Già hai dato il meglio, non strafare

«Dei molti pregiudizi che la Germania s’è vista riversare addosso negli ultimi mesi, almeno uno le è stato risparmiato: non si può dire che sia stata noiosa. I suoi osservatori, spesso cittadini dell’Europa Unita costretti a riconoscersi come suoi riluttanti sudditi, sono passati in poco tempo dal vederla schiacciare la Grecia con un’esibizione di potere talmente ottusa da non renderla più credibile nel ruolo di custode delle regole comuni, al trovarsi la sorpresa del nuovo colpo di mano con cui apriva le porte ai profughi siriani. […] Come era possibile che quegli stessi cittadini che – come rileva Franco Buffoni – avrebbero votato all’80% contro un’estensione del debito greco in un referendum analogo a quello indetto da Alexis Tspiras, pur sapendo del disastro sociale che si era creato in Grecia, sarebbero poi accorsi alle stazioni e negli stadi con cartelli e striscioni Refugees Welcome! ma anche coperte, letti da campeggio, viveri medicinali giocattoli e tutto quanto potesse dare concretezza al loro benvenuto? […] Come si spiegava quel voltafaccia che ad un tratto rendeva i tedeschi molto più simpatici, però in fondo non meno unheimlich, perturbanti nella loro diversità? Credo che tra questi due aspetti non ci sia una contraddizione inconciliabile. I tedeschi si mostravano accoglienti con i rifugiati perché erano scampati a condizioni terrificanti che rendevano doveroso aiutarli, mentre i greci erano stati dipinti in maniera martellante come il cugino dalle mani bucate, quasi affetto da un vizio incurabile come il gioco d’azzardo, e per quanto malridotto uno così cercherà sempre di sfruttarti e fregarti. […] La tipicità tedesca rimane iscritta in una minor disposizione a passar sopra alle altrui scorrettezze, vere o presunte. […] L’aspetto centrale che Buffoni mette a fuoco con il suo sguardo di poeta-citoyen (cittadino) […] è che la Germania e i suoi abitanti si trovino oggi ad affrontare un inedito passaggio d’identità e di ruolo. Non sono più i tedeschi di una volta, i fanatici conquistatori e aguzzini, ma non sono nemmeno più coloro che vissero nella consapevolezza storica della colpa collettiva per il nazismo. Questi tedeschi odierni pensano di aver espiato il loro debito morale, e quindi si sentono sin troppo a proprio agio come creditore che non deve più far sconti a nessuno. Questi tedeschi che hanno riscoperto l’orgoglio nazionale vedendosi come primi della classe, sono però gli stessi che con spontaneità sincera hanno trovato intollerabile che degli esseri umani fuggiti dalla guerra potessero naufragare in mare o, peggio, ammassarsi dietro al filo spinato. […] Eppure la crisi dei profughi ha mostrato che persino in Germania, dove Angela Merkel viene un giorno raffigurata come un redivivo Cancelliere di Ferro, un altro come novella Madre Teresa, esiste ormai una scollatura ragguardevole tra rappresentanza politica e cittadini: in questo caso a favore della generosa capacità d’azione dei numerosissimi tedeschi improvvisati soccorritori volontari. […] «Già hai dato il meglio, non strafare», chiede Buffoni nel verso finale di “Oggi che la Germania”, poesia in cui «la meticolosità nell’efficienza» rima con «nevrosi da obbedienza». […] Qualcosa d’inconciliabile con l’efficienza intesa come norma e valore sommo al quale uniformarsi. È in questo che ha strafatto la Germania, finendo in una compulsione a primeggiare e nella fiducia accanita di farcela sempre». <1
