Per Testori il luogo privilegiato delle intersezioni intermediali è costituito dal teatro

La figura di Testori può essere pienamente inserita nella categoria del «doppio talento», codificata dagli studi di Visual Culture in riferimento agli artisti-scrittori e agli scrittori-artisti. <5 Senza contare le molteplici declinazioni sperimentate dalla sua scrittura (romanzi, racconti, componimenti poetici, drammi, saggi, articoli), la Doppelbegabung si manifesta con straordinaria evidenza nel continuo dialogo intermediale ed intersemiotico fra le diverse forme artistiche che caratterizza la sua produzione, all’insegna di quella che l’autore stesso definisce «l’inseparabilità delle varie disposizioni a esprimersi». <6 Per intendere la posizione di Testori riguardo al problema può essere utile considerare la sua percezione del «doppio talento» di altri intellettuali, che affiora in un articolo del 1992 incentrato sui disegni realizzati da Johann Wolfgang Goethe durante il viaggio in Italia: “La questione degli scrittori che dipingono o disegnano, così come quella dei pittori che scrivono, è stata più e più volte affrontata, quasi mai, tuttavia, prescindendo dal valore o, quando ne sia il caso, dalla grandezza che un determinato artista ha raggiunto con il mezzo a lui più consono e proprio. Invece, proprio questo bisognerebbe fare. Il che non significa che debbano trascurarsi i rapporti, le intrusioni di un mezzo nell’altro e, persino, le opposizioni; al contrario; verificate, studiate e tenute sempre presenti tali trame, il giudizio deve essere poi esplicizzato, per ogni artista, sulle opere uscite dal cosiddetto «violon d’Ingres». Salvo il caso, supremo, di Michelangelo, le cui Rime non perdono un sol colpo, intendo proprio di bellezza, di forza e, appunto d’enormità, nei confronti della sua attività di scultore, architetto e pittore, quasi mai il giudizio arriva ad equiparare gli esiti dell’attività seconda agli esiti dell’attività prima. […] Vi sono tuttavia casi in cui l’attività seconda, senza raggiungere il livello dell’attività prima, ci si pone davanti come vitalissima aggiunta; talvolta, l’aggiunta si fa addirittura inquietante; tanto da esigere un metodo di lettura dell’attività prima assai diverso da quello che sarebbe naturale avere se l’attività seconda non esistesse. Ma, poiché questa esiste, è assolutamente ingiusto prescinderne”. <7
Emergono due aspetti non trascurabili: un’indicazione metodologica su come impostare la questione e la suddivisione degli artisti dotati di Doppelbegabung in due categorie, in base alla equipollenza o meno dei due talenti. Alla seconda categoria Testori riconduce i disegni di Victor Hugo, l’epistolario di Vincent van Gogh e i tentativi figurativi di Goethe durante il grand tour, alla prima le “Rime” del Buonarroti, per le quali scrive l’introduzione all’edizione Rizzoli del 1975, annotando come in esse le parole tendano ad «agglomerarsi in pietre» e i versi sembrino «catafratti» e materiati di una «marmorea sostanza». <8 L’autore ipotizza così per Michelangelo un’omologazione fra espressione in parole ed espressione in figura che, come risulterà in più punti di questo lavoro, ho ritenuto applicabile a Testori medesimo. Per comprendere i termini della questione dell’omologazione sarà opportuno estendere lo sguardo richiamando i presupposti del nesso fra letteratura e arte visiva in Testori.
