La forza del poeta di Tricarico è appunto la sua fede nella capacità dei contadini di liberarsi da quel mondo arcaico descritto da Levi

La ricezione <1 all’estero di Rocco Scotellaro, uno dei più grandi poeti della Basilicata, morto prematuramente nel 1953 all’età di appena trent’anni, da parte di un pubblico sensibile ai valori umani e letterari di cui egli è stato portatore, è testimoniata in Germania dagli scritti di numerosi autori.
Nel 1956, Rocco Scotellaro fu presentato per la prima volta ai lettori tedeschi da Hans Hinterhäuser, nativo della Franconia, che nel 1972 sarebbe diventato cattedratico di filologia romanza all’Università di Vienna. Solo tre anni dopo la scomparsa del poeta di Tricarico, Hinterhäuser pubblicò una monografia sui contrasti politici che agitavano la penisola appenninica in quel momento, intitolata “Italien zwischen Rot und Schwarz” (L’Italia fra il rosso e il nero) <2. In questo saggio di carattere più sociologico che letterario, Scotellaro è menzionato come autore di una «raccolta di biografie di contadini del Mezzogiorno italiano» <3 – Hinterhäuser si riferisce qui a Contadini del Sud, uscito nel 1954. Quest’opera d’impronta documentaria è per Hinterhäuser soprattutto una prova del crescente interesse per gli studi sociologici in Italia, causato secondo lui dai cambiamenti nella struttura della società dopo la seconda guerra mondiale. Hinterhäuser però in quest’occasione non approfondisce le sue considerazioni intorno a Scotellaro; manca per esempio l’accenno alla collaborazione dello scrittore lucano con i sociologici americani Peck e Friedmann, che com’è noto esercitarono un’influenza non trascurabile sulla genesi di “Contadini del Sud”.
Hinterhäuser si rese nuovamente benemerito degli studi scotellariani in Germania quando nel 1967 pubblicò presso l’editore Bläschke sotto il titolo “Eine Stunde vor Tag” – che allude a quello di “È fatto giorno” – una scelta bilingue delle poesie di Scotellaro <4. Il volumetto contiene alcuni testi poetici importanti e caratteristici, come per esempio “Mio padre” o “Pozzanghera nera il diciotto aprile”, tutti tradotti da Hinterhäuser stesso. Nel commento che accompagna le poesie, lo studioso tedesco racconta brevemente la vita dell’autore lucano, rilevando il suo impegno come “intellettuale integrale” per il “mondo contadino” della sua terra natia. In questa occasione, Hinterhäuser menziona anche l’amicizia fra Scotellaro e Carlo Levi – un’indicazione certamente utile in quel momento, dato che il “Cristo si è fermato a Eboli”, il romanzo del torinese ispirato all’esperienza del confino nella Basilicata e uscito in Italia nel 1945, era noto al pubblico germanico già dal 1947, quando venne pubblicata a Zurigo la prima traduzione tedesca.
Anche la valutazione della poesia scotellariana da parte di Hinterhäuser è influenzata da Levi, specialmente dalle affermazioni del piemontese nella sua prefazione all’edizione di “È fatto giorno”, da lui curata per l’editore Mondadori nel 1954; lì, Levi scrisse della poesia di Scotellaro: «non ha radici colte, se non quelle dell’antichissima e ineffabile cultura contadina» <5. Quando Franco Vitelli nel 1982 pubblicò una nuova edizione di “È fatto giorno”, che superò quella anteriore per l’attendibilità dei testi <6, criticò Levi per aver stilizzato Scotellaro come talento ingenuo; ma Hinterhäuser, che nel 1967 aveva tenuto come base solo il testo curato dal torinese, non riuscì ancora a distaccarsi da quell’immagine iniziale del poeta di Tricarico, seguendo il giudizio di Levi con l’affermazione che le poesie di “È fatto giorno” sarebbero «quasi prive di tracce dell’alta poesia tradizionale» e dunque «semplici e senza vera coscienza artistica». Considerando le ricerche su Scotellaro realizzate fino ad oggi, a nessuno verrebbe più in mente di sostenere una cosa del genere; già da alcuni anni è noto, infatti, che Scotellaro conosceva bene i maggiori poeti italiani dell’Otto e Novecento e che già nella sua gioventù aveva letto Leopardi, Pascoli, i poeti crepuscolari ed i poeti ermetici (fra quest’ultimi, Montale, Sinisgalli, Gatto e Quasimodo).