Risultano significative queste parole introduttive contenute nella “Nota alla seconda edizione” di “O Germania” di Franco Buffoni, a firma della scrittrice tedesca naturalizzata italiana Helena Janeczek, recentissimo Premio Strega 2018 per il romanzo “La ragazza con la Leica”, poiché restituiscono l’esatta misura, attraverso la messa in risalto di eventi singolari nella storia recente del Paese (l’accorata accoglienza dei rifugiati siriani da parte dei cittadini tedeschi, da un lato, e l’avversione politico-economica nei confronti dei “cugini” greci “dalle mani bucate” da parte dell’establishment della Germania, dall’altro), dell’ambivalenza in fatto di decisioni politiche e atteggiamenti sociali mostrata negli ultimi anni dalla prima potenza economica dell’Europa Occidentale. È proprio tale ambivalenza che il poeta Franco Buffoni, in questo libello che è per un terzo prosa e per i restanti due terzi poesia, critica con un’ironia lirica sottile e pungente, e decostruisce mostrandone l’assoluta incoerenza e anti-europeità, a tal punto da far proprie le affermazioni dell’ex ministro degli esteri tedesco Fischer, il quale «ha detto: “Con l’attuale
approccio socio economico-finanziario ai problemi politici, l’attuale Cancelleria rischia di affossare l’intera Europa per la terza volta in un secolo”» <2, a cui il poeta accosta anche l’affermazione del primo cancelliere della Germania federale, Konrad Adenauer, «che negli anni ’50 disse: “I tedeschi sono pecore carnivore”. Una frase da brivido che personalmente non avrei mai osato scrivere» <3, aggiunge Buffoni nell’intervista per La Nuova Sardegna a cura di Costantino Cossu. Infine, ai suddetti assunti, si aggiunge nella strutturazione di “O Germania” il punto di vista di Heine: «Il terzo punto di appoggio per la scrittura di questo libro mi è venuto da un poeta ebreo tedesco di inizio ‘800, Heinrich Heine: “Se penso alla Germania di sera / Io non riesco a dormire”» <4. E conclude: «Quindi nel mio libro ho soltanto cercato di mitigare il pensiero di questi tre grandi uomini tedeschi. Il mio libro è molto più tenero e comprensivo delle loro frasi» <5. A queste riflessioni di significativi esponenti della storia, della cultura e della politica tedesca, il poeta sovrappone la propria esperienza personale – la prima sezione del libro, tutta in prosa, ha in tal senso una valenza aneddotica, “perlustrativa”, caratterizzata dalla narrazione delle vicende personali del poeta, della sua istruzione e delle gite in terra tedesca – cosicché l’opera si configura come una ricognizione delle vicende, recenti e meno recenti, dell’intera Europa, a partire dalla Germania a costituire il fulcro da cui prende le sue mosse il discorso politico in forma poetica sulla questione del predominio tedesco all’interno dell’area euro e nella definizione progressiva di un’Europa sempre più “germanocentrica”. Questo è un pericolo che il poeta sottolinea, preannunciandolo, diverse volte, dentro e fuori la raccolta, e che avvalora portando ad esempio la sua storia personale, le impressioni avute in prima persona. A tal proposito, sono significative le parole pronunciate da Buffoni nel corso di un’intervista a cura del poeta Elio Pecora, dove lo scrittore gallaratese afferma: «Negli anni ’70 andai in Germania per motivi di studio e ciò mi permise di venire a contatto con i miei coetanei tedeschi che erano tutti nati dopo la Seconda Guerra Mondiale, e si portavano addosso, con sensibilità e sofferenza, il peso di una colpa etica. Poi è accaduto, come dice Hannah Arendt, che dopo sessanta anni “il sangue si raggruma”, ovvero che i personaggi diventano fumetti. Così Hitler si è tramutato in un certo senso in una figura come il feroce Saladino. E oggi, secondo me, antropologicamente, possiamo riscontrare questo ritorno all’arroganza meticolosa nella figura del giovane presidente della Bundesbank che, ad esempio, si stizzisce quando Mario Draghi avanza proposte di politica economica per tutta l’Europa, che lui ritiene dannose per il suo paese…» <6. Allora, sembra dirci Buffoni, il problema alla base è un calo vertiginoso di memoria, una mancanza