La violenza del mondo secondo Martin Scorsese

Martin Scorsese al Festival internazionale del cinema di Berlino (2008). Fonte: Wikipedia

Esponente della New Hollywood, Scorsese è considerato uno dei più importanti registi della storia del cinema. Abbiamo accennato al fatto che egli tende a rappresentare un mondo crudo e violento; lo fa perché quello è il modo in cui è fatto il mondo secondo lui: la realtà in cui viviamo è così. Questo modo di vedere le cose è influenzato dalla vita stessa di Scorsese. Originario di New York, vive la maggior parte della sua infanzia e adolescenza a Manhattan in una delle vie principali del quartiere della cosiddetta Little Italy, luogo in cui gli episodi violenti e le lotte tra gang erano all’ordine del giorno. Anche a causa dei suoi problemi di salute, Scorsese non si integrerà mai del tutto nella vita del quartiere. <2 Saranno proprio queste difficoltà che lo avvicineranno al cinema. Egli scrive: “I miei ricordi di spettatore sono indissolubilmente legati alla famiglia. Io e mio padre provavamo un senso di tacita comunione spirituale condividendo quelle immagini e quelle emozioni straordinarie. Tutto questo mi ha segnato a tal punto, fino a oggi, che l’essenza del mio desiderio e del mio bisogno di esprimermi attraverso il cinema ne scaturiscono direttamente”. <3
Scorsese ha scoperto il cinema quando era bambino; i primi film erano quelli degli anni ’40 e ’50, in particolare i capolavori del cinema italiano visti in compagnia della sua famiglia, di origine italiana: tali pellicole, sostiene, lo hanno aiutato a costruire la sua visione del cinema e della vita. <4 Per la famiglia Scorsese era un rito settimanale quello di riunirsi davanti al televisore e quello che colpiva il giovane Martin, oltre allo spettacolo offerto dalle immagini, erano le reazioni emotive dei parenti. Per i nonni, arrivati dell’Italia decenni prima, le immagini della tv e del cinema erano un viaggio nello spazio e nel tempo, un’apertura sulla terra d’origine. <5 Tali immagini erano un rifugio dal mondo esterno del quartiere, nel quale tentavano di sopravvivere evitando ogni coinvolgimento possibile con la violenza della mafia che li circondava. Era un costante e difficile tentativo di farsi rispettare senza diventare gangster. Per questo motivo le immagini del neorealismo italiano li compensavano di una vita italiana non vissuta e il cinema diventò l’unico modo di costruirsi un passato, una patria spirituale, di ritrovare un’identità. <6
“Guardare i film italiani insieme a loro [i nonni] ha permesso a Martin di capirli, allargando improvvisamente il proprio mondo di bambino. Scoprendo, nel cinema, le sue radici. Cercando in quelle immagini un’indicazione, sul bivio che il suo quartiere impone: unirsi alle gang mafiose o farsi prete. […] Salute precaria, scarsa vocazione alla violenza fisica, flebile resistenza al peccato avranno il loro peso nell’invenzione di una terza via, molto personale, segnata dalla magnifica ossessione del cinema”. <7
Scorsese non si allontanerà mai dalle sue origini sia in termini di luogo, New York, che di contenuti e fatti, ovvero la violenza del mondo delle gang. A questo si aggiunge il fatto che a scuola di cinema la prima lezione che riceve è quella di raccontare “ciò che già sai e ciò che già sei”. Per questo saranno diversi i film ambientati a New York, così come quelli sulla vita da gangster e ancora di più, quasi tutti, quelli che avranno la violenza (nelle sue diverse forme) come sfondo e soggetto principale.
Un ruolo importante nei suoi film lo ha anche la religione, tanto è vero che da giovane una delle sue aspirazioni era quella di diventare prete. Grazie alla religione ha approfondito il concetto di moralità, di cosa è giusto e cosa sbagliato, del bene e del male, tutti concetti poi tornati utili per scrivere e girare film. L’importanza della religione culmina ne “L’ultima tentazione di Cristo” <8, film che provocò un grande scandalo, forti proteste e minacce di boicottaggio. “Il mio film – ebbe a dire Scorsese – descrive Cristo come completamente divino e al tempo stesso completamente umano, solo così infatti la sua crocifissione ha un senso, se Gesù fosse solamente divino e non capace di provare le sensazioni di un uomo non proverebbe nessuna sofferenza nella crocifissione, e non avrebbe nessun valore per l’umanità. Il mio film è profondamente religioso e rispettoso della cristianità, ma non è stato capito” <9. Ciò che fa è dunque descrivere Gesù come una divinità ma prima di tutto come un uomo, il quale più volte è sul punto di cedere alla tentazione di vivere come una persona normale e di rifiutare il destino predispostogli da Dio.
