Una grande curiosità per il corpo della parola

Jolanda Insana. Foto di ©Dino Ignani http://www.dinoignani.net/

Il problema del male è centrale nei versi di Amelia Rosselli e di Alda Merini. La violenza della guerra e quella, non meno tremenda, dell’istituzione psichiatrica trovano una dolorosa rappresentazione nelle loro opere. Malgrado le significative differenze in materia di scelte linguistiche e stilistiche, per entrambe, la parola poetica costituisce la lucida e impietosa denuncia della morte che abita la realtà, ma è anche, nonostante tutto, uno slancio vitale, fiducioso e salvifico. Il vivo legame che intercorre tra la ricerca poetica e l’esperienza biografica fonda, inoltre, la tensione altamente esistenziale e comunicativa della loro scrittura.
Da un nucleo biografico e tematico simile prende avvio anche il percorso poetico della siciliana Jolanda Insana. <1 Di qualche anno più giovane, la poetessa è nata a Messina nel 1937. È ancora una bambina quando, durante la seconda guerra mondiale, la sua città è duramente colpita dai bombardamenti delle forze alleate. <2 L’esperienza della guerra si accompagna ad un’altra dura prova, quella della miseria. Sfollata nel paese della madre, Monforte San Giorgio, Jolanda Insana scopre la povertà e la necessità della lotta per la sopravvivenza. In diverse occasioni la poetessa ha ribadito come la sua infanzia sia stata fortemente segnata dalle devastazioni belliche: “E ricordo il pane bianco americano campeggiare su sfondo azzurro nei manifesti elettorali del ’48 (avevo quasi undici anni e avevo conosciuto la fame, raccolto schegge di bombe, ascoltato parlate gutturali e gallinacee, visto dilaniati, morti e ammazzati, e intorno case sventrate. Sfollata e senza scarpe, a quattro anni giocavo raccogliendo fichi, amare erbe selvagge, ciliegie quando l’incursione era fortunata, l’uva non la rubavo acerba …).” <3
Lo sfacelo e le privazioni sono descritti nella loro dura concretezza. Il paesaggio è costituito da un cumulo di macerie e resti di congegni bellici, anche le voci non sembrano più umane e hanno una spaventosa connotazione animalesca. Alla distruzione che stravolge la realtà quotidiana Jolanda Insana contrappone il proprio energico attaccamento alla vita: il ricordo del pane che spicca sul manifesto elettorale, <4 la memoria del frequente vagabondare alla ricerca di erbe commestibili, l’allusione ai piccoli furti di frutta e ai compiaciuti lampi di furbizia che li accompagnavano. <5
In una testimonianza contenuta nell’”Autodizionario degli scrittori” di Felice Piemontese, la poetessa si presenta usando la terza persona singolare e mette esplicitamente in relazione il tema della guerra con la propria ricerca poetica: “Conobbe la guerra e i fichi secchi, e dunque predilige parole di necessaria sostanza contro il gelo e i geloni (Ipponatte docet) dell’inverno freddissimo del ’44 e contro i bombardamenti a tappeto su Messina e i boati di terremoto.” <6
Come ha suggerito Marilena Renda, <7 è rilevante notare come, nella citazione riportata, i bombardamenti del 1943 siano accostati agli spaventosi boati del terremoto che colpì Messina nel dicembre 1908. <8 L’improvviso slittamento da un evento vissuto in prima persona dall’autrice ad un altro appartenente alla memoria della propria terra natale indica come la storia delle miserie umane affondi le proprie radici in una dimensione ancestrale. Messina diventa scenario e metafora di una distruzione non solo storica, ma anche, lucrezianamente, fisica e naturale. <9 Alla fame, al freddo, alla guerra e alla morte, che assediano costantemente la vita, Jolanda Insana oppone la propria parola poetica, una parola che si fa carico di “necessaria sostanza” diventando insostituibile nutrimento e medicina.
