La fase del primo dopoguerra è stata per Comisso stimolo di nuove avventure

Giovanni Comisso nacque a Treviso il 3 ottobre 1895, in una casa sul fiume Cagnan <1. La sua famiglia di estrazione borghese si conformava al perbenismo cittadino, che l’autore tollerava malvolentieri e il suo carattere insofferente cozzava con il conformismo e con le convenzioni di cui era intrisa la quotidianità familiare. Il padre Antonio, proveniente anch’egli da una famiglia borghese, aveva conseguito un apprendistato a Praga ed aveva intrapreso un proficuo commercio di granaglie e concimi. Giovanni lo perse all’età di trentadue anni. La madre Claudia Salsa, sorella del più famoso Tommaso Salsa (generale delle spedizioni coloniali italiane), borghese ed aristocratica, ebbe un saldissimo rapporto col figlio Giovanni, trattato fino alla senilità con estrema cura. Durante l’infanzia si rivelò uno scolaro attento e brillante. Diversamente si può dire del periodo adolescenziale, in cui la scuola e soprattutto la matematica gli diventavano sempre più odiose. In un flashback riportato nel “Gioco d’infanzia” si può notare come per Comisso non ci sia un reale interesse nel narrare le vicende puerili, o meglio: l’infanzia cui allude Comisso nell’opera risulta essere tardiva e carica, piuttosto, di una spiccata curiosità sessuale. L’esplicito riferimento alle esperienze sensoriali vissute rimarca la predilezione di Comisso per questo tema. L’infantile spudoratezza di Comisso ci conduce ad alcuni passi scabrosi, ovviamente emendati dalla censura: “Un giorno passeggiando per la città, sotto alla stessa ombrella, questo suo cugino (Comisso si rappresenta in terza persona) gli indicò il taglio d’una pietra per dove passava dell’acqua piovana e gli disse che il sesso della donna ha la stessa forma di quel taglio. L’acqua vi scorreva dentro gorgogliando, lo stupore venne sopraffatto dall’orrore, tutta un’impressione di freddo e d’impassibile lo convinse”. Il passo proposto e rifiutato nel 1932 è la prova di come le memorie di Comisso non offrano tenere suggestioni, ma espliciti riferimenti e delucidazioni circa la sfera sessuale. Nel 1913 fece il suo primo incontro con Arturo Martini, scultore trevigiano più grande di Giovanni di sei anni. L’idea di libertà, che Comisso maturava, veniva alimentata dall’artista Martini elogiatore dei versi di poeti decadenti, quali Rimbaud e Baudelaire. Martini incitava Comisso a “sacrificare” la rigida impostazione borghese per un ideale di vita libero da schemi. Non solo, Martini è stato il primo a visionare i suoi scritti acerbi, e ne esaltava il contenuto e lo stile. Tuttavia fonte di ispirazione per Comisso fu maggiormente l’ascolto dei versi dei bohèmiens, oltre alle opere di D’Annunzio. […] L’esperienza bellica viene narrata in particolar modo nei suoi “Giorni di guerra” (1930), formula diaristica attraverso la quale rievoca la visione più intima della guerra, puntando sulle proprie avventure e non su avvenimenti che segnarono, poi, un’intera epoca. L’impegno militare contraddistinse il primo contatto con luoghi e personalità diversi dall’ambiente trevigiano, e nella maggior parte delle sue opere, incluse quelle qui analizzate “Capricci italiani” (1952) e “Un gatto attraversa la strada” (1954), si ritrovano a mo’ di costante dei flash sulla parentesi bellica. Le sensazioni del giovane Comisso sfociavano nella curiosità e nella ricerca della novità, per cui tutto ciò che lo circondava e che si trasformava in parola scritta faceva trasparire uno spiccato entusiasmo. […] È già nota l’informazione che Comisso avesse un rapporto particolare con la sua terra, caratteristica di chi ama i propri luoghi d’origine e di cui conserva il ricordo come di un amore materno, ma che disdegna per chiusura e provincialismo. Il primo sentore di distacco, elaborato nel “Gioco d’infanzia”, rimanda ai primi impulsi sessuali in seguito all’incontro con un ragazzo, Mario: la valle del Piave diventa per Comisso scenario di fantasie inquiete, troppo stretta per accogliere la pulsione dei suoi istinti giovanili. Il conflitto di amore – odio si risolverà nella seconda parte della sua vita, quando il desiderio di stabilità e quiete dai numerosi spostamenti avrà la meglio e ciò si evincerà dalle narrazioni brevi (le raccolte di racconti ‘Capricci italiani’ e ‘Un gatto attraversa la strada’) o dai romanzi della maturità. A dare, però, maggiore respiro all’acerba arte di narratore è stata la parentesi bellica e soprattutto l’avventura fiumana, un’altra rivelazione autobiografica che continua a impreziosire la sua narrativa. Con “Giorni di guerra” si plasmano scenari, sensazioni e personaggi che nessun autore aveva mai descritto con tanta vitalità e leggerezza. L’amicizia con Guido Keller fa sì che nel successivo “Porto