Di certo la personalità di Kojève è tale da non lasciare indifferenti

La vita quanto meno avventurosa di Kojève si intreccia con la stesura di scritti importanti e di eventi storici significativi: dall’infanzia e adolescenza trascorse a Mosca, dove nasce nel 1902 e rimane fino al 1920, all’esilio in Germania prima a Berlino e poi ad Heidelberg, dove segue le lezioni di Karl Jaspers, con cui si laurea in filosofia con una tesi sulla metafisica del russo Solov’ëv, fino all’approdo in Francia a Parigi nell’estate del 1926. Da studioso di filosofia e non solo – l’interesse per la religione e la scienza, la passione per il buddismo e la civiltà orientale a interprete di Hegel negli anni 1933-‘39 durante i quali tiene presso l’École Pratique des Hautes Études di Parigi le famose lezioni sulla “Fenomenologia dello spirito” di Hegel, fino alla partecipazione alla seconda guerra mondiale prima come soldato e poi tra le fila della Resistenza francese. Infine dal 1945 al 1968, data della sua morte, Kojève sembra vivere una seconda vita: abbandonato per sempre l’insegnamento e l’ambiente accademico, ricopre la carica di uomo di Stato chiamato da Robert Marjolin, suo allievo ai tempi del seminario francese, come eminenza grigia dell’Amministrazione francese presso la Direction des relation economiques extérieures, la DREE. Dal suo primo impegno nell’OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica), organismo che dal 1948 riunisce i 18 principali stati dell’Europa occidentale ed è deputato a ripartire tra i vari paesi i finanziamenti del piano Marshall, per creare un mercato unico europeo in grado di integrare le economie nazionali mediante la libera circolazione delle merci e delle monete; all’impegno con il GATT (General agreement on tariffs and trade) per incentivare lo sviluppo del terzo mondo; fino ai maggiori successi in campo politico ottenuti dal 1959 nell’ambito del Kennedy round e tra il 1964 e il 1967 nei negoziati sulle preferenze tariffarie atte a favorire l’esportazione dei prodotti agricoli dei paesi in via di sviluppo.
Di certo la personalità di Kojève è tale da non lasciare indifferenti. Fuori dagli schemi accademici, non riveste il ruolo del professore della Sorbonne, tuttavia determina le sorti di almeno due generazioni di studiosi.
Pur intraprendendo una brillante carriera che lo porterà a far parte di un’élite internazionale, non abbandonerà mai la filosofia, continuando a studiare e ad essere un punto di riferimento degli intellettuali più importanti del secondo dopoguerra. In varie circostanze sostiene di essere pigro ma scrive migliaia di pagine; dice di essere vanitoso ma non pubblica che qualche articolo o a seguito della sollecitazione dei suoi amici, primo tra tutti Queneau; afferma di essere uno snob, ma lotta con azioni concrete per i diritti economici e sociali dei Paesi più poveri. E ancora: da funzionario zelante dello Stato francese alimenta il dubbio di essere una spia al servizio di Stalin: quando questi morì pare abbia detto: “Ho perso un amico!”; si definisce la “coscienza di Stalin” ma stringe amicizie profonde tra i Gesuiti, con i quali intrattiene una costante frequentazione intellettuale.
Insomma, un enigma in cui le contraddizioni rimangono tali forse, verrebbe da suggerire, per chi non sia sufficientemente hegeliano! Allora vale la boutade che spesso citava: “La vie humaine est une comédie. Il faut la jouer sérieusement”.
In ogni caso il multiverso orizzonte di Kojève ancora oggi suscita vasto interesse tra gli studiosi e tante sono le pubblicazioni di suoi inediti e di interpretazioni storiografiche che in questi anni hanno alimentato e alimentano il dibattito su di lui in Italia e all’estero.
Altrettanto articolata è la ricostruzione della vasta e varia produzione di Kojève tra opere edite, dal 1926 al 1968, volumi e scritti postumi, pubblicati dal 1970 fino a oggi, parte dei quali non ancora tradotti in italiano, perciò in lingua per lo più francese e tedesca ma anche inglese e russa. Per esempio è dell’aprile del 2008 la pubblicazione in Italia di uno degli scritti più interessanti e ancora inesplorati di Kojève “L’ateismo”, cui il presente lavoro dedica una parte dell’argomentazione, sostenendo che questo tema sia il fil rouge nella costruzione di tutto il sistema filosofico kojeviano.
Il presente studio analizza il clima filosofico francese legato alla Hegelrenaissance per meglio comprendere la portata del famoso seminario di Kojève sulla “Fenomenologia dello spirito” di Hegel. Perciò la ricerca esamina sia l’opera dei tre grandi interpreti hegeliani, Jean Wahl, Alexandre Koyré e Jean Hyppolite, accomunati, sull’influsso diltheyano, da un interesse per l’Hegel degli scritti giovanili e della “Fenomenologia”, sia la consolidata bibliografia sugli studi hegeliani in Francia. Questi, dopo un lungo periodo di “hegelofobia”, secondo l’espressione usata da Alexandre Koyré nel lungo articolo “Rapport sur l’état des études hégéliennes en France” del 1930, iniziano nel 1929 con la pubblicazione de “Le malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel” e proseguono con i successivi scritti wahliani, in cui il tema della coscienza infelice, ovvero della tensione/scissione tra essere e dover essere, tra reale e razionale, diventa centrale per scardinare la struttura puramente formale e logica della filosofia hegeliana, presentando un Hegel romantico e mistico, vicino a tematiche esistenzialiste.
Negli stessi anni il russo Alexandre Koyré pubblica dapprima un articolo “Note sulla lingua e la terminologia hegeliane” e successivamente “Hegel à Jéna”, dai quali emerge una lettura hegeliana che risente delle nuove correnti filosofiche europee, come la fenomenologia e l’esistenzialismo. Nel 1933 Koyré abbandona la cattedra di filosofia delle religioni presso all’École Pratique per un incarico all’università del Cairo e affida il corso a Alexandre Kojève, di qualche anno più giovane, al quale è legato da una lunga e profonda amicizia, nata in Germania nel 1926.
In questo clima filosofico si inserisce il lavoro di Kojève, il quale fino al 1939, anno dello scoppio della seconda guerra mondiale, terrà ogni lunedì pomeriggio le sue lezioni, ormai leggendarie, che verranno riunite e pubblicate nel 1947 ad opera del suo allievo e amico Raymond Queneau. Soltanto qualche mese prima Jean Hyppolite aveva dato alle stampe “Genèse et la Strucure de la Phénoménologie de l’Esprit de Hegel”. Dunque in poco più di un decennio gli studi hegeliani in Francia subiscono un radicale mutamento, influenzando in modo decisivo anche l’ambiente filosofico europeo.
L’importanza che rivestono le lezioni tenute da Kojève è testimoniata non solo dal calibro degli uditori, quali Lacan, Bataille, Blanchot, Queneau, Merleau-Ponty, Weil, Breton, solo per citarne alcuni, ma anche dall’influenza esercitata nelle generazioni successive fino a Derrida e Nancy. Addirittura si può sostenere che la stessa filosofia francese dell’ultimo mezzo secolo, sia in qualità di interprete di Hegel sia come espressione del pensiero filosofico contemporaneo, non può non tener conto del fatto che si sia mossa sulla traccia dell’Hegel di Kojève.
Perciò colpire l’ermeneutica kojeviana di Hegel vuol dire paradossalmente scuotere dalle fondamenta la stessa filosofia francese.
Carla Guetti, Alexandre Kojève tra filosofia e potere ovvero l’azione politica del filosofo, Tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Anno Accademico 2007-2008

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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