[…] Alla domanda «Potrebbe indicarci quali sono i suoi “padri” in ambito letterario?», Testori risponde: “I miei padri sono tutti pittori. Nella letteratura forse gli elisabettiani, di cui mi sono nutrito di più. Degli italiani Gadda, che però risulta prevedibile. Lui sapeva quello che faceva, e questo è il suo limite. Non va mai al di là, la sua parola è sempre qua, è sempre letteratura, mentre per me la parola che mi riguarda è la parola che diventa profezia, che spacca, che va oltre; la parola che è letteratura, ma non è letteratura. Poi a me piacciono moltissimo i lombardi. L’ultimo Tiziano, l’ultimo Caravaggio. Ci sono cose che non si possono fare con la parola e oltre le quali c’è il silenzio. «Verbum caro factum est»: non c’è nessuna poesia che dica questo!” <9

Queste affermazioni illuminano alcuni dei lineamenti fondamentali della poetica testoriana. Innanzitutto, i debiti nei confronti di Shakespeare, come attestano “L’Ambleto” (1972) e “Macbetto” (1974), ma anche l’originalissimo parallelo che Testori istituisce fra “La dodicesima notte” e la pittura di Lorenzo Lotto nell’articolo “Il manto della malinconia”, uscito sul «Corriere della sera» il 2 febbraio 1976. In secondo luogo, i legami con la «linea lombarda» in letteratura, con la citazione di uno dei principali esponenti, Gadda, anche se le influenze di Porta, degli Scapigliati e soprattutto di Manzoni su Testori risultano più profonde. Poi, l’esplicitazione immediata e perentoria di una preminenza degli ascendenti artistici rispetto a quelli letterari, con particolare riferimento alla «linea lombarda», questa volta declinata in senso figurativo, sulla scorta della lezione longhiana. Infine, la ricerca inesausta di una parola che non sia un mero e inerte elemento di un testo, ma che, trascendendo le barriere delle forme espressive letterarie e artistiche, si faccia carne, in un tentativo di penetrare il mistero dell’Incarnazione che percorre ossessivamente la produzione testoriana. Da qui l’oltranzismo della sperimentazione linguistica, «non solo rivolto a indicare il fulcro del corpo e del sangue, ma anche a trasformare lo stesso linguaggio fino a fare un corpo, qualcosa di materico, di “incarnato”». <10 L’intervista rilasciata a Cappello pone in primo piano il gusto eminentemente visivo di Testori, che, evidenziato già da Elio Vittorini nella presentazione a “Il dio di Roserio” (1954), <11 è stato oggetto di riflessione per la critica dagli esordi dell’autore sino ad oggi. In uno dei più interessanti fra i contributi recenti (2019), Laura Pernice rileva come esso dia luogo ad un intreccio «consustanziale, osmotico e intermediale ante litteram». <12 Al fine di analizzare le traslazioni semiotiche, «frutto dell’assorbimento costante e famelico di codici segnatamente visivi», <13 Pernice mutua un prezioso strumento euristico, la «concrescenza genetica» delle opere, dagli studi di Michele Cometa, che la definisce come la pratica nella quale «le due arti, i due media, collaborano, anche se in diversa misura, alla definizione di un unico mondo immaginale». <14 La studiosa applica tale categoria alla genesi delle opere testoriane, distinguendo le concrescenze genetiche sincroniche, che si realizzano se la nascita di opere verbali e figurative è contestuale, da quelle asincroniche, dove essa è differita nel tempo. Oltre alle suggestioni della “Visual Culture” appena menzionate, i lineamenti fondamentali dell’impostazione metodologica che ha sovrinteso a questa tesi sono sostanzialmente ricollegabili a quelli che innervano, senza irrigidimenti normativi e anzi con apertura di sguardo, le esplorazioni compiute da Marcello Ciccuto nel territorio degli scambi e della complicità fra parola e immagine dalle Origini al Novecento, soprattutto “L’immagine del testo. Episodi di cultura figurativa nella letteratura italiana” e “I segni incrociati. Letteratura italiana del ‘900 e arte figurativa”. Sono, inoltre, da ricondurre alle indagini sull’intertestualità letteraria e figurativa fiorite in ambito italianistico sulla scorta del magistero di Ezio Raimondi. In studi quali “Il colore eloquente. Letteratura e arte barocca, Barocco moderno. Roberto Longhi” e “Carlo Emilio Gadda e Ombre e figure. Longhi, Arcangeli e la critica d’arte” Raimondi si configura erede della riflessione bachtiniana sul dialogo, inteso anche come dialogo fra forme espressive differenti. Il presupposto dal quale ho preso le mosse consiste nel contemplare la possibilità di considerare le opere di arte visiva anche come dei testi, <15 ciò che mi ha permesso di ipotizzare ipotesti letterari ma anche visivi per alcune opere letterarie di Testori e ipotesti figurativi ma anche letterari per parte della sua produzione pittorica. L’assimilazione che ho condotto fra testi in parole e in figura non pretende di essere totalizzante, ossia di annullare le differenze fra i fenomeni espressivi, né di impoverire la specificità della natura del dato figurativo o la ricchezza degli apporti degli studi di matrice storico-artistica, ma si propone di assumere il profilo di uno strumento utile a gettare luce nella complessa questione del dialogo intersemiotico in Testori.
