Malerba riutilizza questi fondamentali del romanzo poliziesco per costruire la sua parodia

I fondamenti del genere poliziesco sono rintracciabili in molti testi di Malerba e attraversano, impostandone gli sviluppi, la gran parte dei suoi romanzi, dagli esordi fino alle ultime opere. Malerba, come ha notato Chiara Chiafele in uno studio tutto dedicato agli schemi del giallo presenti nell’autore emiliano, “inizia la sua carriera letteraria proprio in un periodo in cui il giallo sta riscuotendo in Italia particolare favore tra gli autori e i cultori della letteratura di qualità, ovvero nel ventennio compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta, quando, infatti, romanzieri come Gadda, Sciascia e Soldati, avvalendosi del genere ne sfruttarono le strategie narrative”. <53
Malerba, come più volte è capitato di notare, rivolge con attenzione e costanza lo sguardo all’attività letteraria e culturale a lui contemporanea ed evidentemente il successo editoriale del giallo in quegli anni e la nobilitazione vissuta dal genere utilizzato anche da figure di spicco dell’epoca ha facilitato il riutilizzo da parte dell’autore emiliano di alcuni dei suoi schemi.
“Salto mortale” è tra i testi che sicuramente e più esplicitamente di altri gioca con i cliché del genere; resta fondamentale la lettura di quest’opera e dei suoi schemi offerta da Maria Corti: “È possibile ascrivere il testo a un preciso genere letterario? A prima vista la risposta sembra positiva: romanzo giallo. Tuttavia nel senso canonico, codificato, questo romanzo, giallo non è; l’autore usufruisce delle codificazioni del romanzo giallo per esercitarvi la sua sperimentazione tematica fino al limite della rottura e trasformazione del genere. La novità dell’impianto sta, per così dire, nella costruzione di un giallo sul giallo: vi è un primo livello, conforme al codice tematico del genere, in cui compare il solito assassinato (il libro si apre con un cadavere sul prato e i soliti indiziati; ma vi è un secondo livello, in cui lo scarto è dominante, i fatti vengono legati, incatenati, correlati per una nuova funzione sulla base di un piano calcolatissimo da cui si genera la struttura e il significato del libro; qui c’è davvero una sorta di sfida al lettore, il quale si trova trasformato in un commissario Maigret di nuovo tipo, assai impegnato per tutto il libro a districare non le intenzioni e i fini di un criminale, bensì le intenzioni e i fini di uno scrittore, i trabocchetti del suo grottesco, e magari un po’ intellettualistico, gioco di invenzione”. <54
La Corti ripercorre brevissimamente l’intreccio, identificandone gli elementi tipici del romanzo poliziesco, ma sottolineando – con la felice definizione di «giallo sul giallo» – la natura metaletteraria del testo che pone il lettore in una posizione attiva, di interprete del testo e delle «intenzioni» dell’autore. La scomposizione e il riutilizzo degli schemi polizieschi spostano subito l’attenzione più che sulla risoluzione dell’enigma e sulla ricerca del colpevole, sui meccanismi e sulle strutture che vanno a comporre l’opera, caratterizzata, da questo punto di vista, da una molteplicità di soluzioni <55: “il testo si apre a più possibilità di lettura a causa della frammentazione e della alogicità della disposizione degli eventi, del sovrapporsi delle figure di vittima e carnefice, di detective e colpevole, tutti elementi che vanno a scardinare la solida e razionale concatenazione di cause ed effetti tipica del romanzo giallo, completamente sostituita dal «tipico processo associativo dei cervelli malati» che vanno a strutturarsi seguendo i «salti mentali del protagonista», le sue «digressioni-divagazioni che si articolano entro la struttura del romanzo». <56
Da subito, quindi, gli schemi del giallo, adattandosi perfettamente anche ai personaggi e all’idea di romanzo di Malerba, risultano particolarmente efficaci come esperimento metaletterario e meccanismo autoriflessivo. Accanto all’evidente presenza dell’impostazione giallistica di “Salto mortale”, si possono schierare anche alcuni sviluppi di trama del “Serpente”, testo che nasconde alcune strutture poliziesche, a partire dal racconto offerto dal punto di vista dell’assassino. La natura poliziesca del testo si rivela nel finale, quando il protagonista si presenta in commissariato per confessare l’omicidio di Miriam e il suo atto di cannibalismo: la polizia non rileva alcuna traccia dell’esistenza della donna, annullando completamente ogni credibilità dell’io narrante e vanificando lo scioglimento classico del giallo e il riconoscimento del colpevole.
