Gramsci critica l’inadempienza della rivista alla propria stessa vocazione rivoluzionaria

Poeti d’oggi, con la quale si inaugura l’antologia d’autore italiana, esce nel 1920 a cura di Papini e Pancrazi. Scorrendo l’indice, si nota che questa raccolta contiene anche testi in prosa: ad esempio uno dei Trucioli di Sbarbaro, appena pubblicati da Vallecchi. Cinque anni prima è uscito l’Almanacco della Voce (Firenze, Edizioni della Voce), che comprende poesie in versi, poesie in prosa, ma anche articoli di critica letteraria e illustrazioni di importanti artisti di inizio secolo (Cézanne, Gauguin, Picasso, Boccioni). Fra i testi raccolti nell’Almanacco, troviamo alcuni dei Frammenti di Giovanni Boine, pubblicati «per gentile concessione della Riviera ligure». Con «La Voce» e «La Riviera ligure», iniziano a essere chiare le coordinate di questo percorso: abbiamo nominato le due principali sedi di elaborazione della nuova forma letteraria.
Cercheremo di mostrare che il modernismo, in Italia, prende forma anche attraverso testi in prosa, pubblicati principalmente su rivista, che sfuggono sia al genere della narrativa sia a quello della saggistica, e vengono accolti in quanto poesia. Se ne servono moltissimi autori: Aleramo, Bacchelli, Boine, Campana, Cardarelli, Cecchi, Gatto, Grande, Jahier, Onofri, Novaro, Papini, Saba, Sbarbaro, Slataper, Soffici, Stuparich, ecc. A questi vengono accostati talvolta anche scrittori come Pea e Tozzi.
Come è ovvio, gli autori appena nominati non scrivono seguendo una poetica comune ed ottengono risultati eterogenei. Inoltre, nessuno di loro ha la consapevolezza costruttiva che pone su un altro livello le opere dei modernisti europei (in prosa): Joyce, Musil, Kafka. Il loro stile è quello della distruzione e della crisi delle strutture tradizionali (sia narrative sia liriche), come osservato da Romano Luperini: “E lo stile di tutti questi scrittori, la maniera cioè con cui essi conoscono e rappresentano il reale, è lo stile della distruzione, dell’eversione anarchica, di una rottura che si esprime sotto la forma di una disponibilità sperimentale che si consuma nel frammento e nel ripudio di qualunque struttura narrativa: nessuno di loro riesce a costruire ideologicamente, anche se tutti ideologicamente vogliono concludere la parabola dei loro brevi romanzi o delle loro prose liriche o delle loro poesie. La frizione stile-ideologia (così clamorosa in Slataper e Boine, per esempio), l’aperta sfasatura fra il momento lirico anarchico e quello conclusivo ideologico esaltante l’ordine, il lavoro, la tradizione, costituisce una linea di ricerca che permette di cogliere le possibilità dinamiche […], e quindi di evitare sia gli errori di schematismo liquidatorio di cui prima abbiamo parlato sia la stessa divisione […] fra «moralisti» da un lato e «futuristi» e «artisti» dall’altro […]”. <11 Ora, secondo Luperini, l’incapacità di dare un risvolto costruttivo alla crisi delle forme e la incompiutezza sul piano ideologico spiegano perché nessuno degli autori appena nominati avrebbe raggiunto i livelli dei modernisti europei. <12
Questo discorso è influenzato da una eredità critica, citata esplicitamente da Luperini: quella di Antonio Gramsci, lettore della «Voce» negli anni dell’università a Torino, che critica l’inadempienza della rivista alla propria stessa vocazione rivoluzionaria. La posizione di Luperini non è isolata. Un discorso simile, infatti, si trova nelle pagine critiche di Umberto Carpi. Carpi individua gli aspetti di modernità degli autori che pubblicano sulle riviste di questi anni: ad esempio l’influenza di Bergson, che va di pari passo con quella del pragmatismo, anche grazie alla mediazione di Vailati (frequentato da Papini e Prezzolini). <13
L’influenza di Croce sugli scrittori della «Voce» è stata discussa a lungo da storici della letteratura e della filosofia: sottolineata già dallo stesso Gramsci, e da molti critici successivi, spesso viene vista come un elemento che attenua la modernità delle nuove forme di scrittura. I rapporti più stretti con Croce sono stati quelli di Prezzolini: a lui si deve l’idea di «Rivista d’idealismo militante», cioè il sottotitolo che «La Voce» assume a partire dal 1914 – criticato con ironia da Boine, uno dei più anticrociani della rivista. <14
Tuttavia l’idealismo crociano, ancora così legato a una idea di storia positivista e di pensiero sistematico, non è compatibile né con l’istinto rivoluzionario e con la promessa di svecchiamento della cultura italiana che si leggono nei primi numeri della «Voce», né con la nuova soggettività moderna, che la letteratura del modernismo (Tozzi, Pirandello e Svevo in Italia) rappresentava in quegli anni.