A questo proposito è interessante notare come per Testori il luogo privilegiato delle intersezioni intermediali sia costituito dal teatro. La drammaturgia riveste un ruolo rilevantissimo nella sua parabola artistica ed esistenziale, che lo vede collaborare con alcuni fra i massimi interpreti italiani del secondo Novecento, Franca Valeri, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Sergio Fantoni, Tino Carraro, Lilla Brignone (una magnifica Marianna de Leyva nella “Monaca di Monza”, e al contempo una memorabile Agnese nella versione televisiva dei “Promessi sposi” del 1967, sceneggiata da Sandro Bolchi e Riccardo Bacchelli), Adriana Innocenti, Andrea Soffiantini, per non parlare del sodalizi con Franco Parenti e Franco Branciaroli. Per mezzo del teatro Testori può esplicare la sua concezione estetico-cristologica della necessità di una parola che si faccia carne, ma anche ripensare e riproporre in nuova forma le proprie riflessioni critiche sul sincretismo espressivo dell’arte architettonica, plastica e pittorica dei Sacri Monti lombardo-piemontesi, da lui non a caso definita «gran teatro montano».

Nel saggio omonimo (1965) e nella presentazione della mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento del 1955 individua il creatore del «teatro in figura» del Sacro Monte di Varallo nell’amato Gaudenzio Ferrari, capace di ideare lo «svolgimento di un’azione drammatica che vive dello scambio continuo tra il suo moto dinamico interno (pittura-scultura) e la sua esterna possibilità di far avvenire sempre, proprio perché stabili e fermi, i singoli atti di cui si compone». <16 È grazie a Gaudenzio che «la cultura figurativa piemontese giunge a realizzare in pienezza […] la sua disposizione […] alla rappresentazione teatrata». <17 La drammaturgia gaudenziana tocca il suo apice con la Cappella XXXVIII, dedicata alla Crocifissione, «l’azione drammatica più grande che mai, fuor dal vero e proprio teatro, la morte di Cristo abbia avuto». <18 L’investigazione testoriana si esercita anche sui successori di Ferrari fra fine Cinquecento e Settecento, in particolare Giacomo Paracca, che con la Cappella della Strage degli innocenti (Cappella XI) dispiega un «teatro della crudeltà» non indegno degli scrittori elisabettiani coevi assai apprezzati dall’autore, <19 i fratelli Giovanni e Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Beniamino Simoni.
Accanto alla produzione teatrale, dagli esordi di “La morte. Un quadro” e “Tentazione” nel convento alle riletture manzoniane della “Monaca di Monza” e dei “Promessi sposi” alla prova, dal magma della sperimentazione linguistica della Trilogia degli “Scarrozzanti” all’approdo di fede della “Seconda Trilogia”, da “Post-Hamlet” alla “Prima” e “Seconda Branciatrilogia”, dall’impasto di ascendenze barocche e decadenti di “Erodiade prima” e “Erodiade” (II) al testamento stilistico-spirituale dei “Tre lai”, questo lavoro ha esaminato tutte le altre angolazioni della scrittura testoriana. La ricerca di tracce di commistione intermediale ha perciò riguardato anche le raccolte di racconti e i romanzi del ciclo “I segreti di Milano” (Il dio di Roserio, Il ponte della Ghisolfa, La Gilda del Mac Mahon, Il fabbricone, Nebbia al Giambellino), il romanzo-poema in prosa “La cattedrale”, la personalissima riproposizione delle “Passiones martyrum” nella “Passio Laetitiae et Felicitatis”, l’oltranza profetico-apocalittica degli “Angeli dello sterminio”. Si è inoltre incentrata sui componimenti poetici, dagli esperimenti barocchi dei “Trionfi”, “Suite per Francis Bacon” (I) e (II) e “Dies Illa”, alla conquista della semplicità di “A te” e “Nel tuo sangue”, passando attraverso suggestioni pittoriche da Tanzio da Varallo, Géricault, Bacon, Caravaggio, Michelangelo, Grünewald. Particolarmente significative le ekphraseis poetiche di “Maddalena”, una sorta di introduzione in versi al catalogo della mostra “La Maddalena”, allestita a Palazzo Pitti a Firenze nel 1986 con opere realizzate fra il Medio Evo e l’Ottocento da alcuni degli artisti più vicini alla sensibilità testoriana, quali Grünewald, il Pordenone, Giovan Gerolamo Savoldo, il Romanino, Gaudenzio Ferrari, Tiziano, il Morazzone, Caravaggio, Francesco Cairo, Giacomo Ceruti, Francis Bacon, Paul Cézanne, <20 e di Segno della gloria, raccolta di componimenti pubblicati fra il 1985 e il 1992 in cataloghi, plaquettes ed edizioni d’arte a tiratura limitata e dedicate ai contemporanei Giorgio Morandi, Giancarlo Vitali, Arnulf Rainer, Enzo Cucchi, Hermann Albert, Rainer Fetting, Marcus Lupertz, Marino Marini, Samuele Gabai.
