Il teatro di Müller va oltre la mera funzione di contronarrazione nei confronti di una narrazione dominante

«Es ist ein Privileg für einen Autor, in einem Leben drei Staaten untergehen zu sehn. Die Weimarer Republik, den faschistischen Staat und die DDR. Den Untergang der Bundesrepublik werde ich wohl nicht mehr erleben». <110 Queste parole, che chiudono la sua autobiografia, costituiscono a mio avviso il miglior lasciapassare per un primo accostamento a Heiner Müller. Un uomo di teatro a tutto tondo che amava celarsi dietro la maschera del distacco, dell’osservatore impassibile – quando non del vero e proprio cinismo – ma che nascondeva, dietro questa posa, un’ulteriore maschera (da intendersi nella sua accezione etimologica latina: maschera, persona): quella di uno scrittore e intellettuale profondamente partecipe delle passioni del suo tempo, inesorabilmente avvinghiato alle lotte e alle tensioni utopiche del Novecento, delle quali ha potuto non solo osservare, ma vivere in prima persona il decorso, la degenerazione e la fine. Una contraddittorietà, questa, alle radici della sua scrittura e della sua esperienza di vita, e che il drammaturgo, con un paragone, ha descritto in questo modo: “Für meine Literatur war das Leben in der Ddr etwas wie die Erfahrung Goyas in der Zange zwischen seiner Sympathie für die Ideen der französischen Revolution und dem Terror der napoleonischen Besatzungarmee, zwischen der Bauernguerrilla für Monarchie und Klerus und dem Schrecken des Neuen, das vor seinen Augen die Züge des Alten annahm, die Taubheit seine Waffe gegen die arge Erkenntnis, weil das Auge des Malers die Blindheit verweigerte”. <111
Di questo conflitto, e della sua importanza in quanto scaturigine della propria creatività, Müller era pienamente consapevole, tanto da averne esso stesso indicato le giuste coordinate: «questo è il vero punto nel mio teatro: corpi e il loro conflitto con le idee vengono gettati sulla scena. Fintanto che ci sono idee, ci sono ferite, idee provocano ferite». <112
Questa citatissima frase di Müller, proponendo la triade concettuale corpi-idee-ferite, aiuta a mettere a fuoco la problematica fondamentale su cui poggia la sua opera nel suo complesso: se da un lato il teatro di Müller accoglie dal punto di vista formale alcune delle istanze più avanzate del tardo modernismo, d’altro lato si inserisce problematicamente in un filone di letteratura “impegnata” che, pur riconoscendo in Bertolt Brecht il proprio autore-chiave, risulta in ultima analisi più apparentabile al teatro di Beckett o alle teorizzazioni estreme di Artaud che ai Versuche pedagogici brechtiani. In termini estetici, si tratta di un dissidio tra forma e contenuto che, se per certi versi si può far risalire ai tentativi più sperimentali di Brecht, assumerà nella seconda fase della produzione di Müller una virulenza tale da cancellare ogni presupposto drammaturgico “classico”, tanto che si è creduto di poter coniare per il teatro di Müller la categoria critica di «postdrammaturgia». <113
Ma questo altro non è che il precipitato estetico di una visione storica sostanzialmente tragica: sin dall’inizio della sua scrittura Müller è sospeso tra due modalità di rappresentazione della temporalità.
Come scrive Francesco Fiorentino: “da un lato c’è la visione di una temporalità retta dal principio della rivoluzione e concepita in termini dialettico-materialistici; dall’altro essa viene continuamente trascesa e sospesa da uno sguardo “mitico” che vede nella storia il continuo riprodursi di una barbarie che si dichiara superata e che invece continua ad accadere nel presente, rifiutandosi di essere spazzata via”. <114
Ed è conformemente a questi presupposti che la drammaturgia di Müller si indirizza sin dai suoi inizi contro l’ottimismo storico propagandato dai vertici dell’entità statuale in cui viveva, la DDR, che traeva la sua legittimazione «aus der Vorstellung von der DDR als Kulminationspunkt aller zukunftweisenden Entwicklunslinien innerhalb der deutschen Geschichte». <115
A un racconto storico basato sull’ineluttabile vittoria futura del socialismo, Müller oppone una sorta di contro-testo che indica la miseria del presente, e soprattutto la vincolante forza del “vecchio” in quella che si voleva la “nuova” (e migliore) delle due Germanie. <116
Il teatro di Müller va oltre la mera funzione di contronarrazione nei confronti di una narrazione dominante, di critica dell’autorappresentazione di una determinata entità statuale. Il dramma deve divenire «Schritt ins absolute Dunkle, Unbekannte»: <117 un programma estetico che prevede, da un lato, la modificazione del teatro stesso (o se si vuole dei modi in cui la teatralità viene esperita) tramite un’avanzata, quando non avanguardistica, arte del testo (il teatro di Müller è in primo luogo “testo”, elaborazione testuale più che rappresentazione del testo stesso); d’altro lato, e di conseguenza, viene prefigurata, riallacciandosi al Brecht più sperimentale, una nuova definizione di pubblico in quanto coautore (Ko-Produzent) all’interno di un più ampio processo sociale e collettivo. Fin qui nulla di particolarmente nuovo: a questo livello di elaborazione è chiaro che Müller recepisce attentamente non solo il magistero di Brecht, ma anche di Benjamin, soprattutto di un mirabile e semidimenticato saggio, “Der Autor als Produzent”, dove era già presente il nesso tra esperimento estetico e sviluppo dei rapporti sociali alla luce dell’interpretazione dell’autore come produttore di “materiali testuali”, non differente dalle altre forme di produzione all’interno di una società “liberata” (o in via di liberazione).