In questa sospensione dello scioglimento, nell’assenza dell’assassino, della vittima, dell’omicidio e nella perplessità che tutto questo provoca nel lettore si può benissimo intravedere il rivoluzionamento del procedimento adottato da Malerba: nei romanzi malerbiani viene a mancare la risoluzione dell’enigma, che resta tale lasciando il finale aperto, eludendo anche l’agnizione finale tipica della struttura chiusa del genere.
In alcuni casi sono gli stessi protagonisti malerbiani a sottolineare l’assenza e l’irraggiungibilità di uno scioglimento finale dell’intreccio giallistico: “Ho ringraziato il mio amico Costantino C. e l’ho insignito scherzosamente del titolo di “detective optimus” per il suo contributo alla mia indagine. Poi ho voluto giustificare il mio interesse per tutta quella faccenda confidandogli che effettivamente avevo intenzione di scrivere un romanzo tra il giallo e la fantapolitica se appena fossi riuscito a capire qualcosa di solido intorno all’assassinio di quella donna, che mi sembrava la chiave di volta dell’intera storia. Per il momento ero anch’io nella totale confusione e le mie ipotesi precedenti non si reggevano più in nessun modo”. <57
Nelle note finali del “Pianeta azzurro” Malerba rivela la sua presenza in quanto autore e le sue intenzioni riguardo alla realizzazione di un romanzo giallo, incentrato sull’omicidio di Esther: nel farlo indica il nome del detective della storia insieme alla «totale confusione» provocata dal gran numero di ipotesi intorno al caso che in nessun modo avrebbe potuto essere risolto. Anche “Il pianeta azzurro” contiene dunque gli schemi tipici del romanzo poliziesco, con sfumature e finalità anche fantapolitiche, e anzi in esso si intrecciano varie e ingarbugliate linee narrative, in primis il racconto ipotetico di Demetrio e la sua lunga ed elaborata progettazione dell’omicidio del Professore: “È chiaro che Demetrio aveva incominciato a scrivere una storia impossibile. Contrariamente a ogni consuetudine narrativa aveva preteso di raccontare dei fatti prima che accadessero. Tutto questo non è proibito, a condizione che non si voglia imprimere al racconto il sigillo di verità. Le frequenti digressioni erano la riprova che Demetrio si era imbarcato in una impresa obiettivamente troppo difficile”. <58
Il chiosatore, in questa sua parantesi, si sofferma a descrivere l’esperimento letterario e narrativo di Demetrio, sottolineandone l’impossibilità strutturale e soprattutto l’errore, inammissibile, di aver raccontato fatti riguardanti l’omicidio prima che questo fosse avvenuto, ribaltando così ogni logica disposizione degli eventi, secondo anche gli schemi del romanzo poliziesco nel quale canonicamente l’assassinio è raccontato all’inizio e il colpevole rivelato alla fine. Lo stesso Demetrio è cosciente sia di tali codificazioni sia di averle infrante: “Mi sembrava proprio di stare dentro a un libro giallo dove si raccontano tutti i preparativi che fa l’assassino prima di commettere il delitto. Veramente nei gialli di solito si segue l’azione del detective che indaga mentre in questo caso io seguo l’azione del futuro assassino, che coincide con la mia persona”. <59
In questi rovesciamenti che caratterizzano tutto Il pianeta azzurro si scoprono le modalità attraverso cui Malerba riutilizzerà i procedimenti tipici del romanzo giallo, sottoposti ad un sostanziale ribaltamento nello svolgimento, nei personaggi che vengono anche a sovrapporsi, nella pluridirezionalità degli eventi sempre carichi di significati diversi.