Ciò che Hinterhäuser non seppe ancora percepire e sottolineare con sufficiente chiarezza alla fine degli anni Sessanta, è il fatto che lo stile della poesia scotellariana si basa su una scelta cosciente – condizionata da certi obiettivi politici – e che in nessun caso è il risultato di una presunta mancanza di cultura dell’autore. Hinterhäuser esalta i meriti di Scotellaro nella discussione intorno alla questione del Mezzogiorno, ma mostra scarsa stima per lo stile della sua poesia, che giudica troppo vicino a quello della prosa; secondo lui, questo stile offenderebbe le aspettative estetiche dei lettori tedeschi, abituati ad altri tipi di poesia. Ciò nonostante, prosegue Hinterhäuser, vale la pena di avvicinarsi a Scotellaro, soprattutto – sempre secondo il filologo tedesco – per fare attraverso la sua opera la conoscenza del “mondo primitivo” del sud Italia.
Ad occuparsi di Scotellaro fu in seguito l’erudito tedesco Johannes Hösle, che fra il 1961 e il 1965 era stato direttore del “Goethe-Institut” di Milano e che nel 1968 era diventato cattedratico di filologia romanza all’Università di Ratisbona. Nella sinossi della letteratura italiana dell’Otto e Novecento da lui pubblicata nel 1979 (Grundzüge der italienischen Literatur des 19. und 20. Jahrhunderts), Scotellaro viene presentato nella sezione riservata ai narratori del Mezzogiorno, insieme a scrittori come Corrado Alvaro, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Vitaliano Brancati e Carlo Levi (quest’ultimo presente malgrado la sua provenienza dal Nord).
Merita di essere messo in rilievo il fatto che per Hösle l’opera scotellariana più importante è il romanzo d’ispirazione autobiografica “L’uva puttanella”, l’unica opera del lucano ad essere menzionata in questa sinossi. Per quanto riguarda il suo giudizio sui possibili pregi letterari di Scotellaro, Hösle si mostra in gran parte d’accordo con il suo predecessore Hinterhäuser, ponendo l’accento sull’“alto valore documentario” delle opere dello scrittore di Tricarico <7. Meno entusiastica è la sua valutazione artistica di Scotellaro: Hösle sostiene che bisogna ammettere una certa ineguaglianza estetica delle opere scotellariane.
Nessuna menzione di Scotellaro viene fatta invece nel manuale di Heinz-Willi Wittschier, contemporaneo alla storia della letteratura sopra descritta: “Die italienische Literatur – Einführung und Studienführer” <8. Questo passare sotto silenzio mostra che in quel momento il lucano non apparteneva ancora al canone degli autori che gli studenti tedeschi di letteratura italiana dovevano conoscere.
Ma il poeta di Tricarico trovò almeno considerazione nella più importante enciclopedia in lingua tedesca della letteratura mondiale, il famoso “Kindlers Literatur-Lexikon”, del quale una nuova edizione in 21 volumi venne data alle stampe fra il 1988 e il 1992. Al centro dell’articolo che, nel quadro di quell’opera monumentale, Richard Schwaderer (che più tardi divenne cattedratico all’Università di Kassel) dedica a Scotellaro, sta come già per Hösle il romanzo “L’uva puttanella”, uscito nel 1956; Schwaderer ne esalta la «rappresentazione commovente della miseria sociale» <9, ed oltre a ciò sottolinea lo stile vicino al dialetto. Quest’ultima osservazione è importante, giacché prima di Schwaderer nessuno in Germania aveva prestato attenzione al rapporto fra dialetto e identità regionale nell’opera scotellariana. Nei suoi commenti a “È fatto giorno”, Schwaderer a differenza di Hinterhäuser ammette la dimestichezza di Scotellaro con la poesia ermetica italiana; in quest’articolo, il poeta lucano sembra già molto meno ingenuo che nelle pubblicazioni precedentemente a lui dedicate in Germania – un indizio della crescente ponderatezza della critica scotellariana nei paesi di lingua tedesca. Inoltre, Schwaderer si rende benemerito richiamando l’attenzione dei lettori germanici sul racconto scotellariano “Uno si distrae al bivio” <10, al quale fino a quel momento nessuno aveva prestato attenzione al nord delle Alpi. Purtroppo − va annotato − Schwaderer perde l’occasione di approfondire l’interpretazione di quel racconto, che riflette attraverso la finzione il soggiorno di Scotellaro a Trento e ne descrive l’esperienza d’alterità, così importante per la nascita della sua coscienza meridionale.
