A poco a poco il tramonto prendeva rilievo

Agosto 1993: in primo piano Francesco Biamonti nel suo studio di San Biagio della Cima (IM) insieme all’amico di sempre, Giorgio Loreti (tuttora protagonista delle iniziative dell’Unione Culturale Democratica di Bordighera, qui citata)

Francesco Biamonti (1928-2001) viveva a San Biagio della Cima: lì l’ho incontrato più volte per intervistarlo, fare due chiacchiere, mangiare i ravioli alla ligure, parlare di cultura, Liguria e novità editoriali. Spesso varcavamo il confine e ci spingevamo fino a Nizza e in Provenza, per mangiare e parlare di ogni cosa. Poi mi riaccompagnava a Sanremo a notte fonda. Dopo un po’ di tempo abbiamo stretto una forte amicizia, nonostante la differenza di età. Ho ancora un ricordo vivo di lui e mi manca davvero tanto. Oggi pubblico un saggio intervista che ho scritto quando era ancora vivo […]
E così decise che solo la macchina da scrivere poteva rubare la sua attenzione. Ogni suo foglio dattiloscritto era “pieno zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie”: non mi pare arbitrario definire la scrittura di Biamonti, così elaborata, cesellata e meditata, con le stesse parole usate da Italo Calvino per descrivere la sua.
Anche se le differenze tra questi due scrittori del Ponente ligure sono evidenti (il paesaggio di Calvino è soprattutto marittimo e geometrico, mentre quello di Biamonti arcaico e pastorale), non mancano certo i legami, non ultimo la calorosa accoglienza che Italo Calvino fece poco prima di morire al primo libro di Francesco Biamonti, L’angelo di Avrigüe, uscito nel 1983.
Il secondo romanzo, un vero e proprio parto, dovette aspettare fino al 1991 per venire alla luce. Accolto dai critici letterari dei più diversi orientamenti con entusiasmo, recensito con calore nelle pagine culturali di tutti i quotidiani, Vento largo, fece conoscere Francesco Biamonti di San Biagio della Cima, un paesino nell’entroterra di Ventimiglia, al vasto pubblico italiano e straniero.
E, dopo qualche anno, ecco in libreria la sua terza fatica, Attesa sul mare, pubblicato, come gli altri due, dall’editore Einaudi. Biamonti sceglie il mare, un luogo altro, ci parla da una “lontananza”, per donarci un altro affresco del suo paesaggio straziato, ma intensamente lirico anche nella sua devastazione.
Sembra quasi che voglia seguire il salto sugli alberi de Il barone Rampante di Italo Calvino: Cosimo, il più famoso barone della letteratura italiana, sfugge all’immedesimazione con il suo paesaggio e la sua gente, si aggrappa ad un ramo, sale su un albero e decide di vivere lassù. Solo così le cose si capiscono meglio.
Non tenta forse Biamonti con questo romanzo di allontanarsi dalla sua terra distrutta, cercando di percepirla e di descriverla da un’ottica diversa? Non fuga, ma lacerante bisogno di lontananza.
È un mare in salita quello che Francesco Biamonti descrive nel suo ultimo libro. E a guardarlo dalla costa, dai paesini a picco sul mare, sembra di salire verso il filo dell’orizzonte, lassù dove tutto è possibile […]   Laura Guglielmi, 22 settembre 2020