Altrettanto significativo è il fatto che il riferimento ai “bombardamenti” e ai “boati” del terremoto ponga l’accento sulla percezione uditiva delle catastrofi, evidenziata dall’allitterazione della consonante occlusiva che apre i due sostantivi. <10 I versi della poetessa non offrono cadenze armoniose e ritmi rassicuranti perché non possono dimenticare il rumore assordante delle offensive aeree, <11 né quello delle scosse sismiche che tanto hanno influenzato l’immaginario messinese. <12 Il tema della guerra e quello della distruzione si trasferiscono all’interno della stessa materia linguistica manifestandosi non solo a livello semantico, ma anche fonetico. La poesia di Jolanda Insana intende infatti scuotere l’orecchio del lettore, mettere in allerta il destinatario incitandolo alla vita e alla resistenza. In un componimento pubblicato negli anni ottanta la poetessa si abbandona ad una compiaciuta provocazione: “E se le parole fossero schioppettate?” (FF, p. 130). Se il male e la morte sono dovunque, “fuori di noi, ma anche dentro di noi”, <13 non resta che opporvi la carica irruente e demistificante della parola poetica nella convinzione che l’unico modo di proteggere la vita sia quello di enumerare con forza tutte le sue ingiustizie e in tal modo contrastarle.
La ricerca di una lingua poetica capace di parlare della realtà rivelandone le dure impurità è stata condotta da Jolanda Insana attraverso un percorso di attente letture <14 e un’instancabile officina scrittoria nella quale lo studio dei classici latini e greci ha svolto un ruolo di primaria importanza. Al 1960 risale la laurea in Filologia classica, ottenuta con una tesi sui frammenti della “Conocchia” di Erinna, misteriosa poetessa greca vissuta tra il V e il IV secolo a. C. <15 In seguito, accanto al lavoro di insegnamento nella scuola secondaria, Jolanda Insana continua a coltivare la propria passione per le lettere classiche tramite una regolare attività di traduzione dal greco e soprattutto dal latino. Acuta traduttrice di alcuni tra i massimi poeti dell’antichità, la poetessa ne accoglie i preziosi insegnamenti nei suoi versi. La perizia stilistica di Saffo, la creatività verbale e fonetica di Plauto, i giochi linguistici osceni degli anonimi “Carmina Priapea”, il dettato persuasivo ed allitterante di Lucrezio, i toni sferzanti degli epigrammi di Marziale formano la costellazione degli esempi poetici che hanno nutrito la sua scrittura. <16
Durante la giovinezza, la pratica della traduzione si configura come insostituibile esperienza di apprendistato letterario, tanto che la stessa Jolanda Insana consiglia quest’esercizio a tutti i giovani aspiranti poeti, al fine di acquisire gli strumenti del mestiere. <17 Nel periodo della maturità, l’attività di traduzione continua a scorrere accanto alla scrittura poetica in proprio: rappresenta un’occasione di intimo dialogo con gli autori cari, ma soprattutto continua a costituire un’importante opportunità di riflessione sulla lingua e sulle sue possibilità espressive. Il legame che unisce l’esperienza poetica a quella traduttiva supera quindi i debiti stilistici o tematici contratti con i singoli autori. Traduzione e poesia impongono infatti un lungo ed intenso lavoro sulla lingua italiana per forzarla ad accogliere un mondo originariamente altro, per portare il linguaggio verso nuovi significati. Sui punti di contatto tra queste due attività di scrittura si è espressa la stessa Jolanda Insana durante un recente convegno. Riferendosi alle proprie traduzioni delle poesie di Saffo ha precisato: “queste traduzioni, come le altre che ho fatto e vado facendo, sono in stretto rapporto con il mio impegno di scrittura e con quell’esigenza che io sento fortissima di comunicazione e rigore espressivo.” <18 Nel 1985, in una nota al volume “Poesie” di Saffo, aveva peraltro già affermato la convinzione che poesia e traduzione non potessero nascere fuori da un instancabile lavoro di scalpello e di lima, di scrittura e riscrittura: “Ho conservato i miei appunti di lavoro, essi dimostrano quanto ho lavorato correggendo, tornando sul già fatto. Sono foglietti simili ai foglietti sui quali scrivo le mie poesie fra altrettante correzioni e varianti”. <19 […]
[NOTE]
1 Le opere della poetessa sono state recentemente raccolte in un unico volume: Jolanda Insana, Tutte le poesie (Garzanti, Milano 2007). Le citazioni faranno riferimento a questa pubblicazione e le singole raccolte verranno indicate con le seguenti sigle: SA per Sciarra amara (1977), FF per Fendenti fonici (1982), IC per Il collettame (1985), LC per La clausura (1987), MC per Medicina carnale (1994), LOD per L’occhio dormiente (1997) , LS per La stortura (2002) e LTD per La tagliola del disamore (2005).
