrafico appunto di Mario Luzi: «Italo Calvino / Il sentiero dei ragni [sic] /
Segn[alato] da Aleramo. Abbastanza abil[mente] approfitta della tecnica oggi diffusa da Vitt[orini] a Pratolini. Non manca qualcosa di buono, di vivace. Ma il racconto risulta un po’ immobile» (in A. DINI, Calvino al Premio Riccione 1947 cit., p. 47)
A Marcello Venturi, 26 settembre 1947, p. 203. L’antipatia per la collana era già stata ribadita nella lettera a Micheli del 27 luglio (p. 197): «Siamo tutti bravi, noi “coralli’. Però più me lo ripeto questo nome, meno mi va giù. Io non riesco a sentirmi “corallo’». Le 105 carte del dattiloscritto riccionese si convertono in 209 pagine di cm. 13×19.5, rilegate con una copertina rigida cartonata, senza corredi paratestuali. Da un riquadro della copertina spicca il temuto disegno a colori di Ennio Morlotti, pensato sulla falsariga di un dipinto infantile: in primo piano, due volti appena abbozzati, e case alte e strette sullo sfondo, separate da una ripida strada a gradini. Si anticipa l’ambientazione del romanzo nei carrugi liguri, e fors’anche il tema dell’infanzia, convogliatovi obliquamente tramite lo stile raffigurativo.
10 A La disfatta Calvino dedicherà un’importante recensione su «L’Unità» del 2 novembre 1947 (opportunamente intitolata L’Uomo Nuovo nel romanzo sovietico, ora in I. CALVINO, Saggi 1945-1985, t. 1, cit., pp. 1309-1311), in cui sembra quasi riflettere sul suo stesso romanzo, in cui «lungi dall’esser rappresentati come modelli di disciplina e di virtù, i partigiani sono studiati nella loro colorata vivezza, nei loro risentimenti ancora sordi e informi» (p. 1310). Torneremo in seguito su quest’interpretazione, specialmente per il linguaggio usato nella recensione, che riecheggia lettere, articoli e persino il Sentiero (col capitolo IX, cuore ideologico del testo) nella sua valutazione dei compiti dello scrittore alla prese col romanzo dell’“uomo nuovo’.
11 Con Pane duro (Torino, Einaudi, 1946) al quale Calvino aveva dedicato una entusiasta recensione su «L’Unità» il 12 maggio, prima dell’assegnazione del Premio (Adesso viene Micheli, l’uomo di massa –ora in I. CALVINO, Saggi 1945-1985, t.1, cit., p. 1170-1175). da cui aveva poi preso avvio il rapporto epistolare (al 22 maggio, si cfr. I. CALVINO, Lettere 1940-1985, cit., p. 158-159) e di collaborazione alla rivista viareggina di Micheli, «Darsena Nuova».
12 «[…] questo è proprio un caso che Einaudi “s’impegnò” con un lancio pubblicitario-per il Sentiero- forse addirittura esagerato» (lettera a Geno Pampaloni, 2 novembre 1949, p. 257): Calvino smentisce qui le interferenze dell’editore sui premi letterari («noi non abbiamo mai avuto bisogno di dar spinte “prima”: ci siamo sempre limitati, come è usanza, a “sfruttare” pubblicitariamente i premi “dopo”» ivi, p. 256). Il diretto coinvolgimento di Vittorini nel Premio Riccione (colla raccomandazione a votare per Calvino) potrebbe, però, dar la corda a certe insinuazioni di Pampaloni.