Certo la letteratura – intesa come aggregazione poetica di immagini, modelli del mondo, sensazioni e racconti – non è un discorso teorico sulle cose che sono. Essa è piuttosto un amalgama di figure che conservano sensi molteplici, indiretti, a volte nascosti. Allora luce e ombra sono emblemi, ovvero tratti di una composizione allegorica. La figura del sole, astro bruciante di fuoco, s’espande e si contrae fra le pagine di Le parole la notte [di Francesco Biamonti]. Quando Leonardo descrive i suoi ulivi, il sole appare in una gloria di fiamme: « – Stasera erano un incendio, – disse Leonardo. Rivedeva i rami lambiti dal fuoco e da un azzurro combusto. Tra l’erba sembrava sparsa la brace». Alla fine Leonardo porta le ceneri di Corbières, ufficiale francese durante la guerra, in un solitario cimitero di montagna. Egli è accompagnato da due donne che spiccano nel paesaggio: «Le loro carni splendevano. Profili severi sotto le ciocche raccolte, covavano la cenere con gli occhi, una inginocchiata e l’altra accovacciata: cenere e corpi tremavano nel sole». Il disco solare, il calore del fuoco e i suoi resti cinerei alludono al passaggio dell’uomo sul mondo, al finire delle creature in un tramonto di malinconia […] La parvenza del sole colora Le parole la notte di luce crepuscolare: «A poco a poco il tramonto prendeva rilievo, si alzava e si impossessava del mare con le sue schegge dorate». La scrittura modula le variazioni d’un tramonto d’inverno quando l’astro «scendeva dietro una roccia e le rondini di montagna volavano sempre più basso. Intorno alla roccia il cielo ardeva. Ma a poco a poco, a gruppi, i pini sparivano nella luce che si faceva scialba». “A poco a poco” i fenomeni trascorrono stimolando visioni lievi di lento cangiamento. «Il sole si era abbassato. Sul mare la luce serrava un cielo che componeva a poco a poco un’immagine del morire». Il tramonto, come la morte, è una soglia: un vago e indistinto margine di transizione. Le movenze del crepuscolo sfuggono al pensiero cartografico, s’inceppa la logica della linea netta che separa: «il sole moriva sfiorando pareti ombreggiate». La scrittura corrode qui l’opposizione fra luce e ombra, fra aprico e opaco. Pensa Leonardo: «Vi sono due Ligurie, […] una costiera, con traffici di droga, invasa e massacrata dalle costruzioni, e una di montagna, una sorta di Castiglia ancora austera; io sto sul confine». Il confine di Leonardo è una soglia, o una frontiera dove i dualismi cedono alle variazioni di atmosfera, alle transizioni di colore. La parola insegna le forme dell’attraversamento.
Francesco Migliaccio, Ombre e passaggi fra Nervia e Roja (Prodotto nell’ambito del progetto “Sulle tracce di Francesco Biamonti: percorsi creativi tra San Biagio della Cima e le cinque valli del Ponente Ligure”. A cura del Centro di Cooperazione Culturale. In collaborazione con l’Unione Culturale Franco Antonicelli, la Fondazione Dravelli, e gli Amici di Francesco Biamonti. Con il contributo di Compagnia di San Paolo e Fondazione Carige) in L’Indice dei Libri del Mese

Fu così che dopo non so quanto finii nel suo giardino di casa, seduto di fronte a lui che mi passava una cartella per volta di quello che divenne L’angelo di Avrigue. Già, perché per diventare libro, un libro pubblicato da Einaudi e presentato da Italo Calvino, passò oltre un anno. Era un libro di silenzio e natura che poteva piacere a Giulio Einaudi, ma bisognava incuriosirlo. A quel tempo l’editore aveva, nel Castello di Perno, in Piemonte, una mimosa che soffriva. La descrissi a Biamonti e gli dissi di stendere referto e possibili cure. Lo fece, stilando una cartella “clinica” di straordinaria scrittura che colpì molto l’Editore: a quel punto gli dissi che aveva scritto un romanzo molto intenso e con quel tono. Lo volle subito leggere e ne rimase entusiasta. La strategia adottata fu quella di mandarne una copia a Calvino e una a Camillo Pennati, redattore della casa editrice, lui, Einaudi, se fosse stato il caso, sarebbe intervenuto solo in un secondo tempo. Così feci leggere il libro a Calvino che lo prese sotto la sua protezione, da “ligure” a “ligure”.
Così scriveva Nico Orengo in un articolo del 2003 dedicato a Francesco Biamonti. Il ricordo, con la rievocazione dello stratagemma botanico messo in atto per suscitare l’interesse di Giulio Einaudi, restituisce un’immagine dell’autore di San Biagio della Cima in accordo con quella figura di scrittore-contadino, solitario e appartato rispetto al mondo, che, nel corso dei suoi ultimi vent’anni, lo stesso Biamonti si ritagliò addosso, tanto da apparire, a coloro che lo conobbero, quasi «prima un personaggio da romanzo che un autore di romanzi». Biamonti aveva un carattere schivo e non amava parlare troppo di sé […]
Ottenuto il diploma di ragioniere nel 1947, Biamonti si iscrisse a Lingue e Letterature Straniere presso l’Università L’Orientale di Napoli, città in cui si trasferì. Quest’esperienza durò poco, dato che nel 1949 era di nuovo a Ventimiglia, dove insegnò per alcuni mesi Computisteria presso la Scuola dell’Avviamento al Lavoro.
Senza dubbio a quell’epoca Biamonti aveva già sviluppato la propria passione letteraria, (10) che lo portò presto a essere un assiduo frequentatore di una libreria di Mentone (11) e, a Bordighera, della Piccola Libreria gestita da Maria Pia Pazielli. (12) Come ha sottolineato Claudio Panella, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta la formazione dello scrittore fu favorita dalla «frequentazione di numerosi altri artisti e intellettuali attivi nel Ponente e in modo particolare a Bordighera, dove si svolsero eventi notevoli quali le Mostre di pittura americana, i Premi delle “Cinque Bettole” e il “Premio Bordighera”». (13) Vale la pena di notare che, negli anni successivi, Biamonti scrisse come critico d’arte su alcuni pittori vincitori di questi premi: Enzo Maiolino, Joffré Truzzi, Mario Raimondo, Sergio Gagliolo. Tra i vari incontri va sicuramente ricordato quello con il pittore Ennio Morlotti, avvenuto a Bordighera nel 1959. (14)
Negli anni Cinquanta si collocano anche le prime prove conosciute di scrittura: nel 1951 Biamonti pubblicò su un foglio locale il racconto Serenità tra i fiori, (15) mentre nel 1956 vinse un premio “Cinque Bettole” con il racconto Dite a mio padre. (16) Negli anni seguenti lo scrittore lavorò intensamente a un romanzo: nella primavera del 1960 il manoscritto fu sottoposto a Guido Seborga, che suggerì il titolo Colpo di grazia (17) e ne favorì la pubblicazione di un estratto alla fine dell’anno. (18) Biamonti inviò il manoscritto ad almeno due editori, Einaudi e Mondadori, (19) ma il romanzo non vide mai la luce. (20) Nonostante il mancato esordio letterario, «gli anni ’60 furono un decennio importante per Biamonti, sempre più spesso chiamato a farsi conferenziere e poi scrittore d’arte. Ciò avvenne anche grazie alla frequentazione di alcuni giovani “progressisti” di Ventimiglia e Bordighera». (21) Alla fine degli anni Cinquanta era nata, infatti, l’Unione Culturale Democratica (UCD), alle cui attività Biamonti partecipò in prima persona. Per esempio, nel 1961 lo scrittore tenne una conferenza dal titolo La letteratura e la poesia francese nel dopoguerra (22) e pubblicò sul giornale del circolo un saggio su Merleau-Ponty. (23) A queste iniziative ne seguirono altre, come la conferenza del 1964 sull’“Arte di Ennio Morlotti”. In quegli anni Biamonti scrisse molte presentazioni per artisti locali, e non solo, con cui aveva stretto rapporti. Una tappa assai significativa di questo percorso fu la curatela di una monografia su Morlotti, pubblicata nel 1972. (24)