Allo stesso modo si può leggere anche “Le pietre volanti”, nel quale il protagonista Ovidio Romer si prodiga in una indagine disperata riguardante la morte della madre e la ricerca del padre scomparso, provando quasi paura a stabilire delle connessioni tra i due eventi. Anche Ovidio come gli altri personaggi malerbiani si abbandona spesso a riflessioni metaletterarie: “Non sono mai riuscito a leggere i libri gialli e a seguire le loro astruse geometrie. C’è una ragione: in quelle trame i conti alla fine tornano sempre, mentre nella vita quasi mai. C’è un’altra ragione. Non sopporto che tutta l’attenzione sia diretta alla ricerca dell’assassino e venga trascurata o addirittura dimenticata la vittima. Questo falsifica ogni volta lo sviluppo della storia e dirotta le attese del lettore”. <60 Oltre alla questione e alla tormentata relazione tra vittima e assassino, in questo breve brano emerge con chiarezza la vera problematica del romanzo giallo, ovvero la sua pretesa di inserire la realtà in una griglia razionale e logica nella quale tutto è sempre in ordine, tutto è spiegabile e giustificabile.
Nei romanzi di Malerba lo schema giallistico e i suoi procedimenti vengono presi come riferimento di modalità interpretative erronee degli eventi, del mondo stesso e proprio per questo ribaltate, proiettate nell’ipoteticità di un racconto nel quale i fatti sembrano non essere connessi fra loro. L’interesse di Malerba non è mai focalizzato sulla risoluzione del caso (e dunque sulla ricerca dell’assassino) che sembra quasi obliarsi in omicidi mai avvenuti: l’enigma resta inafferrabile perché in realtà insolubile, disinnescando così uno degli elementi più importanti dei romanzi gialli, ovvero l’effetto sorpresa, il momento nel quale il colpevole viene smascherato. In alcuni testi addirittura (“Il serpente” e “Il pianeta azzurro”) viene a mancare anche la vittima, fantasma probabilmente inesistente inventato dalla fervida immaginazione del potenziale assassino.
Date tutte queste premesse, “Il protagonista” non contiene strutture poliziesche evidenti come nel caso dei testi appena citati, ma al suo interno non mancano alcuni dei procedimenti visti. Già Paolo Mauri aveva indicato quanto «meno appariscente» fosse «la struttura inquisitoria» del Protagonista che, tuttavia, «obbedisce al bisogno dell’investigazione» conducendo «una forma sua propria di “Permangono nuclei di storia gialla, anche se spesso si tratta soltanto di nuclei che non attivano il racconto in direzione consueta”. <61 L’interpretazione di Mauri indica giustamente l’impostazione del “Protagonista” come inquisitoria nei confronti della realtà, ma soprattutto come edificata su «nuclei» tipicamente polizieschi e riconducibili quindi al genere giallo, i quali però, come anche nei romanzi precedentemente citati, non seguono schemi e codici tradizionali. Uno di questi nuclei è sicuramente quello riguardante la relazione con Elisabella, la quale si toglierà la vita divorata dalla gelosia e da una rassegnata disperazione dopo aver tentato in tutti i modi di instaurare un rapporto amoroso con il Capoccia. A causa di questo misero fallimento, assalita dalla malinconia, la protagonista femminile deciderà di avvelenarsi e verrà poi ritrovata morta nella tana del suo amato: “Che tristezza che peso che malinconia che noia, diceva Elisabella, da sola nella tana da una stanza all’altra girare a
vuoto in questo modo. Che cosa faccio adesso qui da sola umiliata e offesa come quei tali?” (p. 136)
Dopo un ridicolo e tragicomico tentativo di rendersi felice solleticandosi la pianta dei piedi, Elisabella percepisce l’irrealizzabilità della sua storia d’amore, esplicitando anche lo stallo narrativo in cui viene a trovarsi che la costringe a gironzolare per la tana senza alcuna direzione. L’unica scappatoia che riuscirà a trovare sarà il suicidio; infatti, solo trovando il suo corpo morto il Capoccia, in una raccapricciante scena di necrofilia, riuscirà ad avere un incontro fisico con lei, coronamento paradossale e disgustoso di un intreccio amoroso rocambolesco.