2 I primi bombardamenti sulla città di Messina si verificarono nel 1941, gli attacchi aerei delle forze anglo-americane si intensificarono nel 1943 nel periodo precedente allo sbarco delle forze alleate in Sicilia. La città ne uscì devastata, in particolare nella zona portuale, considerata posizione strategica. Sui bombardamenti aerei in Sicilia si vedano gli scritti di Sandro Attanasio, Sicilia senza Italia, Mursia, Milano 1976, pp. 19-30 e di Enzo Verzera, Messina 1943, [1976], GBM, Messina 2000.
3 Lezione di poesia da Jolanda Insana, “Poesia”, 1988, n. 9, p. 20.
4 La campagna elettorale del 1948 fu una delle più animate della storia della Repubblica Italiana e i manifesti politici svolsero un ruolo fondamentale nella propaganda. L’affisso murale cui fa riferimento la poetessa potrebbe essere identificato con quello della Democrazia Cristiana intitolato “Il pane che noi mangiamo”. In contrapposizione al Fronte Popolare, il partito cattolico dichiarava l’importanza degli aiuti americani per provvedere ai bisogni del paese. Sull’argomento si veda il volume intitolato I manifesti politici dell’Italia Repubblicana: 1946-1953, introduzione di Sandro Fontana, testo di Linda Barlassina, Provincia di Milano, Milano 2001.
5 Si tratta di ricordi che riaffiorano anche in alcuni versi dell’ultima raccolta “La tagliola del disamore” dove Jolanda Insana ritorna ai difficili anni della propria infanzia, quelli di un paese devastato dalla guerra: “e ho paura / perché conosco i martoriati dei bombardamenti / intrappolati sotto le macerie urlanti // come fare finta di non ricordare lo sfracello / dando l’acqua ai fiori? / come non delirare all’urlo dell’allarme antiaereo?” (LTD, p. 444), oppure: “io costruivo castelli e balconi / con schegge di bombe e fil di ferro / legnetti bruciati e terriccio di riporto” (LTD, p. 445).
6 Jolanda Insana, in Felice Piemontese (a cura di), Autodizionario degli scrittori, Leonardo, Milano 1990, p. 178. Il riferimento all’inverno rigido viene ripreso direttamente in poesia: “è freddissimo l’inverno del ’44 e a Monforte nevica / e non abbiamo scarpe / e lei ci tiene al riparo nella sua casa di ragazza / attorno al braciere acceso / i piedi infilati nei calzerotti pelosi / che sferruzza con la lana cardata dei materassi // con i geloni alle dita delle mani/ ci fa giocare a fare il pane e la baludda […]” (LTD, p. 454).