Andrea Dini, Per una cronistoria del “Sentiero dei nidi di ragno”. I dattiloscritti del “Premio Nazionale Riccione” 1947, Academia.edu [Andrea Dini è autore di Il Premio Nazionale Riccione 1947 e Italo Calvino, Il Ponte Vecchio, 2007]

Riccione «Non è un capolavoro, ma è quanto di meno peggio è stato mandato al concorso». Un giudizio severo, quello di Sibilla Aleramo, che sponsorizza l’esordiente Italo Calvino pur non folgorata dal romanzo. E infatti Il sentiero dei nidi di ragno vince il Premio Riccione, ma ex aequo con Morte in piazza di Fabrizio Onofri, un nome destinato a rimanere in ombra, almeno nel campo della narrativa. Autori però definiti entrambi «comunisti», sulla cui vittoria cala il sospetto della scelta di parte, favorita da una giuria letteraria con dichiarate appartenenze al Pci. «Colpa del presidente la commissione, qualcuno dirà certamente, la scrittrice e comunista Sibilla Aleramo», mette le mani avanti Giorgio Fanti sulle colonne del Progresso d’Italia. Con lei in giuria siedono Elio Vittorini, Cesare Zavattini, Guido Piovene, Mario Luzi, Corrado Alvaro, Romano Bilenchi. «Saremo quattro comunisti (Vittorini, Bilenchi, Luzi, oltre a me) – si preoccupa la stessa Aleramo – e due soli indipendenti (Zavattini e Piovene): spero che non si abbia a pensare che il mio giudizio sia inquinato da spirito di parte». Nonostante i giurati amici, quello di Italo Calvino non è un esordio trionfale. Lo testimoniano i documenti conservati presso l’ Archivio del Premio Riccione, in gran parte inediti, resi pubblici in occasione del sessantesimo anniversario. è l’ agosto del 1947, l’ estate della non ancora compiuta ricostruzione. Riccione vuole lanciare la sfida alla Versilia, promuovendo il Premio Nazionale Riccione in concorrenza con il già affermato Premio Viareggio, che proprio nello stesso anno fa vincere il postumo Lettere dal carcere di Gramsci. Una sezione dedicata ai romanzi d’ esordio, un’ altra ai copioni teatrali. In piena filosofia neorealista, nel bando viene esplicitato che il concorso è riservato a «un’ opera letteraria narrativa di contenuto sociale». Dopo essersi informato sui componenti della giuria, come attesta una sua cartolina autografa, Calvino decide di partecipare con Il sentiero dei nidi di ragno, un romanzo resistenziale con protagonista un ragazzino che ruba la pistola a un tedesco trovando come nascondiglio un viottolo utilizzato dai ragni per fare il nido. A Riccione Calvino, giovane cronista de l’Unità, cerca la rivincita, provando per la prima volta la strada del romanzo. Solo pochi mesi prima lo stesso dattiloscritto che invia a Riccione viene bocciato al Premio Mondadori, con una pesante stroncatura di Giansiro Ferrata che lo definisce «mancante d’invenzione, troppo tranche de vie, scritto in gergo». Pur avendo la promessa di pubblicazione da parte di Einaudi in tasca, l’ aspirante scrittore ritiene che la passerella di un premio letterario nazionale possa essere utile per farsi conoscere dal mondo editoriale, magari attraverso il parere favorevole di scrittori prestigiosi. Ma i plausi arrivano solo in parte. Anche se Calvino sarà designato vincitore insieme a Onofri, il romanzo non convince a fondo tutti i giudici letterari. «Non manca qualcosa di buono, di vivace, ma il racconto risulta un po’ immobile», scrive Luzi. Zavattini lo vota perché di fatto viene «raccomandato» da Sibilla Aleramo che peraltro sembra preferire l’ altro romanzo vincitore «scritto da un giovane del mio partito, ora capo dell’ Agit-Prop». Piovene approva l’ indicazione per mancanza di concorrenti. Laconico il verdetto finale della giuria: «Esaminati i ventotto manoscritti concorrenti, la giuria non ha potuto riscontrare in nessuno di essi qualità artistiche tali da suscitare il suo deciso consenso». Di qui la segnalazione di dieci opere per «la commossa partecipazione dimostrata dai concorrenti alle recenti vicende della nostra vita nazionale», con l’attribuzione del premio (duecentomila lire) ex aequo a Calvino e a Onofri. Una vittoria dimezzata che scontenta lo stesso Calvino. Convinto di aver scritto un romanzo «scabroso e difficile», confida all’amico Eugenio Scalfari di aver raccontato «un’esperienza di malvagità e schifo umani, ma con una