A differenza degli altri romanzi citati, nel “Protagonista” l’io narrante non è un assassino nel senso stretto del termine, ma dopo tale evento risulta essere il primo indiziato: è lui stesso, infatti, a chiamare la polizia che prontamente si manifesta nel suo appartamento, verso la fine del romanzo, occupato, come anche “Il serpente”, da un interrogatorio. Tuttavia, se nel “Serpente” l’interrogatorio del commissario di polizia si estende a più capitoli ed anzi risulta essere fondamentale per le sue implicazioni metaletterarie, nel “Protagonista” il tutto viene trasportato in una dimensione sebbene più circoscritta di certo più assurda: “Ha chiamato i carabinieri guardate che questa io non c’entro si è avvelenata. Volevano sapere ma almeno le dispiace? E lui diceva è naturale. Se eravate fidanzati. Quasi. Hanno trovato un biglietto nel cassetto del comodino, ecco che sono rovinato. E invece il biglietto diceva adesso sono morta come la balena forse così ti piace. Come sarebbe, dicevano i carabinieri, forse così ti piace? Che cosa intendeva dire la morta quando era viva con questa frase? E chi è la balena, forse una donna rivale? Allora siamo di fronte a un dramma della gelosia a quanto pare.” (p. 147)
I carabinieri sono ovviamente perplessi nell’ascoltare i discorsi assurdi del Capoccia; tutta l’inchiesta è sfruttata solamente per evidenti fini comici, grotteschi, nessuno si preoccupa di ricostruire logicamente la faccenda: “Anche il Colosseo allora come mole, dicevano i carabinieri. Il Colosseo, il Capoccia diceva, è un mammifero per caso? Questo no, dicevano loro, ma le visite nottetempo al padiglione dell’animale come le spiegate? Come si va, lui diceva, a visitare un museo né più né meno, di notte si è meno disturbati. Nemmeno il museo è un mammifero se vogliamo essere sinceri, dicevano i carabinieri. Ci risulta, dicevano ancora i carabinieri, che lei è andato dal custode per avere informazioni sul sesso dell’animale. Su questo che cosa ha da dichiarare? Niente, signori carabinieri. Qualcosa deve dichiarare per forza altrimenti c’è la prigione per reticenza grave. I miei rapporti erano normali come fra un uomo e una bestia imbalsamata, lui diceva.”(p. 148)
Nella ricostruzione dei fatti, momento essenziale del romanzo poliziesco, in particolar modo per il detective protagonista, vengono esplicitate quelle connessioni razionali che stabiliscono i moventi dell’omicidio, il quadro di eventi nel quale vengono a comporsi cause e conseguenze. Nel momento in cui invece il Capoccia viene sottoposto all’interrogatorio non solo si sprofonda nella dimensione comico-erotica del “Protagonista”, con la consueta intersezione e sovrapposizione di voci che rende il tutto più confuso, ma è completamente destrutturata e ridicolizzata la meta verso la quale ogni romanzo giallo si dirige. In questo senso, nel mancato scioglimento dell’intreccio, viene a inserirsi
significativamente il nucleo narrativo poliziesco di cui parla Mauri, nucleo che si disattiva
immediatamente: “Allora fate una cosa, lui diceva, fate finta di niente, lasciate passare pochi anni e tutto verrà dimenticato. Se pochi anni vi sembrano pochi lasciate passare un secolo e vedrete che di tutto questo non resterà nemmeno una parola.” (p. 149)
L’inchiesta viene lasciata deperire e, contrapposta all’inevitabile scorrere del tempo, si riduce infinitesimamente nella sua importanza, già ampiamente ridicolizzata attraverso i ragionamenti paradossali dei carabinieri-investigatori. Se, come ha affermato Brecht, «il romanzo poliziesco […] ha come argomento il pensiero logico ed esige che il lettore ragioni logicamente», <62 allora “Il protagonista”, nella sua carica parodistica, riprende tali elementi e iperbolicamente li neutralizza privandoli del ruolo che avrebbero avuto nella loro normale dimensione letteraria, quella del romanzo giallo codificato da meccanici e precisi schemi: “C’è un’infinità di schemi per i romanzi polizieschi, l’importante è che siano schemi. […] Il lettore non viene ingannato, tutto il materiale gli viene messo sotto gli occhi prima che il detective risolva l’enigma. Egli viene messo in grado di cercare lui stesso la soluzione.” <63