Nel 1992 fu pubblicata presso l’editore Metzler di Stoccarda quella che è oggi la storia della letteratura italiana più diffusa nelle università tedesche, la “Italienische Literaturgeschichte” a cura di Volker Kapp, professore universitario a Kiel, con la collaborazione di altri eruditi, ognuno di loro specialista di un particolare secolo del panorama letterario italiano. La parte del libro che riguarda la seconda metà del Novecento, dov’è trattato anche Scotellaro, fu redatta da Hermann H. Wetzel, in quel momento professore a Passavia, più tardi cattedratico a Ratisbona. Wetzel si occupa di Scotellaro in una sezione intitolata “Il Mezzogiorno ovvero il fascino dell’arcaico”, accanto ad autori come Danilo Dolci, Francesco Jovine, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Leonardo Sciascia e Carlo Levi. Wetzel sostiene che nelle opere di Scotellaro la popolazione contadina della Basilicata viene rappresentata in un momento durante il quale è già alienata dalle sue radici culturali; secondo il filologo tedesco, intorno alla metà del Novecento questi abitanti della campagna sono «feriti nella loro identità». A mio avviso però Wetzel cade vittima di una diagnosi sbagliata, quando afferma che Scotellaro descrive esclusivamente «la decadenza sociale e culturale dei contadini meridionali» <11. Questo giudizio ignora la parte ottimistica dell’opera scotellariana, dove l’autore dà a intendere la necessità e la possibilità di riforme sociali: la forza del poeta di Tricarico è appunto la sua fede nella capacità dei contadini di liberarsi da quel mondo arcaico descritto da Levi, attraverso la loro lotta per l’autodeterminazione e per la piena partecipazione democratica nel nuovo Stato italiano nato dopo la seconda guerra mondiale.
Nel 1994, Manfred Lentzen, allora professore all’Università di Münster, pubblicò un’ampia storia della poesia italiana del Novecento: “Italienische Lyrik des 20. Jahrhunderts”. Scotellaro trova considerazione nella sezione dedicata alla poesia neorealista degli anni Quaranta, fra autori come Franco Fortini, Elio Filippo Accrocca e Giovanni Arpino <12. Quello che secondo Lentzen è comune a tutti i membri di questo gruppo è l’allontanamento dal purismo degli ermetici, a favore di un nuovo avvicinamento alla realtà sociale. Le riviste che marcavano la direzione di quel movimento artistico del quale faceva parte anche Scotellaro, erano Mercurio (1944-1948), La Strada (1946-1947) e Momenti (1951-1954); nella prima di quelle tre, apparve nel 1945 coll’articolo “Svolta della poesia” di Antonio Russi un importante manifesto di questa nuova maniera d’intendere la poesia. In un’altra parte del suo libro <13, Lentzen menziona Scotellaro come amico e fautore della poetessa Amelia Rosselli – una relazione che ha avuto una certa importanza nella percezione dello scrittore lucano in Germania, anche se molto meno che l’amicizia con Carlo Levi […].
[NOTE]
1 Il seguente contributo è la rielaborazione dell’intervento tenuto al Convegno di studio su “Scotellaro scrittore. Storicità e attualità di un’esperienza” (Tricarico, 7-9 maggio 2004), organizzato dal Comune di Tricarico per il Cinquantenario della morte di Rocco Scotellaro e curato dal comitato scientifico composto da Goffredo Fofi, Sebastiano Martelli, Vitilio Masiello, Donato Valli, Diego Zancani, coordinato da Franco Vitelli.
2 H. HINTERHÄUSER, Italien zwischen Schwarz und Rot, Stuttgart, Kohlhammer, 1956.
3 ivi, p. 48.
4 H. HINTERHÄUSER (a cura di), Rocco Scotellaro, Eine Stunde vor Tag, Ausgewählte Gedichte, Italienisch-Deutsch, Darmstadt, Bläschke, 1967.
5 R. SCOTELLARO, È fatto giorno, edizione a cura di Carlo Levi, Milano, Mondadori, 1954, p. 9.
6 R. SCOTELLARO, È fatto giorno, edizione a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 1982. Questa edizione fu sostituita più di vent’anni dopo insieme con le altre edizioni parziali dalla prima edizione completa: R. SCOTELLARO, Tutte le poesie, 1940-1953, a cura di Franco Vitelli, introduzione di Maurizio Cucchi, Milano, Mondadori, 2004.