speranza di redenzione quasi cristiana (terrena però), più dichiarata che raggiunta». L’ autore del Sentiero sapeva di poter scontentare «palati conservatori e benpensanti», ma non si aspetta giudizi così poco lusinghieri. A Silvio Micheli scrive in una lettera: «Secondo Pavese è bellissimo, secondo Natalia anche, secondo Ferrata è sbagliato, senza fantasia, scritto in gergo, pieno di convenzioni e non so cosa altro, secondo Vittorini così così, secondo Balbo il primo romanzo marxista, secondo i miei genitori un insieme di sconcezze che non capiscono come il loro figlio abbia potuto scrivere». Con la giustificazione di essere inviato a Praga per l’Unità, Calvino diserta la cerimonia di premiazione al dancing Savioli, la notte di Ferragosto, presieduta da Umberto Terracini, allora presidente dell’Assemblea Costituente. «Il Sentiero continuerà a bruciare a Calvino – spiega Andrea Dini, docente di lingua e letteratura italiana alla Montclair State University, studioso delle carte del Premio Riccione -. Al giudizio negativo dei giudici Mondadori faceva ruota quello non esattamente lusinghiero dei riccionesi che donava a Calvino un successo di stima, solo un segnale di incoraggiamento». Il sentiero dei nidi di ragno viene pubblicato da Einaudi alcuni mesi dopo: romanzo numero undici della serie “I coralli”, dopo Il compagno di Pavese e è stato così di Natalia Ginzburg. Questa volta gli elogi sono più delle critiche. «Il più bel racconto sull’esperienza partigiana», lo loda Pavese. Il riscatto di chi considera «la Resistenza una storia per pochi», commenta Caprara su Rinascita, facendo del Sentiero un cult resistenziale.
Anna Tonelli, Calvino il ‘comunista’. Il giallo della vittoria dimezzata, la Repubblica, 12 agosto 2007

Nel romanzo d’esordio di Calvino, il vero comandante Ferriera, presentato come l’unico a comprendere la guerra partigiana come una «cosa esatta, perfetta per lui come una macchina» (SNR 98), non a caso, fa la sua unica apparizione nel romanzo nel IX capitolo, durante la notte in cui viene annunciato l’arrivo della colonna tedesca nella vallata e quando la situazione bellica è portata al suo culmine. Nell’organizzazione dei particolari dell’azione, la sua attenzione viene incentrata sulla delineazione del tragitto che i partigiani devono intraprendere: «come si schiererà la brigata, come s’han da disporre le pesanti, quando dovranno entrare in azione i mortai» (SNR 98), in base a cui nel capitolo successivo l’accampamento viene sostituito dal lungo itinerario dell’intera brigata che si indirizza verso l’impresa clandestina. Più avanti, nella conversazione con il Dritto, le direzioni dello spostamento vengono riportate ancora più precisamente: “Allora, – fa Ferriera, – domani voi dovete tenere la cresta del Pellegrino dal pilone fino alla seconda gola, m’intendi? Poi ci sarà da spostarsi, verranno ordini”. (…) Il Dritto ha seguito la spiegazione con piccoli cenni d’assenso, inframmezzati da scosse del capo. – Nessuno escluso, ripete, – nemmeno il cuoco? – e si fa attento. – “Tutti per l’alba sulla cresta, hai capito?” (SNR 102)
Analogamente, sono i comandanti lungo la marcia che porta al passo della Mezzaluna a dare indicazioni ulteriori su come sfruttare al meglio le «costruzioni lunghe e basse d’accantonamenti militari» (SNR 131) perché il loro cammino possa procedere di nascosto dal nemico e, perfino, il Dritto nonostante il rapporto ambiguo con la brigata, di fronte all’incendio nel VII capitolo, riesce a recuperare «il polso del comandante» (SNR 85) e ad assumere il ruolo di vera e propria guida. Si tratta dell’unico episodio del romanzo in cui egli detta degli ordini precisi, tra cui la decisione più importante che gli spetta prendere è la direzione in cui muoversi: – Dove andiamo? – Ve lo dirò poi. Fuori dal bosco. Avanti. – Il distaccamento, armi e bagagli, si dirige in fila indiana per i prati. (…) Il Dritto si volta con la sua faccia gialla impassibile: – Silenzio. Nessuno dica una parola. Camminate. – (SNR 86)
Ana Stefanovska, Lo spazio narrativo del neorealismo italiano, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Padova, 2019

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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