dell’amore” questi diventi il primo personaggio vivo di Comisso <56 e durante il corso della sua vita molte sono le personalità che, grazie alla spiccata vitalità artistica, riescono a diventare personaggi. Keller ritorna vivo nei ricordi di Fiume delle “Mie stagioni”, in cui l’autore evoca il rapporto d’amicizia e ne valorizza l’attività politica e militare. La fase del primo dopoguerra è stata per Comisso stimolo di nuove avventure, alla ricerca di storie e personaggi autentici. La riscoperta di popoli e realtà differenti ha dato la possibilità all’estro dell’autore di valorizzare personalità degne di essere raccontate. Sebbene il periodo in questione riguardi la poetica degli istinti, secondo Accame Bobbio Comisso è sempre stato mosso dai sentimenti e da una sorta di pietas <57 (non proprio quella dell’eroe virgiliano) «per le sofferenze umane, per gli esseri deboli, vinti dalla vita, che forse è il corrispettivo del suo amore alla vita concepita come gioia, piacere, e per ciò stesso spietata quando come tale si nega ai viventi» <58. Non solo, la sensibilità dell’autore è dovuta alla capacità di «uscire da se stesso, a partecipare col cuore e con la fantasia la vita degli altri, in una parola a creare personaggi vivi della propria sofferenza» <59. Tale aspetto si delinea a partire da “Il porto dell’amore”, in “Gente di mare” e “Avventure terrene”. Per questo motivo è difficile paragonare Comisso a D’Annunzio se la poetica di quest’ultimo era intrisa di un forte egotismo estetizzante: il nostro ha a cuore le storie degli altri, riuscendo a renderle autentiche, così come le sue. Quando Comisso si accosta a una narrativa dal respiro più ampio ha inizio il periodo, come dicevamo, del primo dopoguerra ed il momento in cui si allontana dalla narrativa dannunziana per accostarsi a quella dei grandi prosatori ottocenteschi. L’esito di tale cambiamento porta ad un concetto di narrazione diversa, in cui i protagonisti non raccontano la propria storia, fine a se stessa, ma divengono depositari di valori universali, che valgono per tutto il genere umano. Il “Fausto Diamante” di Comisso, pubblicato nel ’33, ha degli interlocutori specifici, quali i «giovani usciti dalla guerra incerti dell’avvenire, irrequieti e violenti, in urto con la società del tempo; disagio ch’era anche il suo nel fastidio della carriera legale cui voleva avviarlo la famiglia» <60. Ma la particolarità del romanzo risiede nell’atteggiamento del protagonista in balìa di gesti estremi che culminano col delitto finale e che sanciscono l’allontanamento definitivo dalla realtà meschina e corrotta. Il narratore quindi si eleva a esempio per tutta la società; non è la storia di se stesso e non è la storia degli altri, ma «un modello di ribellione integrale» <61. Annotazione fondamentale: nonostante in questo periodo sembri che Comisso non parli di sé, in realtà le vicende narrate nelle opere degli anni ’30 sono ugualmente frutto delle sue esperienze e sensazioni. Pertanto, contemporaneo a “Il delitto di Fausto Diamante”, “Storia di un patrimonio” sembra delineare altri aspetti, legati ai ricordi di infanzia del protagonista e alla disgregazione di un patrimonio. Intessuta sulla base della famiglia verghiana, il romanzo pone in contrasto due generazioni, quella tradizionalista del vecchio proprietario terriero e quella spinta dalla ribellione dei suoi figli e nipoti che, incompetenti, non riescono a gestire la roba. L’opera si conclude con un momento di speranza per i fratelli Mario ed Ernesto che, avendo sperperato i loro averi, tentano la fortuna in Francia. Il tutto è accompagnato dagli albori mattutini, simbolo luminoso di speranza. Anche per Comisso si aprono nuovi orizzonti: alla vita di avventuriero inizia a preferire la stabilità e la sua terra d’origine; coi guadagni delle sue prime produzione acquista il podere di Zero Branco, dove si trasferirà. Ricominciare da Zero, significa per lui pensare a una letteratura più impegnata, forte delle prime valutazioni favorevoli della critica alla sua leggerezza e “giovanilità”. È dietro questa scia di positività che matura la progettazione di “Gioco d’infanzia”. Con questa composizione Comisso si avvicina alla sfera introspettiva, analisi «condotta con un’attenzione quasi psicanalitica, sulla quale forse influì l’incontro con Svevo, da lui ammirato anche come maestro di stile» <62. Durante il corso della narrazione ritorna il Comisso-personaggio la cui essenza si sovrappone a quella del protagonista Alberto: Comisso è Alberto nei viaggi avventurosi e al contempo è Alberto nel ricordo degli eventi lieti per la valle del Piave con i giovani adolescenti, in particolare quel Mario, così malizioso. Comisso ha ripercorso la sua vita nei panni di Alberto, quasi come se mettere nero su bianco le impressioni e i