Insomma, come in tante estetiche modernistiche, l’arte svolge una funzione di anticipazione, di tentativo di oltrepassamento, di esperimento nell’intentato («Schritt ins absolute Dunkle, Unbekannte»).
Nel 1975, con una formulazione categorica, Müller chiarisce ulteriormente la sua posizione: «Kunst legimitiert sich durch Neuheit = ist parasitär, wenn mit Kategorien gegebner Ästethik beschreibar». <118
Il concetto di “nuovo” viene fatto confliggere con la funzione sociale del “bello”, ascrivendo così all’arte il compito di superare i confini (estetici) e di aprire nuovi spazi di esperienza. <119 È da qui, da questi presupposti che nasce la “postdrammaturgia” mülleriana: come tentativo (ancora tutto modernista) di conferire alla forma un valore utopico, di rinnovare e modificare il teatro e più in generale l’arte per modificare e rinnovare la società. Ma ciò che è maggiormente rilevante ai fini della presente trattazione è che questo tentativo di nuovo teatro si sostanzia, nei drammi scritti tra i tardi anni Settanta e gli Ottanta, di uno sguardo peculiare al ricordo e alla memoria: “Müller präsentiert das Drama angenfangen mit Die Hamletmaschine als erinnernden Sprechtext, der seine Gegenstände weniger szenisch vorstellt als vielmehr sprachlich-rhetorisch verhandelt, Vorstellungsbilder sprachlich arrangiert und das Drama
der Geschichte in die Wirklichkeit eines Kopf-Raum-Theater aus Gehirnströmen, aus Schädelnerven überfuhrt”. <120
Già nel capitolo precedente, ricostruendo il contesto storicoculturale che ha visto l’emergere dell’affermarsi del tema della memoria, abbiamo visto che gli anni Settanta sono stati per diversi aspetti uno spartiacque fondamentale. Anche il teatro di Müller conosce in quel decennio un cambiamento fondamentale, tanto che è stato detto che il “vero” Müller nasce solo nel 1977, con l’”Hamletmaschine”, e che la parte più importante della sua produzione è da ravvisare nel decennio 1977-1987, il decennio che va appunto dall’”Hamletmaschine” fino al ciclo di “Wolokolamsker Chaussee”.
Ma cosa distingue questi testi dai drammi precedenti affini per tematica (i traumi della storia prussiano-tedesca, i costi e le vittime delle utopie politico-sociali)? Se il dramma storico convenzionale cerca di rappresentare sulla scena ricostruzioni estetiche, filosofiche o ideologiche del passato, questi testi in qualche modo ritirano, revocano l’evento dalla scena, non rappresentano la storia, ma ne fanno un oggetto di riflessione rammemorante: «Das Drama (der Geschichte) wird zu einer Archäologie, die Impulse der utopischen Geschichtsphilosophien Blochs und Benjamins mit der Idee einer subversiven Kraft der Kunst zum ästetischen Modell einer zerstörerischen ars memoria verschmilzt». <121
Con una forzatura si potrebbero intravedere un parallelismo tra il peculiare tentativo di Müller di una drammaturgia del ricordo e il teatro della memoria di Giulio Camillo, individuabile nello sforzo di “rianimazione” di un passato morto o mortificato: <122 perchè, a prescindere dalle diverse interpretazioni che si possono dare dell’opera di Müller, a un primo sguardo salta immediatamente agli occhi la particolarità idiosincratica dei suoi testi, compenetrati di una particolarissima tensione (che l’autore voleva utopica) tutta rivolta al passato, quasi un atto magico, o, per usare le parole di Fiorentino, «un esorcismo che persegue la rivitalizzazione di una speranza di utopia mortificata dalla realtà, che vuole riaccendere il ricordo – represso, sepolto, ma non cancellato – del possibile, “del possibile contro il reale che ha soppresso il possibile”». <123