Nel “Protagonista”, invece, Malerba riprende solamente un elemento del romanzo poliziesco (l’interrogatorio a seguito di un presunto delitto), estremizzando le ipotesi e i ragionamenti riguardanti la scena del delitto e gli eventi che l’hanno preceduta. Ad interessare l’autore allora è il processo paralogistico di interpretazione dei fatti, in contrapposizione alla lucida scientificità e razionalità che caratterizza molti indagatori della letteratura poliziesca: “È sorprendente notare quanti punti di contatto ci siano fra lo schema fondamentale di un buon romanzo poliziesco e i metodi di lavoro dei nostri fisici. Si comincia col registrare certi fatti. […] Poi si avanzano alcune ipotesi di lavoro che collimano coi fatti. Si aggiungono dei fatti nuovi o alcuni dei fatti già annotati perdono d’importanza e sorge così la necessità di cercare una nuova ipotesi di lavoro. Alla fine l’ipotesi di lavoro viene messa alla prova, si ha cioè l’esperimento. Se la tesi è esatta, basta prendere una certa misura e l’assassino farà la sua comparsa in quel determinato momento e in quel dato luogo. Decisivo è il fatto che non le azioni vengono fatte derivare dai caratteri ma i caratteri dalle azioni. Si vedono agire i personaggi, a frammenti. I loro movimenti sono avvolti dall’oscurità e bisogna ricostruirli logicamente. Si suppone che siano i loro interessi, e quasi esclusivamente i loro interessi materiali, a determinare le loro azioni. È di tali interessi che si va in cerca. È facile vedere quanto ci si accosti in tal modo al punto di vista scientifico e quanto grande sia la distanza dal romanzo psicologico introspettivo.” <64
Malerba riutilizza questi fondamentali del romanzo poliziesco per costruire la sua parodia, nullificando in primis «la possibilità di determinare la causalità delle azioni umane» <65 e dunque il piacere intellettuale che il giallo offre al lettore, ponendo invece l’investigatore di fronte a cause, a moventi del tutto irrealistici. La struttura giallistica, inoltre, nel suo ben codificato ordine che muove dal delitto, prosegue nell’indagine e si conclude con il riconoscimento dell’assassino e la soluzione del caso, viene completamente sovvertito ed anzi, nel “Protagonista”, resta distanziata, sullo sfondo e utilizzata in chiave comica per ridicolizzare la continua ricerca di significato.
Inoltre, in questo romanzo è presente un altro nucleo di storia gialla, un enigma da risolvere che vede il Capoccia calarsi nei panni dell’investigatore sulle tracce della reale identità di Elisabella, conosciuta alla radio e incontrata per la prima volta nel capitolo settimo (Isabetta o Elisabella?), dove assistiamo ad un altro interrogatorio seguito dalle consuete ipotesi strampalate e paralogistiche. L’io narrante conosce a Orvieto la probabile sorella gemella di Elisabella, Isabetta; le loro voci sono identiche tanto da far nascere un forte dubbio nel protagonista che, credendo paranoicamente di essere caduto in una trappola, comincia a pensare di essere di fronte a una persona sola. Il mistero dell’identità di Elisabella resta insoluto per tutto il romanzo, non ci sono prove dell’unicità o della duplicità di questa figura femminile, la quale è, come accade anche in altri testi di Malerba, un’assenza, forse una fantasticheria del narratore. Tuttavia, il Capoccia, pervaso dal desiderio di conoscere la verità prosegue nella sua inchiesta imperterrito, condannandosi alla sconfitta e prodigandosi in un assurdo studio delle prove che dimostrerebbero l’uguaglianza tra Elisabella e Isabetta: “Dalla voce alla radio si può capire come sono le signorine e le signore cioè il petto le gambe i fianchi e tutto il resto. Le magre le grasse le longilinee le finte magre e le finte grasse. L’esperto radioamatore non si lascia ingannare. Il Capoccia parla alla radio e vede la signorina come davanti alla televisione. Alla voce di Elisabella corrisponde sia Isabetta che Elisabella così non ci crede quando queste dicono siamo due sorelle gemelle, invece siete una sola sorella. Alla voce squillante lui sa che corrisponde un petto abbondante ma può essere anche molto scarso. Alla voce cavernosa corrisponde un petto piatto e liscio come un uscio ma qualche volta può essere tondo come un melone o gonfio come un pallone. Alla voce garrula corrisponde abbondanza di tutto ma ogni tanto può essere al contrario una micragna generale. A una voce morbida e pastosa corrisponde una tale bruna e di piccoletta statura ben proporzionata sia davanti che di dietro, salvo le eccezioni. A una voce secca e tagliente una signora pallida e forse malata ma se invece è sana non importa, fra poco si ammala.” (p. 65)
Il Capoccia, convito che le voci di Elisabella e Isabetta siano perfettamente sovrapponibili, per dimostrare la propria competenza di radioamatore, lascia che i suoi dubbi scivolino in un catalogo di voci e corrispondenti corporature che mette in luce l’irrazionalità del suo ragionamento, del procedere del suo pensiero: in una dimensione del genere è impossibile rintracciare con sicurezza un qualsiasi dato che sia veritiero e inconfutabile, il testo si dirama in vare soluzioni, tutte percorribili, in netta contraddizione con la scientificità ottimistica e positivista che anima molte pagine dei romanzi gialli.