10 Decenni dopo Biamonti mise in relazione la nascita della sua passione letteraria 
alla lettura di Les fleurs du mal di Baudelaire, acquistato, da giovane, su una 
bancarella a Mentone: cfr. int. 96 (2001) e 97 (2001: 53). Tuttavia, Biamonti disse 
anche di aver trovato il libro su una bancarella a Sanremo: cfr. int. 88 (1999). 
Per l’edizione annotata dall’autore si veda infra, 149, n. 44.
11 Cfr. int. 97 (2001: 53).
12 Cfr. scr. (1994a).
13 Panella (2014a: 12).
14 Su cui si veda la testimonianza del pittore: Morlotti (2006: 65-67).
15 Racc. (1951). Per la nascita di questo racconto si rimanda a Maccario (2003). 
Anni più tardi Biamonti definì il testo «ingenuamente pascoliano»: int. 97 
(2001: 59). Da un punto di vista critico si veda Panella (2014a: 8).
16 Racc. (1956). Di questo testo, molto diverso da quello del 1951, Biamonti disse: 
«Sento l’influenza di Pavese e di Malraux. Mi dà disagio. Bisogna arrivare a una 
scrittura che abbia la grazia»: int. 97 (2001: 59). 
Da un punto di vista critico si veda Panella (2014a: 15).
17 Biamonti ipotizzò anche il titolo Il testimone inumano: cfr. Panella 
(2014a: 17, n. 47).
18 Racc. (1960).
19 Cfr. Morlotti (2006: 66). Oltre che da Dante Isella e da Oreste del Buono, di cui 
si conserva una lettera al proposito – Panella (2014a: 18) –, il manoscritto fu 
letto da Vittorini: cfr. int. 12 (1991) e 88 (1999). Lo scrittore non parlò mai 
volentieri di questo tentativo romanzesco: cfr. int. 3 (1983) e 97 (2001: 59).
20 A casa Biamonti si conservano oggi due testimoni integrali di Colpo di grazia.
21 Panella (2014a: 19).
22 Cfr. ivi (21); e anche int. 97 (2001: 51).
23 Scr. (1961).
24 Cfr. arte (1972a). L’attività di critico d’arte proseguì anche nel decennio 
successivo, sempre affiancandosi a quella di conferenziere. Si veda, per esempio, 
scr. (1976).

Matteo Grassano, Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Franco Angeli Edizioni, 2019, pp. 14, 15, 16

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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