Dalla filmografia di Scorsese si evince chiaramente come fin dai suoi primi film, e così in modo coerente in quelli successivi, i suoi interessi sono rivolti fondamentalmente allo studio dell’uomo, ovvero delle sue paure, ossessioni, peccati, debolezze in un mondo di ingiustizie, quello della vita vera, con sue le conseguenze reali (a New York e in un mondo di gangster).
Per esempio con “The Aviator” <10, film basato sul produttore di Hollywood Howard Hughes, scarnifica la vita del protagonista mostrandone tutte le paure e ossessioni, come il disturbo ossessivo-compulsivo, esibendo le sue manie di grandezza molte volte irrazionali, ma senza criticarle o elogiarle, mostrando come una persona capace di grandi cose non riesca a capire quando fermarsi, e volando troppo in alto finisce per bruciarsi, proprio come il protagonista del film. <11 Un altro film che affronta temi simili è “Shutter Island” <12, un thriller psicologico in cui il protagonista, un agente dell’F.B.I., si trova ad affrontare, durante un’indagine in un inquietante ospedale psichiatrico, le sue paure e i suoi traumi irrisolti. <13
Scorsese affronta queste tematiche legate alla psiche dell’uomo, inserendole in un’atmosfera al confine tra l’horror e thriller. Ci sono anche forme più sottili e invisibili, una violenza più simbolica come quella di altri progetti come “L’età dell’innocenza” <14. Il film, che è un’opera in costume ambientata alla fine dell’Ottocento nell’alta borghesia newyorkese, è una profonda analisi dei rapporti amorosi dell’epoca, che denuncia l’ipocrisia e i perbenismi della borghesia stessa; è uno dei pochi film dove la violenza non è esplicita ma sottotraccia, insita nei comportamenti della società di quel periodo, che non tollerava trasgressioni alla moralità.
Questi sono alcuni film in cui la violenza esplicita non è presente, noi invece ci concentreremo su quelli in cui lo è; e lo è fin dalle sue prime pellicole, quelle ispirate dal luogo in cui è cresciuto. Già uno dei primi cortometraggi di Scorsese risalente al lontano 1967, “La grande rasatura”, interpretato da diversi critici come un’accusa alla guerra del Vietnam, preannuncia quelli che saranno gli elementi della sua lunga serie di film.
La violenza è dunque il filo conduttore della sua filmografia, anche se questa assume e viene presentata sotto diverse forme; quella da lui privilegiata è quella dei gangster, reale e concreta nei suoi effetti.
Quello che fa Scorsese sin dal principio è dunque iniziare a riprodurre l’ambiente e l’atmosfera dei gangster di Little Italy, strada di soli immigrati siciliani a Manhattan. Egli osserva e vive da vicino la malavita italo-americana senza entrarvi mai in diretto contatto. Così racconta: “È questo l’ambiente dove sono cresciuto: i miei genitori non erano così, ma vivevano circondati dal crimine organizzato […] era come avere a che fare con un’aristocrazia, un tipo di società rigidamente divisa in classi. Non che ci fosse un omicidio tutti i giorni, ma c’era sempre questa sensazione di pericolo, il timore di spingersi troppo in là […]. La fine di ‘Mean streets’ è ispirata a un fatto vero”. <15
Scorsese gravita attorno a questa vita e ne assorbe l’aspetto antropologico, poi riprodotto in maniera magistrale in “Quei bravi ragazzi” <16. Anche se i gangster popolano il suo cinema, da “Mean Streets” <17 a “The Irishman” <18, il vero e onnipresente filo conduttore della sua filmografia, in cui i gangster certamente rientrano, è soltanto uno: la violenza <19. In particolare, la violenza istintiva dell’uomo e il suo rapporto con la colpa, il peccato e la religione rappresentati attraverso uno stile caratterizzato da sequenze virtuosistiche e violenza iperrealista. Le ispirazioni sono quelle delle “Nouvelle Vague” e del neorealismo italiano, con Luchino Visconti e John Cassavetes che diventano le pietre angolari del suo linguaggio <20.