L’attenzione si è poi naturalmente concentrata sulla prosa critica testoriana, con un’analisi non soltanto degli interventi su riviste scientifiche, «Paragone» su tutte, ma anche di quelli usciti su periodici, dalle collaborazioni giovanili con «Via Consolare» e «Architrave», a quelle, assai più durature e significative, con «Il Sabato» e «Il Corriere della sera». Quest’ultima in particolare, protrattasi dal 1975 sino al 1993, l’anno della scomparsa, dà luogo a centinaia di articoli. Fra questi, 676 – che, avvalendomi della bibliografia curata da Davide Dall’Ombra, ho rintracciato e preso in esame nell’Archivio Storico del «Corriere della sera» – sono, appunto, di argomento artistico e spaziano tra molteplici manifestazioni dei fenomeni figurativi (pittura, scultura, architettura, design, fotografia e arti decorative) all’interno di vaste coordinate storico-geografiche, ad abbracciare vari secoli e tradizioni culturali. Si alternano recensioni di mostre e di volumi, con appassionati elogi ma anche con giudizi negativi – talora espressi con pungente, irresistibile ironia – su parte della produzione di alcuni protagonisti dell’arte moderna e contemporanea (Giuseppe Arcimboldo, Pierre Bonnard, Egon Schiele, Christian Schad, Balthus, Giorgio De Chirico, Pablo Picasso) e con clamorose stroncature di più di un’edizione della Triennale di Milano e della Biennale di Venezia, segnalazioni di esposizioni di artisti emergenti, celebrazioni di anniversari di artisti, critici, collezionisti e mercanti d’arte. Le pagine giornalistiche testoriane sono animate da confronti con gli altri studiosi (Federico Zeri, Flavio Caroli, Vittorio Sgarbi), da polemiche con i sostenitori di linee interpretative lontane da quell’autore (Giulio Carlo Argan, Achille Bonito Oliva), da considerazioni su restauri più o meno ben fatti, da rilievi sul valore civile e didattico dei beni culturali, da ricordi autobiografici, da tributi in occasione della scomparsa di eminenti critici (Roberto Longhi, Carlo Ludovico Ragghianti, Cesare Brandi), da rievocazioni di amicizie con figure di rilievo dell’arte novecentesca (Renato Guttuso, Varlin, Ennio Morlotti), raggiungendo esiti tali da rendere questi testi degni oggetti di indagine sotto il profilo della critica letteraria, un’indagine che vorrei costituisse uno degli apporti originali della tesi. Ad essi si affiancano gli articoli scritti da Testori in veste non soltanto di storico dell’arte ma di polemista, chiamato a pronunciarsi sul «Corriere della sera» su «casi di cronaca o questioni teologiche scoprendo la propria religiosità nel solco della pietà, della speranza e della carità». <21 Il 1978 registra l’inizio della collaborazione con «Il Sabato», settimanale che dà voce al Movimento di Comunione e Liberazione, cui l’autore si lega sul piano ideale e culturale. Gli interventi usciti su entrambi i periodici negli anni fra il 1977 e il 1981 si configurano come uno dei più originali frutti dell’officina testoriana, giacché attestano una vibrante disposizione omiletica che trascende le forme tipiche della prosa giornalistica, come testimonia la raccolta “La maestà della vita”. Alla rassegna dei materiali oggetto di studio occorre aggiungere i cataloghi delle mostre che vedono Testori protagonista da almeno tre punti di vista, ossia quelle al cui allestimento collabora come curatore, quelle che espongono opere da lui dipinte e quelle che ripercorrono i momenti, le figure, le correnti della storia dell’arte da lui frequentati in qualità di critico e di collezionista. Fra queste ultime mi limito a menzionare “Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari”, che, allestita fra Varallo Sesia, Vercelli e Novara nel 2018 – in concomitanza con il venticinquesimo anniversario della morte dell’autore, segnato da convegni, lezioni, conferenze, spettacoli teatrali ed esposizioni che hanno illuminato la poliedricità della sua figura -, ha avuto il merito di sottolineare il suo imprescindibile contributo agli studi gaudenziani. Segnalo, infine, tra gli strumenti più preziosi per delineare cammini interpretativi nel folto materiale testoriano, la bibliografia curata da Davide Dall’Ombra per l’Associazione Giovanni Testori, i percorsi figurativo-letterari dei volumi della collana “Testori a…”, illustrati per Silvana Editoriale da Giovanni Agosti e dagli altri studiosi dell’Associazione, e l’Archivio Testori online, che permette una consultazione ordinata delle riproduzioni delle opere disegnate e
dipinte dall’autore e delle schede ad esse relative.