7 Marilena Renda, Il sommovimento, “Il verri”, febbraio 2008, pp. 113-122.
8 Il 28 dicembre 1908 intorno alle 5h30 di mattina una scossa sismica distrusse gran parte della città e diversi incendi divamparono tra le rovine. Al terremoto seguì un violento maremoto. Anche se non esistono dati certi sul numero delle vittime, gli studiosi concordano nell’indicare intorno a 60.000 i morti. Gli effetti disastrosi sono ricollegabili al fatto che il sisma colpì durante il sonno una zona densamente popolata dove le costruzioni non avevano basi solide. Informazioni più precise sui danni all’impianto urbanistico sono contenuti in Amelia Soli Gigante, Messina, Laterza, Roma-Bari 1986, in particolare nel capitolo Dal terremoto del 1908 agli anni Cinquanta, pp. 135-170. La catastrofe impressionò molto l’opinione pubblica: il libro Il terremoto di Messina a cura di Francesco Mercadante (Edizioni Dell’Ateneo, Roma 1962, ristampa anastatica del 2003) raccoglie le testimonianze e gli articoli che importanti intellettuali del tempo (Serao, Verga, Pirandello, Pascoli, Bellonci per citarne solo alcuni) dedicarono al tragico evento (Si veda in proposito anche il saggio di Giovanni Da Pozzo, Testimonianze letterarie e musicali per il terremoto di Messina (1908), “La rassegna della letteratura italiana”, n. 1 gennaio giugno 2005, pp. 112-121). Con l’avvicinarsi del centenario del terremoto, sono stati pubblicati diversi studi sull’argomento: Giorgio Boatti, La terra trema, Mondadori, Milano 2004; Eleonora Iannelli, Messina accadde cento anni fa. Dalle macerie del terremoto del 1908 le voci dei sopravvissuti, ed. Kalos, Messina 2007; Franz Riccobono, Il terremoto dei terremoti: Messina 1908, ed. Edas, Messina 2007. In ricordo di questo tragico avvenimento la poetessa ha pubblicato una corona di poesie sul supplemento di un quotidiano: Jolanda Insana, Per il centenario del terremoto di Messina, “Alias-Il Manifesto”, 20 dicembre 2008, ora in Jolanda Insana, Sature di cartuscelle, Giulio Perrone editore, Roma 2009, pp. 135-139.
9 Jolanda Insana ha tradotto diversi passi del De rerum natura di Lucrezio, tra di essi si ricordano in particolare: Libro I (v.1-39), Libro IV (v.1155-1191), Libro V (v.783-825), “Il verri”, n. 36 febbraio 2008, pp. 85-88. È significativo che la poetessa abbia tradotto anche una parte del libro VI (v.1138-1286) che presenta una drammatica descrizione della peste di Atene del 430 a. C. (Lucrezio di Jolanda Insana, “Poesia”, n. 3, marzo 1988, pp. 49-51). La corporalità dell’immaginario e la concretezza della lingua di Lucrezio risultano perfettamente affini allo stile realistico della poetessa. Nel corso di un’intervista del 2003 la poetessa ha affermato: “Lucrezio dà il senso della tragedia dell’uomo, del suo destino, della sua sofferenza. E se la sofferenza non gli viene dagli uomini o dalla sua mente malata, gli viene dalla natura. I terremoti. La peste. Vengo da una città di maremoti e terremoti e ho un’infanzia terremotata. Ho conosciuto il male della terra, ma la terra non ha coscienza di farti del male, si assesta e aggiusta, riequilibra i vuoti e i pieni, e si sposta e cozza. La stessa cosa fa l’uomo, l’uomo però ha coscienza di farti il male e… dunque gli aerei americani e inglesi, Messina è stata bombardata a tappeto e io avevo tre anni, eventi così ti segnano per tutta la vita […].” ( Antonella Doria, Passaggi attraverso stretti, Intervista a Jolanda Insana, “Il Segnale”, n. 65, giugno 2003, pp. 5-11). Si noti come nelle interviste ricorra a degli espedienti di ripetizione fonica tipici dei suoi versi: nel giro di una sola frase impiega termini come “maremoti”, “terremoti” e “terremotata”.
10 Da rilevare, nelle due citazioni, la presenza di coppie come “gelo e geloni” e “parlate gallinacee e gutturali” costituite su un analogo principio di rimandi fonici. Si tratta di un procedimento molto usato dalla poetessa nei suoi versi. Analizzando la “pulsione compositiva e sintattica” della poesia di Jolanda Insana, Rodolfo Zucco ha rilevato infatti la frequenza di dittologie fondate su allitterazioni, rime o paronomasie: Rodolfo Zucco, Aspetti della lingua poetica di Jolanda Insana, “Istmi”, 2007, pp. 201-218.
11 La stessa autrice lo evidenzia nel componimento Il bombardamento “non c’è cautela che basti contro la paura / a tre anni quando si apre la prima voragine / e sotto i bombardamenti si perde terra e acqua / temo però che quello non fu l’ultimo avviso / mandato dal padrone // nessuno conoscerà che male fu / avere offeso l’udito // […]” (LOD, p. 274).
