“Angelica o la notte di maggio”, non è soltanto, come a prima vista evidente, un raffinatissimo testo

Il romanzo che Alberto Savinio pubblica nel 1924, dal titolo Angelica o la notte di maggio, non è soltanto, come a prima vista evidente, un raffinatissimo testo che in modo libero si ispira all’apuleiana fabula di Amore e Psiche, ma è anche la più impressionante riscrittura dell’intero romanzo delle Metamorfosi che sia mai stata fatta, intendendo questo nel senso della sua portata esegetica e intuitiva in rapporto a certe peculiarità dell’opera antica.
Non è certamente un caso che tale opera saviniana sia articolata in undici capitoli come in undici libri è suddiviso l’Asino d’oro, e che l’ultimo capitolo presenti, rispetto ai precedenti, un brusco cambiamento di tono. Dire cambiamento di tono in verità non è sufficiente, per un libro in cui tutto ciò che è relativo alla storia della “notte di maggio”, agli avvenimenti che interessano i personaggi e il loro universo diegetico, ha avuto sviluppo nei primi dieci capitoli e si è di fatto concluso con essi, e rispetto ai quali l’undicesimo non è dunque se non un’aggiunta “particolare”.
Prima di considerare la particolarità dell’ultimo capitolo, almeno limitatamente ai suoi dispositivi enunciativi, vorremmo semplicemente notare come a Savinio sia stato a cuore cospargere lungo il libro a intervalli più o meno regolari dei rapidissimi e quasi impercettibili riferimenti all’asino.
Un primo clin d’oeil appare al settimo paragrafo del primo capitolo, <447 un secondo al primo paragrafo del terzo capitolo, <448 un altro al terzo paragrafo del sesto capitolo, dove nel bel mezzo della descrizione del trasloco della famiglia Mitzopulos «un somaro spiccatosi dalla vicina mascalcia, era venuto a pascolare la paglia che fasciava le colonne del letto angelicale», <449 e l’ultimo al terzo paragrafo del nono capitolo, dove il personaggio di Rothspeer adiratosi col dottor Bischoff (sotto il quale si adombra Freud) così l’apostrofa: «Avevi capito, eh? Avevi visto?… Asino!». <450
Ma al di là di questi semplici accenni, ciò che Alberto Savinio pratica lungo tutto il libro è quella particolare tecnica compositiva, arte calcolatissima della reticenza, che produce il fenomeno dell’investimento semantico retrospettivo, per cui, tanto per fare un esempio, chi sia il personaggio chiamato Isidore al capitolo 7.6, e di conseguenza tra quali personaggi abbia luogo l’affaire che quel dialogo intercetta e riporta, è incomprensibile a una prima lettura, e si svela soltanto (almeno) a una seconda, perché soltanto dopo aver processato e ritenuto le informazioni contenute nella scena riportata al capitolo 9.2 la deissi è in condizioni di attivarsi. <451
Il testo di Angelica o la notte di maggio presenta un’altissima concentrazione ermeneutica, esso è stato studiatamente intessuto affinché le ambiguità si sciolgano, gli elementi testuali diventino decidibili solamente attraverso una pratica di rilettura multipla, una insistenza del lettore col testo sul testo; questa pratica che Savinio sollecita è volta a trasformare la normale maniera di leggere (normale almeno per i lettori di storie del ventesimo secolo) in qualcosa d’altro, in una sorta di metalettura, una tecnica di anagnorisis di una realtà che è dapprincipio invisibile e che necessita di essere svelata. I conoscitori dell’opera del Madaurense possono qui facilmente immaginare come questo sia il risultato che l’Italiano ha maturato a seguito di una profonda frequentazione, ammirazione e conoscenza del testo antico. <452
Al fine di capire se e come la riscrittura saviniana possa venirci d’aiuto nel considerare le problematiche sorte dal testo apuleiano, è indispensabile la lettura dell’ultimo capitolo, che qui riportiamo quasi per intero [… ]
[NOTE]
447 «Pezzo d’asino!» grida Rothspeer al suo assistente Brephus, cf. Savinio 1995, p. 361.
448 Dove «due muli scacazzavano tranquillamente la terra illustre» (Savinio 1995, p. 369).
449 Savinio 1995, p. 392.
450 Savinio 1995, p. 420. Accenni agli apuleiani Psiche e Amore pure sono presenti, ma non mette conto enumerarli qui.
451 In 9.2 si chiarisce che Isidore è Isidore Désiré, persona per cui ha lavorato, stando a quanto questi dichiara, il locutore Emanuele Salto, e pertanto il primo non è altri che il personaggio precedentemente indicato come “l’impresario”. Molti altri esempi si potrebbero riportare: ad esempio, proprio a inizio del capitolo undici, e soltanto a inizio dell’ultimo capitolo, si chiarisce chi è la persona che stramazza al suolo in 10.4, cioè la signora Mitzopulos e non altri, e che questa è soltanto svenuta e non morta; oppure la figura che appare in 10.5 dal fondo della vetrata, di primo acchito lasciata nell’indeterminatezza, si chiarifica essere quella di Padre Attanasio soltanto dal confronto con quanto successivamente detto in 10.7 e in 11.1. Sull’opera apuleiana in quanto testo sollecitante la rilettura, indispensabile è Winkler 1985.
452 Su Savinio lettore di Apuleio si vedano le nostre pagine nell’omonimo capitolo dei Prolegomena. Che Savinio fosse perfettamente cosciente di ciò che ha voluto praticare è auto-evidente; si vedano inoltre le nostre considerazioni nel capitolo Seconda indicazione esegetica dei Prolegomena sulla definizione saviniana, data nel racconto Viaggio, di Angelica o la notte di maggio quale libro «che si può anche leggere».
Angelo Vannini, Metamorfosi di un mistero: Savinio e Apuleio, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno accademico 2014-2015

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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