Concluso e montato in tempi record, ‘La grande guerra’ trionfa a Venezia, dove riceve il celebre Leone d’oro ex aequo con ‘Il Generale della Rovere’ di Rossellini

Il film di Monicelli [La grande guerra] tuttavia muove i primi passi all’insegna delle polemiche, suscitando un acceso dibattito fin dalla conferenza stampa di presentazione <51. La diatriba nasce sulle pagine de «La Stampa» <52, coinvolgendo in prima battuta giornalisti e intellettuali prevalentemente estranei al cinema. La preoccupazione è che il film scritto da Age e Scarpelli getti discredito sulla memoria dei reduci e dei caduti della Grande guerra, coprendo di ridicolo l’Italia e il suo passato recente. L’invettiva di Simplicissimus, pseudonimo dietro cui si cela Paolo Monelli <53, prende le mosse da un articolo apparso su «Il Paese», a firma di Giorgio Bontempi, nel quale veniva riportata a grandi linee la trama del progetto (ancora ai primordi) <54. Dell’articolo di Bontempi, Monelli riprendeva e condannava l’espressione «eroi della sana paura» con cui il giornalista de «Il Paese» indicava i due protagonisti del film. L’espressione riecheggerà anche nei successivi interventi polemici di Gaetano Baldacci (La “sana paura”) e di Giovanni Ansaldo (Sana paura) <55. Si sommano a queste voci quelle dei reduci, delle Associazioni di arma e anche dei Cappellani militari che sperano in un intervento dei Ministri dello Spettacolo e della Difesa <56. La fazione opposta vede, tra gli altri, gli interventi di Arrigo Benedetti, Vinicio Marinucci, Maurizio Liverani <57, che accusano la controparte di conformismo patriottardo e di censura preventiva. Di fronte a questo stato di fatti De Laurentiis prende la parola intervenendo nel dibattito pubblico e, attraverso una lettera aperta a tutti i quotidiani italiani, cerca di chiarire la sua posizione e quella degli autori:
“Il mio presente ed il mio passato di produttore, debbono essere garanzia, per il signor Simplicissimus, dello spirito del film che mi preparo a produrre, film lontanissimo dall’essere anti-patriottico, ma al contrario esaltante in chiave antirettorica l’eroismo dei nostri combattenti e le pagine più fulgide della nostra guerra vittoriosa”.
Il produttore assicura, in modo forse troppo assertivo, che il film avrà come «principale proponimento l’esaltazione della qualità del soldato italiano» <58. Se le polemiche sembrano momentaneamente sedate (Simplicissimus si dice soddisfatto delle rassicurazioni di De Laurentiis e attende di vedere l’opera compiuta), arriva presto la tagliente risposta de «Il Giorno», che fin dal titolo, Signor De Laurentiis lasci stare la guerra ’15-’18, appare come un attacco personale al produttore:
“Conosciamo benissimo la carriera di De Laurentiis, produttore sagace ma improbabile frequentatore di cine-club. Da «Riso amaro» ad «Anna», da «Il brigante Musolino» ad «Attila» da «Guerra e pace» a «La tempesta», De Laurentiis non ha cercato altro che di stupire le folle con ciò che è grandioso, multiforme e variopinto. Nulla di male perché il cinema è anche questo. Non bisogna però, quando si è liberali come si professa il noto produttore, confondere le carte in tavola. Gli esperti del cinematografo, i critici, i giovani che cercano nel cinema qualcosa di nobile e alto non confonderanno mai Dino De Laurentiis con il produttore francese dei film di Bresson” <59.
Il percorso professionale del produttore, cui si somma ovviamente quello di attori e regista, viene dunque usato come evidenza della inadeguatezza rispetto a un tema tanto rilevante. «È questione di sensibilità, egregio De Laurentiis – continua l’anonimo cronista – ci sono settori dove siamo estremamente sensibili» <60. Ma De Laurentiis è risoluto a partire con le riprese, «realizzerò la pellicola volenti o nolenti i demagoghi pseudo-patriottici, i difensori di un cinema vuoto e mediocre» <61. Mentre è in corso una interrogazione parlamentare da parte dei missini Calabrò e Roberti che vorrebbero impedire l’impiego di reparti dell’esercito nelle scene di massa, presso la Revisione cinematografica preventiva si svolge una serrata trattativa tra De Pirro e De Laurentiis, che si conclude con il nulla osta di Andreotti <62. Il film può finalmente partire.