dubbi fosse la chiave per rispondere ai suoi di interrogativi, ovvero il motivo per cui stesse cambiando col tempo la percezione del mondo, il perché l’avventura, tanto bramata, fosse ormai troppo per la sua natura e perché la sua esuberanza stesse regredendo nel provincialismo che un tempo rifuggiva. Come se si chiudesse un ciclo, il «gioco d’infanzia» ritorna e si realizza nell’ «amore riposante» di un ragazzo incontrato nel bosco di Ceylon: è quel rapporto che avrebbe voluto instaurare col Mario dell’adolescenza, troppo acerbo per una relazione stabile. Ma la storia di questo racconto lungo vede la sua pubblicazione da Longanesi, come accennava, solo nel 1965, periodo storico più disteso, aperto. Frattanto, la vita di campagna in cui si rifugia Comisso predispone l’autore alla creazione di personaggi e circostanze intercettate nella realtà circostante. Non solo, l’avvicinarsi alla stagione della maturità condiziona Comisso a desiderare la stabilità affettiva, con l’idea di intraprendere una vita coniugale insieme ad un compagno. Per tale considerazione, nella seconda metà degli anni ’30 vengono concepiti “I due compagni” e “Un inganno d’amore”. Il primo dei due romanzi citato evoca, nella personalità di Giulio, da una parte le classiche vicende autobiografiche dell’autore, ma anima ancor più il suo essere, con la parte immaginaria, radicata nel rapporto complicato tra Giulio e la moglie. Totalmente astratta è la rappresentazione dell’altro compagno, Marco, e in virtù di tale disuguaglianza dei caratteri, Accame Bobbio si esprime nella maniera seguente: “Come creatore di personaggi infatti mi sembra che Comisso riesca meglio, o quando s’identifica del tutto in essi, come in Alberto del ‘Gioco d’infanzia’, o quando esce del tutto da se stesso rappresentando con simpatia umana, con quella pietas, in particolare, che lo distingue, caratteri e vicende diverse del tutto dalle sue”. <63 Col secondo romanzo, “Un inganno d’amore”, il protagonista Francesco interpreta ciò che nella realtà è diventato l’autore, con la sua volontà di coltivare degli affetti duraturi nel tempo; nella fattispecie ci si riferisce alla liaison col giovane Bruno. Come a voler ripercorrere la sua vita, Comisso vive nel protagonista sotto forma di legale di provincia, tediato da un’esistenza piatta: attraverso Francesco, l’autore mette a nudo la paura di dover svolgere per la vita un incarico per il quale aveva studiato malvolentieri. Nel corso della storia, si presenta Giulia, una giovane carismatica e ambiziosa, e positiva all’idea di loro due uniti in matrimonio. Tale figura femminile simboleggerebbe la spensieratezza di Bruno, giovane amico dell’autore, se non fosse per l’improvviso crollo psicologico della stessa e la conseguente fuga. Peraltro, sembra che il susseguirsi delle vicende corrisponda con esattezza agli eventi caratterizzanti la vita di Comisso. Se in un primo momento il protagonista perde per sempre Giulia/Bruno, d’altra parte riconosce finalmente il limite che potrebbe avere un nuovo legame affettivo-passionale. Questo perché, nella realtà, dopo Bruno, l’autore intraprende un nuovo rapporto, con Guido Bottegal, verso cui prova più coinvolgimento e dei sentimenti intensi e grazie al quale si realizza nell’ quel tipo di finale.
[…] Se da una parte si ritrova un Comisso maturo e più riflessivo, dall’altra il suo atteggiamento muta anche in virtù del periodo storico e del conflitto imminente. La Grande Guerra lo aveva paradossalmente animato, ma erano altri tempi: era giovane e desideroso di avventurarsi, tanto che anche una guerra di quella portata lo aveva scosso positivamente; gli istinti prevalevano sui sentimenti e sulle riflessioni più profonde.
Il cambiamento registrato all’avvento della guerra, diventa pertanto una questione culturale e non solo comissiana: c’è la crisi dell’idealismo estetico, la crisi di una letteratura concepita in funzione dell’espediente storico. Una crisi che Comisso penserebbe necessaria per la realizzazione di una narrazione lunga, il romanzo.

[NOTE]
1 Il materiale biografico di riferimento per questo lavoro fa capo alle seguenti trattazioni: N. NALDINI, Appunti per la biografia di Giovanni Comisso, in G. PULLINI (a cura di), Giovanni Comisso, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1983;
56 Aurelia Accame Bobbio, Giovanni Comisso, Milano, Mursia, 1973, p. 144.
57 Ivi, p. 145.
58 Ibidem.
59 Ibidem.
60 Ivi, p. 147.
61 Ibidem.
62 Ivi, p. 150.
63 Ivi, p. 153.
Alessia Melechi, Storia di Giovanni Comisso: “l’intelligenza della felicita’”. Per un’analisi di “Capricci italiani” e di “Un gatto attraversa la strada”, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2019

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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