Scrive Giuseppe Sansonna: “Il neorealismo scoperto in tv nell’infanzia diventa uno strumento di osservazione, per comprendere la realtà che lo circonda. Scopre che nei dettagli minimi può risuonare un macrocosmo, avviando la sua formazione da antropologo visuale. […]. Il cinema italiano non restituisce solo asprezze della realtà, alimentando la sua vocazione al verismo”. <21
Possiamo parlare di una finalità morale, etica o responsabile di fare film da parte di Scorsese? Vediamo che per Scorsese c’è una connessione tra il nostro modo di intendere il mondo e il cinema, con quest’ultimo che può fungere come mezzo utile per un confronto volto a una migliore comprensione di noi, delle nostre vicende e, appunto, del mondo: “ora più che mai dobbiamo ascoltarci a vicenda e capire come intendiamo il mondo, e il cinema è il modo migliore per farlo” <22. A motivare questo impegno morale è forse anche la rilevante importanza attribuita, come detto, alla religione nei suoi film. Questa profonda tensione morale non pervade solo i film dall’evidente tensione spirituale ma ogni narrazione di Scorsese, in cui i protagonisti si trovano davanti a un bivio tra legge e crimine, normalità e follia, autocontrollo e tentazione: è il caso del lucidissimo delirio paranoico, tra ascesi e schizofrenia, di Travis Bickle, sospeso tra follia omicida e redenzione in “Taxi Driver”. <23
La violenza che a noi più interessa qui non è però quella simbolica ma quella più esplicita, quella che lo spettatore può cogliere immediatamente e visivamente senza articolati artifici narrativi. Questa è la violenza di “Taxi Driver” <24 e di “Quei bravi ragazzi”. Per questo guarderemo in modo più approfondito ai film legati all’ambiente dei gangster. Lo faremo facendoci guidare da quello che può essere considerato il capostipite di questa serie e probabilmente il capolavoro di Scorsese: “Taxi driver”.
[NOTE]
2 D. Skinner, M. Scorsese, 2013, National Endowment for the Humanities, https://www.neh.gov/about/awards/jefferson-lecture/martin-scorsese-biography, ultimo accesso: 12-05-2023.
3 Cfr. Scorsese, Il bello del mio mestiere. Scritti sul cinema, Minimum fax, Roma, 2002, p. 60.
4 Cfr. ivi, p. 7.
5 G. Sansonna, La formazione di un antropologo visuale, “Linus”, LVII, n. 670 (2021), pp. 72-75, qui p. 72.
6 Ibidem.
7 Ivi, p. 73.
8 M. Scorsese, L’ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ), produzione, Universal Pictures, Cineplex Odeon Films, 1988.
9 R. Schickel, M. Scorsese, Conversazioni su di me e tutto il resto, Bompiani, Milano, 2010, p. 228.
10 M. Scorsese, The Aviator, Warner Bros. Pictures, Miramax Films, Appian Way Productions, Forward Pass, IMF, Initial Entertainment Group, 2004.
11 Cfr. G. Zappoli, Dicaprio in un’interpretazione memorabile nel primo film biografico scorsesiano, 2017, Mymovies.it, https://www.mymovies.it/film/2004/theaviator/, ultimo accesso: 12-05-2023.
12 M. Scorsese, Shutter Island, Paramount Pictures, Phoenix Pictures, Sikelia Productions, Appian Way Productions, 2010.
13 Cfr. “Shutter Island (2010)”, https://www.imdb.com/title/tt1130884/, ultimo accesso: 26-08-2023.
14 M. Scorsese, L’età dell’innocenza (The Age of Innocence), Columbia Pictures, Cappa Production, 1993.
15 Scorsese, Il bello del mio mestiere, cit., p. 134.
16 M. Scorsese, Quei bravi ragazzi (Goodfellas), Warner Bros., 1990.
17 M. Scorsese, Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (Mean Streets), Taplin-Perry-Scorsese Productions, 1973.
18 M. Scorsese, The Irishman, TriBeCa Productions, Sikelia Productions, Winkler Films, 2019.
19 Cfr. V. Verbaro, Martin Scorsese. Metodo e ossessioni di un grande regista, 2021, Framed magazine, https://www.framedmagazine.it/martin-scorsese-focus/, ultimo accesso: 26-08-2023.
20 Cfr. Scorsese, Il bello del mio mestiere, cit., p. 7.
21 G. Sansonna, La formazione di un antropologo visuale, cit., p. 73.
22 S. Sferzi, Il libro dei film, Gribaudo, Milano, 2020, p. 227.
23 Cfr. A. Ercolani, Tra crimine e santità, “Linus”, LVII, n. 670 (2021), pp. 55-58, qui p. 56.
24 M. Scorsese, Taxi driver, Bill/Phillips Productions, Italo-Judeo Productions, 1976.
Federico Giacomel, Violenza sullo schermo. L’analisi delle neuroscienze e il cinema di Martin Scorsese, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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