Anche in questo caso la lavorazione è seguita con interesse dalla stampa, tanto più che si paventano manifestazioni di protesta, poi sventate <63. Concluso e montato in tempi record, La grande guerra trionfa a Venezia, dove riceve il celebre Leone d’oro ex aequo con Il Generale della Rovere di Rossellini <64. Le polemiche nazionalistiche sembrano placarsi <65 e persino il Simplicissimus, Paolo Monelli, potrà scrivere una lunga e appassionata recensione, firmandosi finalmente col suo vero nome. Il giudizio nel complesso è positivo ma Monelli prova ad argomentare le ragioni per cui la pellicola dispiaccia «a noialtri reduci». Dopo un lungo elenco di inesattezze che riguardano la ricostruzione bellica, individua come problema proprio la caratterizzazione dei protagonisti:
“Due soldati […] che riescono veramente antipatici, nonostante la bravura un po’ fredda e distaccata di Gassman, e l’arte un po’ troppo da macchietta alla Maldacea di Sordi. Ma profondamente antipatici, e non perché abbiano paura, ma perché la sbandierano, spavalda, specie il Busacca, invece di cercare di farsela perdonare, come avveniva nella realtà, con gesti dimessi e umili. E non hanno un briciolo di solidarietà umana con i compagni. Né li riscatta la fine che arriverebbe inattesa, se non ce l’avessero strombazzata fin dai primi accenni; inattesa perché non c’è nessun presupposto plausibile né morale […] alla fucilazione” <66.
Quel tratto ambiguo nella costruzione dei personaggi, quella «misura umana» <67 di Busacca e Jacovacci di cui parlerà Moravia (e che Monelli liquida come «antipatia»), è invece il tratto saliente del film. Tutta l’operazione de La grande guerra si regge in definitiva sui tentennamenti dei due soldati e sul tragico finale. Monicelli a posteriori lamenterà la cecità della critica di fronte all’«elemento di rottura», cioè al «capovolgimento dell’immagine di una guerra eroica, intangibile, enricototesca», impegnata com’era a biasimare il «bozzettismo» e l’«eccessiva importanza data ai due comici» <68. Tuttavia, pur evidenziando limiti e debolezze del film, la novità non passa certo inosservata ai critici più attenti. Micciché che, come vedremo, sarà in prima linea nella battaglia contro il filone storico-resistenziale che da quel 1959 prende avvio, individua invece ne La grande guerra il «frutto di una consapevolezza ideologica» dei suoi autori, riconoscendo senza ombra di fraintendimenti la valenza di quel finale:
La grande guerra propone, al di là dei risultati strettamente artistici, qualcosa di nuovo. Per la prima volta – si rifletta bene: per la prima volta – nel cinema italiano – la guerra è stata vista […] con occhio assolutamente nuovo. L’eroismo come frutto dell’anarchia individuale, l’inutilità del sacrificio popolare di fronte alle classi dirigenti, una visione antieroica (contro il mito dell’eroismo consapevole, non contro quella forma di reazione individuale che porterà i due protagonisti alla morte) della guerra, sono nel nostro cinema dei tabù che per anni, per decenni nessuno ha osato toccare” <69.
Infine, un altro aspetto decisivo riguarda la performance attoriale dei protagonisti. In particolare è Oreste Jacovacci a raccogliere i maggiori consensi <70. Sordi riceve le più disparate manifestazioni pubbliche di apprezzamento <71 e questa volta anche la critica non manca all’appuntamento. Esemplare è la recensione di Giuseppe Marotta che, come ricorda Fofi <72, era stato tra i critici più ostili all’attore. Marotta costruisce un interessante paragone tra le doti attoriche di Sordi e quelle di Gassman, a tutto vantaggio delle prime:
“Meraviglioso l’Oreste di Alberto Sordi. Che attore stiamo guadagnando in lui, che attore. Non mi uscirà più di mente il suo “Non voglio morire… io sono un vigliacco!” urlato mentre gli austriaci lo trascinano al muro. L’Oreste di Sordi è il genuino ritratto, spregevole o ammirevole che appaia, dell’istinto di conservazione. Sordi ha meritato il suo trionfo su Gassman. Il fatto è che Alberto dimentica di volersi bene, quando recita. Vittorio no” <73.
