Vermicelli intende ricordare e descrivere il periodo storico che sta alle fondamenta della nostra società democratica

Mirko Scrittori, Andrea Cascella e Gino Vermicelli. Fonte: fractaliaspei

Il romanzo Viva Babeuf! non è una rassegna di ricordi che un partigiano, ormai anziano, vuole condividere con altri nostalgici come lui. Gino Vermicelli scrive spinto dallo sdegno: egli si sente tradito dalle istituzioni e dalla società intera, che sta dimenticando il proprio passato e addirittura cerca di inquinarlo. Vermicelli intende ricordare e descrivere il periodo storico che sta alle fondamenta della nostra società democratica: “Sulle vicende di quegli anni vi è anche chi farnetica e tenta di speculare, senza nemmeno immaginare quanta fatica, quanto dolore, quanto sangue, quanta ira e anche quanto amore sia costata quella storia”. <94
E ancora: “Posso anche capire il vuoto di memoria tra la gente, non si può sopportare che a perdere la memoria siano le forze politiche e i media”. <95
Il suo obiettivo è ricordare cos’è stata veramente la Resistenza: non una guerra premeditata e gestita attraverso le più sofisticate tecniche militari, non il gesto narcisistico di chi vuol fare l’eroe, non l’avventura spericolata, ma il sacrificio di persone uguali a noi: “Insomma, come erano quei partigiani? Erano ragazzi come gli altri, con i vizi e le virtù, gli usi e i costumi degli altri ragazzi degli anni Quaranta. La vita nella formazione partigiana, la fatica, i pericoli non li hanno mai incupiti” <96.
Loris Campetti, nell’intervista fatta a Vermicelli, dice di lui e del suo romanzo: “Liberazione è sempre scritta con la minuscola nel suo romanzo Viva Babeuf! edito sei anni fa da “Il Manifesto” e dalla Libreria Editrice Margaroli. Gino non crede negli eroi, tantomeno negli eroismi di massa e spiega come, poco meno di cinquant’anni fa, un ragazzo fosse costretto a scegliere: o con i partigiani o con i fascisti. La terza via non era data. L’ideologia arrivava dopo, in montagna, quando la scelta era già stata fatta. Questo non per togliere valore alla lotta partigiana, ma per rimetterla su un piano concreto, un piano materiale”. <97
Vermicelli si fa portavoce della sua generazione, che ha saputo assumersi le proprie responsabilità e ha combattuto, rischiando di morire, per riabilitare se stessa ed il popolo italiano: “Se ne è valsa la pena? Veramente la pena non ci fu, se per pena s’intende tormento dell’anima, sofferenza morale. Eravamo sì afflitti da tormenti vari […], ma il tutto era vissuto in un’atmosfera di vivace allegrezza. Il fatto è che avevamo vent’anni ed eravamo convinti che stavamo cambiando il mondo. […] Certo che ne è valsa la pena. Non potevamo non farlo. I fascisti comandavano abusivamente (senza l’avallo di elezioni libere) da oltre vent’anni. I tedeschi ci schiacciavano con la loro occupazione. Bisognava aiutare l’Italia a liberarsi. […] Ad ogni generazione la responsabilità del proprio tempo, il compito di valutare la realtà e di affrontarla”. <98
Consideriamo ora il destinatario del romanzo: Vermicelli intende chiaramente rivolgersi alle nuove generazioni. Egli, nonostante che sia già un uomo maturo quando decide di scrivere la sua opera, è ancora attento alla società in cui vive: nota infatti come la gioventù si stia sempre più allontanando dalla vita politica, dalla lotta ideologica. Se per il Vermicelli ventenne far valere le proprie idee politiche, e lottare per esse, era tra le priorità, nella mente della maggior parte dei giovani d’oggi possiamo notare che questa è una preoccupazione lontana, e quasi assente. Vermicelli coglie questa situazione già negli anni ’80, e ne cerca le cause: “Questo venticinque aprile celebreremo il quarantennale della guerra di liberazione […]. Ma, lo temo proprio, non ci saranno i giovani, o ce ne saranno pochi. Anche per loro chiedo che non si serbi rancore: hanno le loro buone ragioni. Una società che emargina parte di sé stessa è una società malata. Un giovane che affronta la vita sapendo che ha molte probabilità di rimanere privo di reddito, di non trovare lavoro o, nell’ipotesi migliore, di trovarne uno precario, senza certezze per il domani e che comunque non troverà casa se vorrà farsi una famiglia, non ha nessun appiglio per ricollegarsi idealmente all’insurrezione di quarant’anni fa”. <99
Di fronte a queste circostanze, il romanzo si pone come una sorta di defibrillatore; il suo obiettivo è “dare la scossa” alle nuove generazioni per smuoverle con l’esempio del partigianato dal torpore e dal disinteresse in cui sono piombate: “Il libro l’ho scritto pensando ai giovani, a chi non ha vissuto la Resistenza. […]. L’invito che io rivolgo ai giovani è questo: non siate subalterni. Credo che, al giorno d’oggi, mentre torna a far capolino il dirigismo, l’individualismo…serva: non si fa niente senza la gente, la sua partecipazione”. <100
Da questo punto di vista, Viva Babeuf! può essere definito un romanzo pedagogico: sia perché con esso Vermicelli ci spiega le idee politiche che lo animano, sia poiché si indirizza proprio ai giovani, e cerca di educarli all’attivismo politico. È l’ultima provocazione, diretta alla gioventù, tentata da un uomo che ha sempre partecipato con la forza e la decisione di un vero comunista alla politica del proprio paese.
[NOTE]
94 G. Vermicelli, Non dimenticheremo Andrea, in “Resistenza Unita”, a. 22, n. 10, ottobre 1330, p. 4.
95 Loris Campetti, Non scherzate con la storia, cit., p. 220.
96 AA VV, Conoscere la Resistenza, a cura del laboratorio di ricerca storica “L’eccezione e la regola”, UNICOPLI, Milano, 1995, p. 127.
97 Cfr. nota n. 33.
98 Aldo Aniasi, Gino Vermicelli, Emilio Carinelli (a cura di), Ne valeva la pena: dalla Repubblica dell’Ossola alla Costituzione italiana, cit., p. 141.
99 G. Vermicelli, Quarant’anni non son pochi, cit., p. 1.
100 G. Vermicelli, Su “Viva Babeuf!”. Un libro che parla della Resistenza, (intervista) in “Il VCO”, a. 4, 21.4.1984, p. 12.
Sara Lorenzetti, Gino Vermicelli tra Resistenza e scrittura, Tesi di laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” – Vercelli, Anno accademico 2006-2007

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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