12 “I messinesi, soprannominati “Buddaci” come il pesce dello stretto che sta con la bocca aperta, cominciano un discorso e lo girano in lungo e in largo, come per inconcludenza, ma il fatto è che temono di essere zittiti dai boati e dagli scoppi della terra, quando la voce si strozza in gola e nessuno fiata […].” (Jolanda Insana, Messina, “Poesia”, 1993, n. 62, p. 42).
13 Jolanda Insana, Programma radiofonico “Damasco”, Radio Rai 3, puntata del 5 gennaio 2006: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/damasco/
14 Nel corso degli anni settanta la poetessa ha curato diverse interviste, articoli e commenti critici dedicati a importanti autori del Novecento come Margherita Guidacci, Giorgio Caproni e Maria Luisa Spaziani: L’occhio del ciclone, “La Gazzetta del Sud”, 14 luglio 1970; Verifica esistenziale con “Neurosuite” , “La Gazzetta del sud”, 10 agosto 1971; Il fervore religioso della Guidacci poetessa, “La Gazzetta di Parma”, 2 febbraio 1972, Di fronte alla realtà, “La Fiera Letteraria”, n. 41, 1974; Viaggi poetici, “La Fiera Letteraria”, 30 giugno 1974; Molti dottori, nessun poeta nuovo. A colloquio con Giorgio Caproni, “La Fiera Letteraria”, 19 gennaio 1975; Tutto è paradosso. Intervista a Maria Luisa Spaziani, “La Fiera Letteraria”, 4 gennaio 1976; Maria Luisa Spaziani: Transito con catene, “Forum Italicum”, vol. 11 n. 4, 1977; “Maria Luisa Spaziani” in Novecento, I contemporanei, Marzorati, Milano 1979, p. 9122. Nel 1972 Jolanda Insana ha curato inoltre una rassegna di poesia di giovani poeti ed autori su “La Fiera Letteraria”. L’indagine, era divisa in sei parti: I. 14 maggio 1972; II. 28 maggio 1972; III. 25 giugno 1972; IV. 23 luglio 1972; V. 24 settembre 1972, VI. 31 dicembre 1972.
15 “Erinna (Telo, isola di Rodi, sec. IV a. C.) poetessa greca. Morì a soli diciannove anni. Scrisse nel dialetto dorico della sua terra un poemetto intitolato La conocchia, di cui restano frammenti: è un canto di dolore per l’amica Baucide, morta poco dopo le nozze. Di lei restano anche tre epigrammi nell’Antologia palatina. Voce pura e delicata di poetessa, Erinna fu molto celebrata in epoca alessandrina.” (Enciclopedia della letteratura, Garzanti, Milano 1997, pp. 327-328).
16 Sue traduzioni di Alceo, Anacreonte, Ipponatte, Callimaco, Marziale e Lucrezio sono apparse in riviste ed antologie. Tra gli anni ottanta e novanta Jolanda Insana ha inoltre pubblicato le seguenti traduzioni: Saffo, Poesie (Estro, Firenze 1985); Carmina Priapea (ES, Milano 1991). Per il teatro ha tradotto la Casina di Plauto e La Fenice di Euripide. Oltre alla letteratura classica, Jolanda Insana si è interessata anche alla cultura e letteratura medievale latina. Sua è una bella traduzione di un importante trattato medievale, il De Amore di Andrea Cappellano (ES, Milano 1992).
17 Jolanda Insana, Programma radiofonico “Damasco”, Radio Rai 3, puntata del 2 gennaio 2006: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/damasco/
18 Jolanda Insana, L’incontro, gli incontri, in Pietro Frassica (a cura di), Salvatore Quasimodo nel vento del mediterraneo, Atti del convegno internazionale (Princeton 6-7 aprile 2001), Interlinea, Novara 2002, p. 115.