Sulla stessa linea interpretativa anche Luigi Compagnone che parla di Sordi come di «un grandissimo attore che si lascia sedurre, violentare, annullare dal suo personaggio. Non recita più; vive, semplicemente» <74. Se Gassman resta imbrigliato nella sua recitazione teatrale, a tratti manieristica, la performance di Sordi inizia così ad essere percepita come estremamente “naturale”, secondo una errata interpretazione che si è sedimentata nel sentire collettivo <75.

[NOTE]
51 Per una ricostruzione del dibattito cfr. M. MONICELLI, La grande guerra, a cura di F. CALDERONI, Nuova Universale Cappelli, Bologna 1979, pp. 53-84; T. KEZICH, A. LEVANTESI, Dino De Laurentiis, la vita e i film, Feltrinelli, Milano 2001; S. CANTONI, “Il nemico è quello dietro di noi”: se il cinema italiano mette in dubbio il mito della Grande Guerra, in «Studi e ricerche di storia contemporanea», n. 82, dicembre 2014, pp. 19-44.
52 Simplicissimus [Paolo MONELLI], Due “eroi della sana paura” in un film che si dice italiano, in «La Stampa», 10 gennaio 1959.
53 Interventista della prim’ora, poi giornalista e fervente intellettuale.
54 G. BONTEMPI, Sordi e Gassman eroi della paura in una nuova pellicola di Monicelli, in «Il Paese», 9 gennaio 1959. Per la risposta di Bontempi a Simplicissimus si veda G. BONTEMPI, De Laurentiis e Monicelli accusati di lesa patria, in «Il Paese», 13 gennaio 1959; per la contro-risposta cfr. Simplicissimus, «I due eroi della sana paura», in «La Stampa», 16 gennaio 1959. Nel finale dell’articolo l’autore tradisce la sua identità citando il passo di un suo libro di memorie: P. MONELLI, Le scarpe al sole: cronaca di gaie e tristi avventure d’alpini, di muli e di vino, Cappelli, Bologna 1921.
55 G. BALDACCI, La “sana paura”, in «Il Giorno», 11 gennaio 1959; G. ANSALDO, Sana paura, in «Il Mattino», 12 gennaio 1959. Ma non saranno i soli, al coro si uniscono anche gli interventi di G. MAROTTA, Guerre secche e guerre umide, guerre di ieri e di oggi, chi ne vuole?, in «L’Europeo», n. 693, 25 gennaio 1959 e G. PIOVENE, Un fascismo in camice bianco, in «Epoca», n. 434, 25 gennaio 1959.
56 s.a., Specchio dei tempi. Tante lacrime, tanto sangue per suscitare risate nel mondo?, in «La Stampa», 13 gennaio 1959; s.a., Protesta dei Cappellani Militari contro il film «La grande guerra», in «Vita», s.d., 1960.
57 Cfr. A. BENEDETTI, Diario Italiano. La comicità militare, in «L’Espresso», n. 4, 25 gennaio 1959; V. MARINUCCI, Anche al cinema la guerra è bella ma scomoda, in «Momento Sera», 19 gennaio 1959; M. LIVERANI, Sordi e Gassman a Vittorio Veneto, in «Paese Sera», 10 gennaio 1959.
58 D. DE LAURENTIIS, «I due eroi della sana paura», lettera a «La Stampa», 16 gennaio 1959.
59 s.a., Signor De Laurentiis lasci stare la guerra ’15-’18, in «Il Giorno», 24 gennaio 1959.
60 Ibidem. Come vedremo, le stesse perplessità sulla commistione di registri linguistici, sull’uso del comico nel racconto della guerra, ritorneranno nel giro di qualche anno sulle riviste di cinema specializzate.
61 Cfr. T. KEZICH, A. LEVANTESI, Dino De Laurentiis, cit., pp. 143-144.
62 Per una ricostruzione delle vicende legate alla genesi del film cfr. M. COMAND, La caduta del mito: La grande guerra (1959), in Ead., Commedia all’italiana, cit., pp. 59-70, ma soprattutto F. FRANCESCHINI, Monicelli e il genio delle lingue. Varietà dell’italiano, dialetti e invenzione linguistica, Felici, Pisa 2014, pp. 153-169, che include la riproduzione di documenti inediti sulle trattative tra gli autori e la censura.