Una posizione più equilibrata è quella di Angelo Romanò, secondo il quale nella «Voce» agisce «un generico idealismo di fondo», che tuttavia non presenta caratteri dottrinali coerenti, non obbedisce a una ispirazione sistematica, e al contrario coesiste con le suggestioni pragmatiste e intuizioniste. Romanò scrive che: “[…] nel clima in cui «La Voce» nasce [ci sono] caratteri molto più compositi e irrequieti di quelli ai quali si accompagna la lunga e regolare riflessione crociana; la rivista nasce non come espressione di un orientamento unitario, ma quasi ostentando l’ambizione di offrire un luogo d’incontro e di verifica ad esperienze e metodi intellettuali dichiaratamente eterogenei se non contrastanti. Al Prezzolini, che in partenza è il più disimpegnato e disponibile di tutti […] fanno da contrappeso da un lato il Papini e il Soffici, dall’altro l’Amendola, da un altro ancora il Salvemini. Il Prezzolini è un ideologo che brucia una dopo l’altra, predestinandosi all’agnosticismo, le più varie e contraddittorie avventure mentali; negli altri, viceversa, sono reperibili motivi costanti sottoposti a uno sviluppo più o meno coerente, in rapporto all’impegno più o meno intenso di qualificare in senso personale i temi del momento”. <15
L’idea di frammento lirico, che si oppone al romanzo e alla tradizionale divisione dei generi letterari, ricorda in parte la distinzione crociana fra poesia e non poesia; ma questo, come vedremo, avrà più rilievo per la poetica del frammento che non per la storia della poesia in prosa. Il frammentismo lirico, così come concepito da Onofri e da altri sulle pagine di «Lirica», rappresenta solo una delle possibilità per gli autori che scrivono in prosa all’inizio del Novecento. Quanto all’influenza di Croce in senso più generale, è giusto analizzarla caso per caso, tenendo presente che si tratta di uno degli elementi della Jahrundertwende italiana.
Un altro giudizio che ha inciso sulla poca fortuna critica degli autori di questi anni (o sul modo in cui sono stati trattati dalla storiografia letteraria dopo gli anni Sessanta) è quello di Giacomo Debenedetti, che imputa agli scrittori vociani di avere ostacolato la nascita del romanzo in Italia, egemonizzando il campo letterario con forme di scrittura biografica e frammentaria – in una sola parola, antinarrativa. Questa ipoteca ha gravato a lungo sulla ricezione critica degli autori della «Voce», tanto quanto l’assimilazione alla categoria di frammentismo ha influenzato quella della «Riviera ligure».
[NOTE]
11 Romano LUPERINI, Letteratura e ideologia nel primo novecento italiano. Saggi e note sulla “Voce” e sui vociani, Pisa, Pacini, 1973, p. 27.
12 Cfr. Ivi, p. 76: «Il fatto è che la capacità di narrazione di Svevo o di Joyce e di Musil presuppone una matura consapevolezza, una sicurezza acquisita, un solido clima culturale e letterario alle spalle, una prospettiva di sguardo, non importa se nichilista e “senza prospettive” (c’è un’acquisita ideologia, che dà una precisa prospettiva, nella stessa profonda consapevolezza del tramonto delle ideologie e della fine delle prospettive storiche ed umane, propria di tanta avanguardia novecentesca). Tutto questo mancava nell’Italia del primo ventennio del secolo, per il ritardo del suo stesso sviluppo industriale e per le conseguenze che esso determinò sul piano sovrastrutturale. L’esigenza di rivolta dei vociani non aveva dietro di sé la forza culturale del pensiero “negativo” tedesco (con qualche eccezione solo per il triestino Slataper e soprattutto per il goriziano Michelstaedter); nasceva da un disadattamento e da una disponibilità – sociale e culturale – che era priva di alternative e di soluzioni, che non fossero alternative e soluzioni borghesi».
13 «Per un odierno lettore della “Voce” (e in particolare delle prime cinque annate fino alla trasformazione in quindicinale) il dato più cospicuo ed immediatamente rilevante è la presenza massiccia, ininterrotta, alla fine suggestionante, dei protagonisti della lukacsiana Distruzione della ragione. Non tanto dei tedeschi (l’immancabile Nietzsche, quella vera scoperta vociana che fu Otto Weininger e, molto superficialmente e per cenni isolati, Simmel), quanto dei francesi e degli anglosassoni. Non c’è solo il ben noto interesse per il pragmatismo di James nell’accezione «magica» diffusane da Papini; c’è anche la ripresa di Carlyle, spesso citato e recensito, densa di allusioni ad un anticapitalismo di destra e alle sue utopie di restaurazione dell’ordine medievale: ma c’è soprattutto, in questo senso, la propaganda capillare della cultura irrazionalistico-reazionaria francese.» Cfr. Umberto CARPI, «La Voce». Letteratura e primato degli intellettuali, Bari, De Donato, 1975, pp. 12 e seguenti.
14 Cfr. Giovanni BOINE, Plausi e botte, in Il Peccato, Plausi e botte, Frantumi, Altri scritti, a cura di Davide PUCCINI, Milano, Garzanti, 1983, pp. 77-78.
15 Angelo ROMANÒ, Introduzione, in La cultura del Novecento attraverso le riviste. Volume terzo. «La Voce» (1908-1914), a cura di Id., Torino, Einaudi, 1960, p. 16. Una posizione più simile a quella di Romanò si trova anche in Carpi, «La Voce». Letteratura e primato degli intellettuali, cit., soprattutto pp. 9-28. Arturo MAZZARELLA, Storie di un’amicizia, in Percorsi della “Voce”, a cura di Id., Napoli, Liguori, 1990, p. 14.
Claudia Crocco, Poesia senza verso. La poesia in prosa in Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2016-2017

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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