19 Elio Pecora, Jolanda Insana e Saffo, “Reporter”, 26 novembre 1985. Un esempio di tale accanito lavoro sulla lingua è stato fornito dalla stessa poetessa in relazione alle sue traduzioni dei Carmina Priapea. Durante un convegno ha infatti presentato alcuni suoi appunti di lavoro spiegando come, attraverso una lunga serie di rifacimenti e correzioni, sia giunta alla versione finale pubblicata: Jolanda Insana, Poesia latina in italiano moderno: a partire dai “Carmina Priapea”, in Tradurre in versi, Giornata internazionale di studi, 29 aprile 2005, a cura di Maria Antonietta Grignani, Pacini Editore, Pisa 2006, pp. 13-19. La testimonianza della poetessa può essere integralmente ascoltata nel CD allegato al volume.
Ambra Zorat, La poesia femminile italiana dagli anni Settanta ad oggi. Percorsi di analisi testuale, Tesi di dottorato in cotutela, Université Paris IV Sorbonne – Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2007-2008

Messina e Monforte San Giorgio furono per Insana due luoghi fondamentali, che la plasmarono interiormente e linguisticamente e costituirono un immaginario che influenzò la sua poesia per tutta l’esistenza, nonostante fosse ormai lontana da quei luoghi. Della città, in cui nacque nel 1937, l’immagine dello Stretto ricorre spesso nei suoi componimenti, luogo in cui «si sposano i due mari, Tirrenio e Jonio, e si azzuffano e schiumano per diversità di sale e di calore, creando vortici e correnti, bastardelli e reme morte, nella marea che monta e scende mutando direzione ogni sei ore» ma anche dove «stavano le creature mostruose Scilla e Cariddi a insidiare il paesaggio, a scoraggiare l’avventura e l’esplorazione, a ricordare che nessuna comunicazione mai è stata facile al mondo e il viaggio è rischio mortale» (Insana 1993 in Insana 2009, 23-24) e che influenzò altri autori tra cui D’Arrigo, Vittorini e Cattafi (ivi, 24). A causa dalla posizione strategica, Messina fu obiettivo di bombardamenti, a partire dal 1940 ma poi soprattutto nel 1943, alla vigilia dello sbarco angloamericano. Questi eventi traumatici sono ricordati in due componimenti, “Il bombardamento” (Insana 2007, 274-75) e “U bummaddamentu” (Insana 2009, 48-49). Dal primo componimento, seguono alcuni versi esemplificativi <1: “non c’è cautela che basti contro la paura / a tre anni quando si apre la prima voragine / e sotto i bombardamenti si perde terra e acqua / temo però che quello non fu l’ultimo avviso / mandato dal padrone // nessuno conoscerà che male fu / avere offeso l’udito” (OD, p. 274).
Questa è «memoria della paura […]. Ma anche paura della memoria: ostinata resistenza a trarla alla luce, quella memoria; a disseppellire resti a lungo considerati, alla lettera, inamovibili» (Cortellessa 2009 in Tomasello 2009, 18). Disseppellire questa memoria è stato per la Insana, così per molti altri autori, «mettere una censura e una cesura, per guardare avanti, per non essere risucchiati dal proprio passato», ma con coraggio anche «riattraversare le macerie, le paure, la penuria, le perdite; e siccome questa vita è nata dalle ferite (da una rottura iniziale, direi), a un certo punto i segni si ripresentano e occorre accoglierli, leggerli, per riconoscersi al mondo» (Insana 2009, 17). Le sue prime esperienze acustiche, ovvero «i bombardamenti, le mitragliate, le cannonate, i boati di terremoto» ma anche la parlata molto aspra, il ritmo percussivo, i canti dei banditori, le voci dei venditori ambulanti con il tono che sale in levata e poi scende e si rompe e si strozza. […] le nenie, le novene, le cadenze del rosario, le recitazioni dei misteri, i lamenti funebri (Doria 2003, 8-9) influenzarono le scelte ritmiche, gli accenti, le armonie e disarmonie.
Nel 1941, la famiglia abbandona la città di macerie e sirene per raggiungere Monforte San Giorgio, paese d’origine dei genitori. È così che può finalmente sperimentare quel senso di libertà che si addice ad una bambina di quattro anni, senza noia e malinconia, ma in continua scoperta di quei luoghi di campagna, dai quali nasce l’interesse per la natura e i suoi esseri viventi: «tutto era un’avventura, avventura del corpo che si muove e della mente che, seguendo il ciclo delle stagioni e aspettando i ritorni, comincia a catalogare le cose materialmente viste e toccate» (Insana 2009, 11).