63 I giornalisti accorsi sul posto cercano di intercettare i due attori. Gassman è sfuggente, «non si capisce dove si nasconda quando non è sul set […]. Le ragazze del paese alla sera gli portano fiori all’albergo, ma non lo vedono quasi mai»; Sordi invece no, si intrattiene con le comparse e si fa intervistare dai giornalisti sul posto. Molte di queste cronache sono costruite retoricamente sull’alterità tra i consueti personaggi di Sordi e il “nuovo” ruolo che è chiamato a interpretare. «L’avvenire d’Italia» ad esempio titola: L’americano di Kansas City diventa eroe, e nell’occhiello: Non canterà “Nonnetta” nelle trincee della Grande guerra. I cronisti sembrano preoccupati che possa ricadere nella fissità delle sue solite performance. Cfr. U. ANDALINI, Alberto Sordi in grigioverde: l’americano di Kansas City diventa eroe, in «L’avvenire d’Italia», 15 giugno 1959.
64 Monicelli racconta della sintomatica differenza di ricezione tra la proiezione per la stampa e quella aperta al pubblico: «La grande guerra fu accolto alla Mostra di Venezia abbastanza tiepidamente alla proiezione per la critica; all’uscita alcuni di loro erano molto sfuggenti, sicché capii che non c’erano delle grandi probabilità di ottenere qualcosa. Invece alla proiezione serale di gala, e anche a quella per il pubblico, il film ottenne un successo talmente strepitoso che sbalordì tutti quanti: applausi a scena aperta, grida di gioia. Ci fu un ripensamento da parte dei critici», M. MONICELLI, L’arte della commedia, a cura di L. CODELLI, Dedalo, Bari 1986, p. 64.
65 Va tuttavia rilevata una autorevole voce fuori dal coro, quella dello scrittore Carlo Emilio Gadda. Convinto, dall’amico Attilio Bertolucci, a mettere nero su bianco i propri pensieri, restituisce l’esperienza dolorosa della visione in sala. «Il pubblico ride, ride, a molte battute o a molte scene del film: a troppe battute, a troppo facili scene […]. Il pubblico si sganasciò dalle risa. Nessun pubblico francese o tedesco riderebbe a quel modo se i sacrificati, se i nomi in gioco, fossero di Francia o di Germania». Cfr. C.E. GADDA, Dal Carso alla sala di proiezione, in «Settimo giorno», n. 50, 10 dicembre 1959.
66 P. MONELLI, Vietato ai maggiori di cinquant’anni, in «La Stampa», 15 novembre 1959.
67 A. MORAVIA, Due eroi inconsapevoli, in «L’Espresso», 15 novembre 1959.
68 M. MONICELLI, L’arte della commedia, cit., p. 65.
69 L. MICCICHÉ, Un grande ritorno del nostro cinema, in «Avanti!», 8 settembre 1959. Corsivo mio.
70 Alla Mostra del cinema di Venezia Alberto Sordi ottiene un premio speciale «per la sua interpretazione», un Nastro d’argento e un David di Donatello, ex-aequo con Gassman, come miglior attore protagonista.
71 Tra queste, una lunga lettera aperta del tenore Giacomo Lauri Volpi, reduce della Prima Guerra Mondiale, che interpellando direttamente l’attore («Bravo il nostro Sordi!») restituisce una testimonianza commossa della sua esperienza. G. LAURI VOLPI, Caro Oreste Jacovacci dei miei venti anni in grigioverde…, in «Momento Sera», 11 novembre 1959.
72 Cfr. G. FOFI, Alberto Sordi, cit., p. 120.
73 G. MAROTTA, Alberto Sordi, nei film, dimentica di volersi bene; Gassman purtroppo no, in «L’Europeo», 4 novembre 1959.
74 L. Comp. [Luigi COMPAGNONE], La grande guerra, in «Il Borghese», 12 novembre 1959.
75 Su questi aspetti si rimanda al Capitolo IV, in particolare pp. 124-127.

Francesca Cantore, La costruzione dell’immagine pubblica di Alberto Sordi. Discorsi sociali, carattere nazionale e modelli di mascolinità, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, 2021

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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