Il ricordo del possibile: è questo che la drammaturgia di Müller tenta di elaborare in primo luogo linguisticamente, e in secondo di consegnare alla collettività degli spettatori. Le tecniche letterarie di cui il drammaturgo si avvale in questo tentativo artistico sono variegate e complesse, ma, dal punto di vista formale (parodie, riscritture, e più in generale ricorso a un’intertestualità “divorante”) potrebbero per certi versi rientrare nell’ampio alveo del postmodernismo, che viene invece attaccato e criticato da Müller in quanto estetica dell’oblio e della leggerezza (Müller vede nella perdita della memoria che secondo lui caratterizza l’estetica postmoderna il presupposto definitivo per la completa trasformazione dell’umanità in pura forza lavoro sfruttabile a piacimento, insomma degli uomini in automi): una contraddittorietà che rende ancor più complessa la figura dell’autore, e interessante la sua opera. <124
L’autore ha formulato in questo modo l’idea del ruolo che la letteratura può svolgere nel processo di preservazione e rammemorazione del possibile: “[Literatur ist] auf jeden Fall so etwas wie Gedächtnis – und zwar auch Erinnerung an die Zukunft, also Erinnerung an etwas, das noch nicht existiert oder existiert hat. Literatur ist nicht nur Erinnerung an die Vergangenheit und Notieren von Gegenwart, sondern auch Erinnerung an Zukunft”. <125
Oltre alle dichiarazioni di poetica dell’autore, l’importanza del ricordo nella drammaturgia e nella biografia di Müller è ormai un punto fermo nella letteratura critica contemporanea. Ne fornisco qui di seguito un breve compendio: “[In Müller] immer geht es um das Benennen historischer Erfahrungen – Poetische Rückerinnerung wird Voraussetzung weiterzuleben; <126 Es sei die Unfähigkeit, mit Trauer oder Verdrängung auf Katastrophen in der eigenen Lebensgeschichte zu reagieren, die zur Bildung estetischer Produktivität führe. Da diese im Werk den privaten Charakter verlören und geschichtliche Substanz freilegten, sei das Ziel, das Verdrängte der Geschichte, Inhalte des kollektiven Unbewussten darzustellen; <127 Bei Müller geht es ein Theater als Medium eines kollektiven Erinnerns darum, dass Vergangenes weniger szenisch vorgestellt als sprachlich-retorisch verhandelt wird”. <128
Fermiamoci qui. Credo di avere ampiamente mostrato come tutti i concetti e punti critici riportati finora hanno sono accomunati dalla constatazione della centralità del fattore “memoria” nel teatro di Müller.
Che si tratti di considerazioni di filosofia della storia, o di riflessioni più inerenti allo specifico letterario, siamo di fronte a una costellazione ampia: memoria (individuale e collettivo), ricordo del possibile, trauma, inconscio storico… Una costellazione ampia ma nebulosa. Ritengo sia necessario, a questo livello della trattazione, prendere in mano i testi e, analizzando il modo in cui Müller dà forma alla sua idea di sollecitazione e ri-evocazione della memoria, giungere a una maggiore comprensione.

[NOTE]
110 Heiner Müller, Krieg ohne Schlacht. Leben in zwei Diktaturen, Köln, Kiepenheuer & Witsch, 2003, p. 361. [È un privilegio per un autore avere visto in una vita il crollo di tre stati. La repubblica di Weimar, lo stato fascista e la DDR. Non vivrò tanto da vedere la fine della Repubblica Federale]
111 Ibidem, p. 365. [Per la mia letteratura la vita nella Germania orientale è stata paragonabile all’esperienza di Goya nella morsa tra la sua simpatia per le idee della rivoluzione francese e il terrore dell’esercito di occupazione napoleonico, tra la guerriglia dei contadini in favore della monarchia e del clero e lo spavento del nuovo, che davanti ai suoi occhi assumeva i tratti del vecchio, la sordità la sua arma contro l’amaro riconoscimento, dato che gli occhi del pittore rifiutavano di diventare ciechi].
112 Heiner Müller, Gesammelte Irrtümer 2, p. 10
113 Cfr. Lehmann, Postdramaturgisches Theater
114 Francesco Fiorentino, HM: oltre le idee, in Id. ( cura di). Heiner Müller. Per un teatro pieno di tempo, Artemide, Roma, 2005, p. 10.
115 Norbert Otto Eke, Geschichte und Gedächtnis,¸ in Hans-Thies Lehman e Patrick Primavesi (a cura di), Heiner Müllers Handbuch, Metzler, Stuttgart, 2003, p. 56.