Il dialetto era la sua lingua, ma frequentando la scuola, comincia a imparare l’italiano, diventando così diglottica e sperimentando un forte interesse nello «“sguarrare le parole”, come si dice di un lenzuolo ‘sguarrato’, ‘sgarrato’, strappato con fragore, per l’evidente ispanismo siciliano ‘desgarrar’» (Insana 2003 in Insana 2009, 123), a partire da una delle sue prime scoperte lessicali, grattacielo: «mi sembrò una grande parola, era una grande cosa, e me la sono spiegata traducendola in siciliano, la mia lingua, ‘si chiama così picchì ratta u celu’» (ibidem). Da qui nasce «una grande curiosità per il corpo della parola» (Doria 2003, 8), con un’assidua frequentazione dei dizionari, per scoprire nuovi termini ma anche per inventarne di nuovi: “Alla scuola media mi restituivano i temi con tante croci e punti interrogativi, segnavano parole che nessun dizionario registrava e che io mi affannavo a spiegare, ma non c’era verso e così impiegavo più tempo a cercare le parole che a concentrarmi e scrivere, e però talora avviene che se non si sa esattamente cosa cercare, ci viene incontro quello che non si cercava” (Insana 2003 in Insana 2009, 125).
Fin da ragazzina, scrive versi ma anche prosa, con il desiderio di un romanzo di formazione, e legge moltissimo, «attratta dai vari linguaggi specialistici, dalle parole utilizzate in ciascun sapere o dimensione espressiva. Un interesse, anzi una passione che era guidata dal desiderio di mescolare le parole, farle risuonare, spostarle» (Insana 2009, 7). Tuttavia, le ristrettezze economiche non le permettevano di possedere molti libri, ma, ricorda: «li prendevo in prestito in biblioteca e dattiloscrivevo sulla ormai mitica Lettera 22 (che conservo ancora) quei testi che allora in vario modo mi sollecitavano» (Insana 2001 in Frassica 2002, 105), come i versi di Quasimodo, Ungaretti, Montale e Cardarelli, creando così una personale antologia che «dice la passione, o tensione, per la poesia, per la parola, fin d’allora privilegiata nella doppia valenza fonica e semantica» (ibidem).
1 Si cita da TP (= Tutte le poesie (1977-2006), Milano, Garzanti, 2007). Le sigle abbreviate per le raccolte sono: SA (Sciarra Amara, 1977), FF (Fendenti fonici, 1982), CO (Il Colletame, 1985), CL (La Clausura, 1987), OD (L’occhio dormiente, 1997), ST (La Stortura, 2002), LTD (La tagliola del disamore, 2005).
Elisabetta Biemmi, «Corpo a corpo con le parole». La poesia di Jolanda Insana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2018-2019

[…] Ad un livello più profondo, però, Insana si rivela interprete di una cultura siciliana eterogenea che trattiene in sé la linfa dei greci, degli arabi e dei normanni. Le radici più remote del suo linguaggio vanno ricercate nella tradizione orale degli adagi, degli scherni, delle piccole rivalità paesane, «in un luogo di parole ancora refrattarie alla carta stampata, ma già memoria, oralità perpetua, bassa, ma anche sistema di immagini della cultura popolare, realismo grottesco, convivenza degli opposti» (Ioli 2009: 59). Un universo di locuzioni tipiche e costruzioni vernacolari, ormai in via d’estinzione, che la poetessa rimodula nei suoi versi dopo un lavoro di accurata deformazione per lo più in senso espressionista.
Individuare i diversi bacini cui attinge la creatività dell’autrice e le sue modalità di composizione permette di lasciar emergere anche alcuni dei nuclei tematici che muovono il suo dettato poetico – altrimenti non sempre di facile lettura – e gli autori che più hanno segnato la sua produzione. L’esegesi, così condotta, apre un varco sulle finalità dei versi di Insana e consente di tracciare la poetica sottesa alla sua produzione.