Se nel poliziesco, come afferma Kracauer nella sua indagine filosofica sul genere, «l’assolutizzazione della ratio è spinta all’estremo» <66 e «la fine del romanzo poliziesco rappresenta la vittoria incontrastata della ratio», <67 in Malerba tale rigida schematicità non solo viene capovolta a livello strutturale, ma vanificata del tutto attraverso l’inestricabilità totale di eventi riletti in chiave paralogistica, assurda e anche erotico-grottesca. Le indagini non scoprono alcuna verità razionale, non sciolgono alcun dubbio e, nel continuo conflitto tra ordine e caos rintracciabile nel giallo, in Malerba sembra trionfare l’ineluttabile ambiguità del reale, letto attraverso forme ermeneutiche deformate e incerte, prodotti esclusivi di un personaggio-protagonista che nel suo rocambolesco ruolo di detective fallisce miseramente. A tal riguardo, si possono ricordare anche le parole di uno dei padri del genere giallo, Gilbert Keith Chesterton che individua a chiare lettere come «primo e fondamentale principio» di un racconto di mistero «il momento in cui il lettore finalmente capisce», sciogliendo la sua incomprensione, «contorno scuro di nuvola» presente solamente per «far risaltare la luminosità dell’istante della comprensione». <68 In Malerba questo scioglimento non avviene mai e il mistero resta una tensione destinata a non trovare alcuno sbocco narrativo.
[NOTE]
53 A. CHIAFELE, Sfumature di giallo nell’opera di Luigi Malerba, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, p. 12.
54 M. CORTI, Il viaggio testuale, cit., p. 137.
55 Ivi, p. 139: «Si è parlato di tre possibilità di soluzione, lasciate dall’autore come coesistenti e alternative, cioè di tre possibili combinazioni degli elementi tematici del libro, il che ci riporta a uno dei modelli narrativi proposti in periodo di neoavanguardia […]. Le tre possibili soluzioni hanno in comune la definizione del protagonista come unico assassino, ma di un assassinio che non si sa se sia reale o immaginario; cioè la nevrosi del protagonista ha come primo effetto di togliere identità a cose e fatti. Il secondo effetto è di eliminare nella referenza le paratie temporali, il che consente al protagonista di trasferirsi nel lontano passato o nei secoli futuri […]; la deformazione che fa seguito all’eliminazione del continuum temporale, come del continuum spaziale, permette al narratore di inserirsi come soggetto dell’enunciazione al posto del soggetto degli enunciati e di esprimere il suo messaggio ora ironico ora quasi drammatico».
56 Ivi, p. 140.
57 L. MALERBA, Il pianeta azzurro, cit., pp. 342-343.
58 Ivi, p. 311.
59 Ivi, 150.
60 L. MALERBA, Le pietre volanti, in ID., Romanzi e racconti, saggio introduttivo di W. Pedullà, cronologia e note a cura di G. Ronchini, Milano, Mondadori, I Meridiani, 2016, p. 1146.
61 P. MAURI, Luigi Malerba, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 22.
62 B. BRECHT, Sulla popolarità del romanzo poliziesco, in ID., Scritti sulla letteratura e sull’arte, Torino, Einaudi, 1973, p. 290.
63 Ivi, p. 54.
64 Ivi, pp. 54-55.
65 Ivi, p. 58.
66 S. KRACAUER, Il romanzo poliziesco, Milano, SE, 2011, p. 30.
67 Ivi, p. 132.
Enrico Sinno, Parodia e sperimentalismo nel cantiere letterario del “Protagonista” di Luigi Malerba, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pavia, Anno accademico 2020-2021

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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