116 Cfr. ibidem.
117 Ibidem, p. 54.
118 Ibidem, p. 55
119 Ibidem.
120 Ibidem. [Müller presenta la drammaturgia cominciato con Hamletmaschine come un testo rammemorante, che non tanto presenta scenicamente i suoi oggetti, quanto li elabora dal punto di vista linguistico-retorico, adatta linguisticamente le immagini della rappresentazione e conduce così il dramma della storia nella realtà di uno “spazio mentale-teatrale” fatto di nervi cranici, di impulsi cerebrali].
121 Ibidem, p 55. [Il dramma (della storia) diventa un’archeologia, che fonde gli stimoli delle utopiche filosofie della storia di Bloch e Benjamin con l’idea di una forza sovversiva dell’arte, modello estetico, questo, di una distruttiva ars memoria]. Müller, a proposito del dramma storico, ha scritto: «Geschichtsdrama ist ein Begriff, mit dem praktisch ich nicht viel anfangen kann, weil vom Theater her gesehen jedes Drama ein Gegewarts- und damit ein Gerschichtsdrama ist. Die Leuten sitzen im Theater, erleben in diesem Augenblick, in dieser Zeit ein Stück und beziehen es auf die geschichtliche, gegenwärtige Situation, in der sie leben. Genauso ist es beim Schreiben. Jeder Autor befindet sich in einer bestimmten geschichlichen Situation. Ich glaube, entscheidend ist: Der Historismus ist vorbei. Das war eine kurze Zeitspanne, in der man versucht hat, historische Dramen zu schreiben. Man nennt das Kostümstücke. Jetzt kann man über Geschichte nur noch schreiben, wenn man seine eigen historische Situation mitschreibt», in Id., Gesammelte Irrtümer. Interviews und Gespräche, Verlag der Autoren, Frankfurt a.M., 1986, p. 31. [Quello di dramma storico è un concetto che nella pratica non mi serve molto, dato che dal punto di vista teatrale ogni dramma è storico in quanto dramma del presente. La gente siede a teatro, e in questo attimo, in questo momento, assiste a una rappresentazione che mette in relazione alla presente in cui vive. Uguale con la scrittura. Ogni autore si trova in una deteminata situazione storica. Credo che il fatto che lo storicismo sia morto sia determinante. Si è trattao di un breve lasso di tempo in cui si è provato di scrivere drammi storici. Li si chiama drammi in costume. Oggi si può scrivere sulla storia solo quando si scrive anche della propria situazione storica]
122 Cfr. il lemma «Teatro della memoria», in Dizionario della memoria e del ricordo, cit., p 569.
123 Fiorentino, Heiner Müller. Oltre le idee, cit., pp. 22-23.
124 Accennare al personalissimo canone letterario di Müller, composto sia da autori occidentali in senso pieno (Kafka, Eliot, Beckett) sia appartenti al canone del realismo socialista (Sholokov, Seghers ecc)
125 Müller, Gesammelte Irrtümer 2, cit., p. 148. [E in ogni caso si può dire che la letteratura è una forma di memoria – più precisamente anche un ricordo del futuro, cioè il ricordo di qualcosa che non è (ancora) esistito. La letteratura non è solo ricordo del passato o annotazione del presente, ma anche ricordo del futuro]
126 F. Hörnigk (a cura di), Heiner Müller Material, Reclam, Leipzig, 1989, p. 131 [il punto in Müller si tratta sempre di dare un nome alle esperienze storiche – il ricordo retrospettivo diventa un presupposto per continuare a vivere];
127 F.-M. Raddatz, Dämonen unterm Roten Stern. Zu Geschichtsphilosophie und Ästhetik Heiner Müllers, Metzler, Stuttgart, 1991, pp. 7 e 10 [è l’incapacità di reagire col lutto o la rimozione alle catastrofi nella propria storia esistenziale che conduce alla formazione della produttività estetica. Nella rappresentazione letteraria si perde il carattere privato in favore della sostanza storica, e l’obiettivo diventa la rappresentazione del rimosso storico, die contenuti dell’inconscio collettivo]
128 N.O. Eke, Zeit/Räume. Aspekte der Zeiterfahrung bei Heiner Müller, in T. Buck e J.-M. Valentin (a cura di), Heiner Müller – Rückblicke, Perspektiven, Vorträge des Pariser Kolloquiums 1993, Peter Lang, Frankfurt a.M., 1995, p. 150 e ss. [In Müller il teatro diventa medium del ricordare collettivo non tanto presentando il passato scenicamente, ma trattandolo dal punto di vista linguistico-retorico]

Nicola Barilli, Il campo di battaglia della memoria. Sulla rappresentazione del passato in Heiner Müller, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2009

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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