Le abilità poetiche di Insana sono spiragli verso una teatralità tutta terrena che fa i conti con le proprie origini ma si amplia in maniera significativa verso una costruzione multidimensionale della realtà che rappresenta. I suoi versi sono tesi ad una fisicità palese che si libera ad ogni sospiro di vento, di scirocco, e si imperniano in una carnalità tutta demistificatoria, che non teme di affrontare a testa alta i miti linguistici e sociali, dietro il cui disagio si cela il momento primo del suo agire.
Anche se le origini dialettali sono esplicite nel linguaggio di Insana, catalogare la sua poesia come dialettale sarebbe erroneo. La veste vernacolare non è che un espediente: è lo strumento più affine e connaturale al suo punto di osservazione della realtà, per opporsi ad un linguaggio letterario degradato al livello dell’omologazione, espressione di una classe intellettuale aspramente criticata dall’io lirico. E in quest’ottica va letto il dissidio insanabile tra il dialetto «sputafonemi» e la «lingua malata», rispettivamente il siciliano e l’italiano, contrasto letterario che struttura Lessicorìo ovvero Lessicòrio (Insana 2007: 61) <6. La contrapposizione ingaggiata sul piano poetico tra i due codici offre una delle chiavi di accesso alla corporeità della parola poetica di Insana che del siciliano sfrutta tutta la forza corrosiva della tradizione orale <7. L’italiano, infatti, definito «lingua baccalà» (Lessicorìo ovvero Lessicòrio in Insana 2007: 63), viene implicitamente connotato di tutti gli attributi tipici di questa particolare lavorazione del merluzzo: solido, compatto, il baccalà emana fetore. Figurativamente, poi, il termine, utilizzato sotto forma di ingiuria nella cultura popolare sicula, ma attestato anche a livello letterario ne “I Malavoglia”, apostrofa una persona stupida e malaccorta.
Impregnato dall’essenza dell’imprecazione oltraggiosa, il lessico della poetessa propende verso suoni duri che consentono all’io poetante di possedere un linguaggio, nella sua accezione più fisica, per rigenerarlo, depurandolo da quelle
forme inveterate da una tipologia mediocre di poeta «rubagalline che non parla assestato/ e si prepara a un’aulente squacquarata/ per bocca di poeti laureati» (ivi: 66).
Anche quando il nucleo semantico dei suoi versi vira verso tematiche liriche tanto frequentate quanto inafferrabili, come la vita e la morte, Insana è attratta dal significante più corporeo dei segni linguistici, invischiato negli aspetti delle piccole cose, delle volgari cose, che aggrediscono i topoi e gli elementi comuni delle frasi fatte di ogni piccolo uomo «minchiasecca» (Schiticchio e Schifìo in ivi: 55) che anela ad un posto nell’alveo dei poeti, ai danni di una «povera lingua sputtanata» (Lessicorìo ovvero Lessicòrio in ivi: 66).
Per rendere percepibile il processo di composizione in cui l’autrice è impegnata, i suoi versi, oltre al siciliano con tutta la ricchezza delle sue forme arcaico-citazionali, attingono anche al latino che Insana domina grazie al suo
lavoro di insegnante e traduttrice […]
[NOTE]
6 Si tratta della seconda sezione di quella che potremmo definire la “Trilogia in forma di contrasto” (Sciarra amara, Lessicorìo ovvero Lessicòrio e Fendenti fonici) che Insana concepisce tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta in forma unitaria, ma pubblica separatamente. Anche se alcune parti di Lessicorìo ovvero Lessicòrio erano state pubblicate nel corso degli anni, il componimento fu edito per intero – e per la prima volta nella sua veste originaria – solo con la pubblicazione di Tutte le poesie (2007: 57-114). D’ora in avanti si citerà sempre da questa edizione.
7 Per un approfondimento della relazione tra la poesia di Insana e la tradizione orale si rimanda agli studi di Anna Mauceri (2006: 57-70) e (2006: 117-135). Nella seconda indagine indicata, in particolare, la studiosa legge l’opera di Insana insieme a quella di altri poeti contemporanei, tra i quali Edoardo Sanguineti e Fabio Pustela.
Emanuele Broccio, Jolanda Insana: una lingua per scuotere le menti, Mantichora, n. 8, dicembre 2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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