dannosa del ricordo di ciò che è stata l’Europa alle sue origini, i principi etici e politici su cui (e per cui) si è costituita. Se i cittadini tedeschi della sua generazione – quella dell’immediato dopoguerra (Buffoni è del ’48) – gravati dal peso delle tragiche e scellerate azioni inflitte all’intera Europa civile dai loro padri e nonni, hanno coltivato e incentivato un progresso “illuminato” volto a sanare, almeno parzialmente ed eticamente, le perdite, adesso le generazioni successive sembrano aver dimenticato questo debito “morale”, a tal punto da rinchiudersi con arroganza dentro i propri confini nazionali e obliando i buoni propositi messi in atto qualche decennio prima. E questo il poeta lo scrive certamente non a cuor leggero dal momento che egli alla Germania è stato molto legato: infatti, alla domanda di Carlo Colombo «cosa significa per lei la Germania?», risponde: «Significa molto in termini positivi, perché alla repubblica federale di Bonn legai un periodo felice della mia formazione. Erano gli anni Settanta quando, poco più che ventenne, andai a studiare ad Heidelberg. Apprezzai nei miei coetanei, nati dopo la guerra, quella che definirei la “colpa etica degli incolpevoli”. Perciò li trovai più maturi degli amici francesi. Ma la Germania significa anche il biennio di mio padre in lager. Da tenente, rifiutò di aderire alla repubblica sociale. E la morte del nonno, per le conseguenze dei gas nervini austriaci, durante la Prima Guerra Mondiale. […] Ora vedo che qualcosa è cambiato da quando avevo vent’anni» <7. Perciò il discorso sulle mancanze della Germania odierna non è fine a se stesso, o suscitato solamente da questioni sociali e politiche, ma è dettato soprattutto da un profondo affetto che Buffoni ha nutrito nei confronti di una terra in cui ha studiato e nel cui destino si sono intrecciate, oltre alle sue, persino le drammatiche vicende del padre e del nonno, il primo internato per due anni in un lager per essersi opposto alla repubblica sociale, il secondo morto a causa delle conseguenze dei gas nervini, ampiamente utilizzati nel corso del primo conflitto mondiale, non a caso chiamato la prima guerra “tecnologica” per l’uso di sostanze chimiche ed armi all’avanguardia, capaci di colpire e annientare anche a distanze notevoli con grande precisione. Allora si può ben dire che “O Germania” di Franco Buffoni è un libello multiforme: l’impostazione più evidente è quella del pamphlet politico con chiari intenti polemici espressi attraverso l’uso di una sottile, aspra ironia; ma è presente anche la narrazione autobiografica, aneddotica e, infine, il collegamento alla memoria familiare. In tutto ciò, il poeta ci consegna pagine forti in una lingua asciutta e precisa che riesce a colpire le regioni emotive del lettore e mettendo in risalto le tensioni del proprio tempo in uno stile «“anti-lirico”, che si armonizza nel “non-ritmo”, […] sintomo di un mondo pieno di complessità, privo di metafore e belle immagini che possano raccontare la sua storia. E così l’invocazione, “O Germania”, che dà titolo alla raccolta, sembra rievocare il grido di speranza del poeta epico, personificato nella voce di un Odisseo contemporaneo, come l’Everyman di Pound, che cerca di ristabilire, fallendo, l’armonia mitopoietica del linguaggio, e cioè la manifestazione, anche solo rudimentale, del sano istinto (e non principio) di umanità» <8. E tale forma stilistica “antilirica” del dire dà estrinsecazione formale al contenuto dell’opera, nella messa in scena di un esistenzialismo «profondamente diverso dall’esistenzialismo lirico, tipico di molti poeti contemporanei. Perché il suo si basa su un realismo della carne, figlio di una valutazione istintiva e lucida insieme, e contrario a tradursi – in certi frammenti del verso – alla più