[NOTE]
5 Cfr. M. COMETA, Al di là dei limiti della scrittura. Testo e immagine nel “doppio talento”, in Al di là dei limiti della rappresentazione. Letteratura e cultura visuale, a cura di M. Cometa e D. Mariscalco, Macerata, Quodlibet, 2014, p. 52 e L. PERNICE, La parola negli occhi. Il genio di Testori tra letteratura e arti figurative, in «Arabeschi», n. 13/2019, in http://www.arabeschi.it/la-parola-negli-occhi-il-genio-di-testori-tra-letteratura-e-artifigurative/, pp. 107-108.
6 G. TESTORI, Divagazioni su Daniele Crespi, in ID., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, cit., p. 326.
7 ID., Tra i fantasmi dei templi siciliani, in «Il Corriere della sera» (d’ora in poi CdS), 26 aprile 1992.
8 ID., Introduzione, in M. BUONARROTI, Rime, introduzione di G. Testori, cronologia, premessa e note a cura di E. Barelli, Milano, Rizzoli, 1975, p. 7.
9 G. CAPPELLO, Giovanni Testori, cit., p. 3. Acute osservazioni su questa dichiarazione di poetica in G. TAFFON, Dedicato a Testori. Lo scrivano tra arte e vita, Roma, Bulzoni, 2011, pp. 11-45 e Lo scrivano, gli scarozzanti, i templi. Giovanni Testori e il teatro, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 19-54.
10 R. RINALDI, Testori o della profondità, in ID., Romanzo come deformazione. Autonomia ed eredità gaddiana in Mastronardi, Bianciardi, Testori, Arbasino, cit., p. 138.
11 Annotazioni sull’interpretazione di Vittorini in F. PANZERI, Note ai testi, in G. TESTORI, Opere 1. 1943-1961, introduzione di G. Raboni, a cura di F. Panzeri, Milano, Bompiani, 2008, pp. 1272-1273.
12 L. PERNICE, La parola negli occhi. Il genio di Testori tra letteratura e arti figurative, in «Arabeschi», n. 13/2019, in http://www.arabeschi.it/la-parola-negli-occhi-il-genio-di-testori-tra-letteratura-e-artifigurative/, p. 110.
13 Ivi, p. 112.
14 M. COMETA, Al di là dei limiti della scrittura. Testo e immagine nel “doppio talento”, in Al di là dei limiti della rappresentazione. Letteratura e cultura visuale, cit., p. 54.
15 In questa direzione è a mio avviso interpretabile lo spunto proposto da Bachtin nel capitolo 5 di Dostoevskij. Poetica e stilistica: «considerando i rapporti dialogici in senso lato, essi sono possibili anche tra altri fenomeni significativi, purché questi fenomeni siano espressi in un qualche materiale segnico. Ad esempio, i rapporti dialogici sono possibili tra immagini di altre arti» (M. BACHTIN, Dostoevskij. Poetica e stilistica [1963], trad. it. di G. Garritano, Torino, Einaudi, 1968, p. 239).
16 G. TESTORI, Il gran teatro montano. Saggi su Gaudenzio Ferrari, in ID., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, cit., p. 38. Testori ipotizza che lo svolgimento drammatico sia affidato da Gaudenzio alla dialettica fra personaggi agenti, plasticati, ed assistenti, dipinti.
17 ID., Mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento, in ID., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, cit., p. 201.
18 ID., Il gran teatro montano. Saggi su Gaudenzio Ferrari, in ID., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, cit., p. 79.
19 ID., La Cappella della Strage. Il dialetto «strangosciato» del Paracca, in ID., La realtà della pittura. Scritti di storia e critica d’arte dal Quattrocento al Settecento, cit., pp. 194-195.
20 La raccolta poetica risale al 1989. Contemporaneo alla mostra l’intervento La Maddalena fra peccato e salvezza, in CdS, 28 maggio 1986.
21 F. PANZERI, Note ai testi, in G. TESTORI, Opere 3. 1977-1993, a cura di F. Panzeri, frammenti critici di G. Raboni, Milano, Bompiani, 2013, p. 2016.
Francesca Longo, «I miei padri sono tutti pittori». Giovanni Testori fra letteratura e arti visive, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” – Vercelli, 2022

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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