7 J. HÖSLE, Grundzüge der italienischen Literatur des 19. und 20. Jahrhunderts, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1979, p. 112.
8 H. W. WITTSCHIER, Die italienische Literatur. Einführung und Studienführer. Tübingen, Niemeyer, 1979.
9 R. SCHWADERER, «Rocco Scotellaro, L’uva puttanella», in: Kindlers Neues Literatur-Lexikon, a cura di Walter Jens, München, Kindler, 1988-92, tomo 15 (Sc-St), pp. 69-70, qui p. 69.
10 R. SCOTELLARO, Uno si distrae al bivio, con prefazione di Carlo Levi, Roma-Matera, Basilicata, 1974.
11 V. KAPP (a cura di), Italienische Literaturgeschichte, Stuttgart, Metzler, 1992, p. 375
12 M. LENTZEN, Italienische Lyrik des 20. Jahrhunderts. Von den Avantgarden der ersten Jahrzehnte zu einer «neuen Innerlichkeit», Frankfurt/M., Klostermann, 1994, p. 219.
13 ivi, p. 328.
Thomas Stauder (Università di Erlangen-Norimberga), Scotellaro in Germania in «Bollettino storico della Basilicata», 25, 2009, pp. 217-231

La poesia neorealista vuole farsi promotrice di una speranza di riscatto sociale; dunque cerca di eliminare l’elemento di soggettività del testo: l’io può essere presente tutt’al più se trasformato in un “noi”, come accade in questo caso. Altri autori tentano una mimesi delle tensioni e dei conflitti di classe: per dare voce in modo diretto al mondo esterno, aumenta considerevolmente l’inserimento di dialoghi nei testi («la moglie e la figlia del falegname / si sono ritirate dicendo: / “questi fanno far giorno”», Scotellaro, 1954).
Claudia Crocco, La poesia italiana del Novecento. Il canone e le interpretazioni, Carocci editore, 2015

È il caso, ad esempio, di Rocco Scotellaro: nell’introduzione che Cucchi allestisce per l’edizione negli “Oscar” di Tutte le poesie. 1940-1953 (Mondadori 2004), a cura di Franco Vitelli, emerge una questione interessante relativamente a quanto appena affermato. Scrive infatti Cucchi: “Con il passare del tempo, e ormai dei decenni, si ha l’impressione che la poesia di Rocco Scotellaro non goda ancora di grande considerazione. Possono avergli nuociuto le stesse ragioni che sono alla base della sua notorietà, e che in fondo hanno fatto prevalere il personaggio, nella complessità della sua azione e del suo lavoro culturale, rispetto all’opera poetica nel suo valore specifico. […] una rilettura più corretta della poesia di Scotellaro deve necessariamente mettere da parte l’etichetta del neorealismo, e appoggiarsi essenzialmente ai caratteri di energia spoglia e anche violenta che la definiscono in modo più appropriato e dunque meno schematico o cronachistico”. <57
L’attenzione di Cucchi si concentra non tanto sul piano storiografico – ovvero la categorizzazione operata sul piano del giudizio –, né guarda direttamente alla determinazione di un’etichetta che possa racchiudere le tendenze individuate dalla scrittura poetica di Scotellaro, quanto invece punta al rilievo della complessità, più o meno specifica, all’articolazione e alla modulazione della sua “voce”, confermandone il valore di modello per le sue doti di autenticità. Di fatto, Cucchi non si sbilancia troppo nell’individuare dei possibili seguaci dell’estro e dell’impegno militante di Scotellaro accanto ai suoi contadini del sud, tradotti in una voce visionaria umile e potente, ma evoca semmai il nome di Umberto Bellintani, già apparso ne “Lo Specchio” nel 1963 con ‘E tu che m’ascolti’, e quindi riproposto con ‘Nella grande pianura’ (Mondadori 1998): un «poeta che sa essere delicato e carezzevole e, subito dopo, accendersi in vampate di espressività violenta» <58, e in questo assimilabile appunto a Scotellaro.
[NOTE]
57 M. Cucchi, Introduzione, in R. Scotellaro, Tutte le poesie. 1940-1953, a cura di F. Vitelli, Mondadori, Milano 2004, pp. V,VIII.
58 Cfr. [quarta di copertina in] U. Bellintani, Nella grande pianura, Mondadori, Milano 1998.
Marco Corsi, Canone e Anticanone. Per la poesia negli anni Novanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2012

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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