vasta società ormai omogeneizzata» <9. Ma se da un lato la Germania è un paese in sé “meticolosamente” odioso, di una precisione asfittica e arrogante, dall’altro è una terra capace di libertà intellettuale, modello singolare per ogni animo in cerca d’aria. Lo si può capire sfogliando attentamente “O Germania”, studiando le citazioni, i paratesti, i riferimenti testuali con cui Buffoni impreziosisce il dettato e, al tempo stesso, ci informa sulle sue posizioni estetiche, sui modelli frequentati in merito alla questione enunciata nel libro. Scrive in proposito Camilla Miglio sul «Manifesto»:
«La sua ideale genealogia tedesca Buffoni ce la fornisce nelle dediche e nei nomi in epigrafe alle poesie, collezione che fa pensare a “Uomini tedeschi” di Walter Benjamin (1936, Adelphi 1979), la raccolta di lettere di esponenti dell’umanità germanica realizzata nel momento in cui essa si avviava alla barbarie. A differenza di Benjamin, Buffoni non coglie pagine d’altri, ma scrive lettere in versi per un doppio destinatario: i dedicatari e i lettori d’oggi. E tra i dedicatari non manca appunto Benjamin, suicida a Port-Bou a un passo dalla salvezza. Né Heine, che per primo vide i pericoli dell’anima tedesca; né Goethe, inaspettatamente inetto, colto dall’occhio ironico della sua Lotte. […] Infine, in omaggio ai coraggiosi, c’è Fritz Gerlich, giornalista tra i rari oppositori del nazismo, morto a Dachau. Ma il gran dedicatario è sempre la memoria, condivisa, del dolore che attraversa terre confinanti: Germania-Austria-Svizzera e Italia. Guerre e commerci, amicizia e paura, tradimenti e passioni». <10
In “O Germania” il discorso della poesia si fonde con quello della politica e con quello dell’economia. Simone Di Biasio, a tal proposito, scrive su «Reader’s Bench»: «Franco Buffoni […] ci insegna molte più cose sul carattere di un poeta di un trattato di politica economica» <11. Effettivamente, potremmo aggiungere, non è possibile immaginare una poesia davvero efficace, sincera e decisiva se essa non sarà in grado di dialogare con l’altro da sé: Buffoni, in questo, ha il merito proprio di tessere degli intrecci disparati in maniera molto efficace tra poesia e bilanci economici, rievocazione personale e memoria collettiva, politica, storia, cronaca, sociologia, e così via. Il termine che forse, tra tutti, descrive meglio questa prassi letteraria è proprio quello di poesia civile, dove civile non designa soltanto una forma lirica impegnata, volta cioè alla società civile e ai problemi ad essa connessi, ma anche una prassi di scandaglio attenta e minuziosa nei confronti della realtà circostante e di tutto ciò che interagisce con essa, mutandone gli equilibri e ridefinendone gli obiettivi. Perciò Buffoni è un poeta estremamente lucido, oggettivo, a tratti anche spietatamente realistico nell’offrirci una notevole fotografia delle contraddizioni (prima di tutto culturali) che la Germania trascina con sé, troppo arrogante e altezzosa per prenderne coscienza. Scrive così sul «Fatto Quotidiano» Lello Voce:
«Dall’orrore nazista al miracolo economico, tra il Benjamin suicida a Port Bou e i paesaggi impressionisti di Slevogt, l’anima tedesca viene messa a nudo e sezionata, per comprenderne fragilità, genialità, diversità. La poesia di Buffoni, insomma, riflette sul presente e smaschera ciò che di questa crisi nessuna analisi economica o politica potrà mai mostrarci, cioè ciò che, infine, sarà altrettanto decisivo nella scelta degli uomini (e dei popoli) nel loro fare e farsi Storia. […] Ci troviamo di fronte alla dimostrazione che il discorso poetico è sempre un discorso sul mondo, prima che sull’io di chi lo vive (e lo scrive). Che la poesia, quando parla davvero, parla d’altro, per mostrarci ciò che nessun altro vede, ma che è indispensabile vedere» <12.
Inoltre è importante sottolineare che la riflessione sulle conseguenze politiche ed economiche sul territorio italiano delle decisioni della Germania odierna si fa anche riflessione pregnante sulla lingua, ad esempio: «Se a Milano per definire il “brutto” / Si ricorre al peccato, / A Napoli si afferma senza dubbio / “Brutto comm ‘o debbito”. / Mai così uniti: schiavi tristi» <13. Questa, una difesa che argomenta l’uso della lingua attraverso versi che non scivolano mai nella smanceria lirica, ma che arrivano a domandarsi, piuttosto: «Di quante leggi razziali sono ligio complice io?» <14, oppure: «Che cosa sono i Pride, infine, / Se non il grido modulato di una comunità / Che desidera far sapere al mondo: / La prossima volta che verrete a prenderci, / Non ci troverete inermi?» <15.
Le riflessioni sulla lingua, o meglio sulla lingua dei luoghi, tornano anche quando bisogna «Trovare un’altra parola al posto di campagna / Per indicare questi campi e quelle / Rampe di vigneti, il muro in fondo e gli eseguiti. / Ma non gridano più neanche vendetta / Queste distese di ossa sopraffatte / Da più fresche fila di morti col cappotto» <16.
Allora, infine, ci si potrebbe chiedere, può lo sdegno, l’indignazione trasformarsi costruttivamente in poesia? E, soprattutto, può la poesia aiutarci a capire qualcosa di più su questa Europa moderna dove l’unità, ci dice Buffoni, è ancora un lontano miraggio e le decisioni sono prese da una sola, potente parte? Il poeta crede di sì e, in ogni caso, il senso ultimo della raccolta, di questo pamphlet in versi, appare chiaro: ricordare alla Germania, prima della classe e autoproclamatasi guida europea, di avere ancora molto da ricordare e poco di cui andare fiera; una nazione, ieri come oggi, cui si può e si deve dire: «[…] quieta, zitta, a cuccia. / Già hai dato il meglio, non strafare» <17.
[NOTE]
1 Helena Janeczek, Nota alla seconda edizione, in Franco Buffoni, O Germania, Interlinea, Novara 2015.
2 Così il poeta in Costantino Cossu, Intervista a Franco Buffoni, sul sito web La Nuova Sardegna, 06/09/2015; ultima consultazione 31/12/2018.
3 Ibidem.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Così il poeta in Elio Pecora, Intervista a Franco Buffoni, sul blog FUIS, 23/06/2015; ultima consultazione 31/12/2018.
7 Così il poeta in Carlo Colombo, Parla Franco Buffoni: o Germania, non strafare, stai quieta, zitta, a cuccia, in «La Prealpina», 10 giugno 2015.
8 Lorenzo Battaglia, Recensione “O Germania” di Franco Buffoni (Interlinea, 2015), sul blog Rivista!unaspecie, 20/11/2015; ultima consultazione 31/12/2018.
9 Ibidem.
10 Camilla Miglio, Franco Buffoni, O Germania, Edizioni Interlinea 2015, in «Alias» – supplemento letterario del «manifesto», 24 maggio 2015.
11 Simone Di Biasio, La Germania affosserà l’Europa, sul sito Reader’s Bench, aprile 2015; ultima consultazione 31/12/2018.
12 Lello Voce, Duetti #07: Franco Buffoni e Bruno Galluccio, la poesia che parla d’altro, sul sito IlFattoQuotidiano.it, 07/07/2015; ultima consultazione 31/12/2018.
13 Franco Buffoni, O Germania, cit., Brutta come il peccato, terra mia, vv. 11-15, p. 28.
14 Ivi, Oreste Quaglia, v. 27, pp. 69-70.
15 Ivi, Stelle gialle e triangoli rosa, vv. 6-10, p. 66.
16 Ivi, Morti col cappotto, vv. 1-6, p. 37.
17 Ivi, Oggi che la Germania, vv. 9-10, p. 25.
Giovanna Vivinetto, La poesia di Franco Buffoni dopo l’Oscar Mondadori (Poesie 1975-2012): da Jucci (2014) a La linea del cielo (2018), Tesi di laurea magistrale, Università di Roma “Sapienza”, Anno accademico 2017/2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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