Nella Resistenza cronologicamente nasce la prima scrittura neorealista

Diversamente accade quando comincia la produzione di memorialistica che Fortini considera una “immensa base della piramide della letteratura resistenziale” <23. “Base”, egli chiarisce da intendere in ragione della quantità e non certo della qualità di queste opere, perché spesso quest’ultima è molto alta, come egli stesso sostiene: “Dovessi parlare dei miei gusti personali io preferirei molto la memorialistica alla narrativa vera e propria” <24.
L’autore inizia facendo riferimento alla prefazione a “Il sentiero dei nidi ragno” scritta da Italo Calvino nel 1964, che approfondirò più diffusamente nel capitolo destinato a questo autore. E’ però già qui importante sottolineare come nella lunga prefazione indicata Calvino dica che il suo libro come tanti altri di quegli anni sia nato come “un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo” prodotto da chi aveva vissuto la guerra, cioè “dalla voce anonima dell’epoca, più forte di ogni inflessione individuale”. Quasi a riprova di questo senso nuovo della vita Franco Fortini continua sottolineando la smania di raccontare che si rivelava vivida sui treni, che proprio negli anni del dopoguerra riprendevano a funzionare. Le persone sui treni, che andavano in maniera incredibilmente lenta, raccontavano e si raccontavano, formando una sorta di “letteratura orale” e rispondendo ad un “bisogno di autobiografia collettiva”. Un esempio della centralità del treno è costituito dal frammento di romanzo che Vittorini ha scritto tra il 1946 e il 1947, e pubblicato a puntate su una rivista mensile con il titolo “Lo zio Agrippa viene in treno”.
In questo tipo di memorialistica è presente una “sorta di grazia, che non è una grazia letteraria, che è soprattutto morale, di moralità della locuzione” <25. Ne è esempio di rilievo quello che Fortini considera un capolavoro, cioè “Banditi” di Pietro Chiodi <26. Pietro Chiodi, filosofo e partigiano, importante esponente dell’Esistenzialismo italiano, è ricordato da Fenoglio, suo allievo ad Alba, nel personaggio del professor Monti del “Partigiano Johnny” che parlando di Kierkegaard dice: “[…] l’angoscia è la categoria del possibile […] che è il necessario sprung, cioè salto verso il futuro”. Chiodi e Fenoglio come vedremo avrebbero proprio scelto negli anni ’43-’45 di fare il salto più temerario: diventare partigiani, cioè “banditi”. E proprio “Banditi” è il titolo del suo libro nel quale sotto la forma di diario Chiodi racconta le vicende, i rischi, e le difficili scelte che si trovarono di fronte i partigiani nella guerra di liberazione.
Ancor di più, al critico interessano, all’interno della memorialistica, le opere che hanno una certa “sostenutezza di tipo letterario”, come ad esempio Mario Bonfantini, “Un salto nel buio” <27 o Ubaldo Bertoli, “La quarantasettesima” <28, opera quest’ultima ambientata nell’appennino parmense. È questo un “libro bellissimo, uno dei pochi testi che si avvicinino veramente ad una semplicità di natura epica” <29. Il migliore di tutti è infine a suo avviso quello di Romano Bilenchi -30, che scrive in forma diaristica, “ma è la diaristica di Dino Compagni, del Villani, del nostro cronista del Trecento” -31.
Nella seconda parte del saggio su “Letteratura e resistenza”, Fortini passa poi in rassegna, con un’approfondita analisi, i principali autori e le principali opere di questo periodo storico, che riprenderò trattando ora singolarmente i diversi scrittori.
[NOTE]
23 Franco Fortini Letteratura e resistenza in Franco Fortini, Claudio Pavone, Gianni Rondolino, Conoscere la resistenza, Unicopli, 2016, p. 43.
24 Ibidem.
25 Ivi, p. 40.
26 Pietro Chiodi, Banditi, Einaudi, 1975.
27 Mario Bonfantini, Un salto nel buio, Feltrinelli, 1959.
28 Ubaldo Bertoli, La quarantasettesima, Einaudi, 1976.
29 Franco Fortini Letteratura e resistenza in Franco Fortini, Claudio Pavone, Gianni Rondolino, Conoscere la resistenza, Unicopli, 2016, p42.
30 Romano Bilenchi, Opere complete, BUR, Rizzoli, Milano, 2009.
31 Ibidem.
Lorenzo Ori, Storia e letteratura della guerra civile in Italia, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno accademico 2020-2021

La Seconda guerra mondiale è stata per molti aspetti diversa rispetto alla Prima, infatti nel primo conflitto i combattimenti si limitarono ad una zona geografica ristretta (il fronte nord-orientale dell’Italia), e quindi furono direttamente partecipi dei fatti d’armi solo i combattenti e le popolazioni di confine, mentre il resto della società civile ne veniva informato dalla stampa o, in seguito, dai racconti dei reduci. La Seconda guerra mondiale portò invece ad un’espansione del conflitto a tutto il territorio nazionale fin dal maggio del 1940, con i bombardamenti aerei e poi con lo sbarco degli alleati in Sicilia. Ma i combattimenti si inasprirono decisamente nella zona centro-settentrionale in seguito all’armistizio dell’8 settembre del 1943, che portò all’occupazione del suolo italiano da parte tedesca, alla formazione della Repubblica di Salò e diede inizio alla guerra civile. La società nazionale fu quindi interamente investita dal conflitto e tutti ebbero poi qualcosa di tragico da raccontare, sicuri che gli ascoltatori avrebbero capito, dal momento che anche loro avevano vissuto esperienze molto simili. Inoltre, a quello che si era vissuto in Italia, si aggiungevano i racconti che arrivavano dai fronti di guerra e talvolta da coloro che erano stati in prigionia (anche se in questo a caso, a volte non c’era vera corrispondenza negli ascoltatori, che spesso non credevano a ciò che era accaduto: il caso più noto è quello di Primo Levi, ma la stessa difficoltà sarà riscontrata anche da Mario Rigoni Stern al ritorno dalla Prussia); insomma, “i fatti di guerra diventarono così un vasto patrimonio della memoria storica collettiva” <49. Nell’ambito della Resistenza in montagna, come di quella in città, il fenomeno era forse ancora più accentuato: infatti continuamente si vivevano situazioni straordinarie e tragiche, si prendeva parte a combattimenti, ad azioni di sabotaggio e si era testimoni, diretti o indiretti, di incursioni, di uomini fatti prigionieri ed esecuzioni. Così, in maniera assolutamente naturale dalle esperienze vissute tutti i giorni potevano nascere racconti, canzoni e poesie che facevano circolare la memoria di un avvenimento da una collina all’altra, da un paese all’altro. […] A tal proposito Maria Corti ha parlato della nascita di un fenomeno assolutamente nuovo in Italia: una “tradizione orale” <51, che collocava le sue origini proprio durante il biennio della Resistenza. A sostenere la veridicità delle parole di Maria Corti, ci sarebbero una serie di testimonianze oltre a quella di Calvino, ad esempio le parole di Corrado Alvaro in “Quaderno. Alcune pagine d’un diario fra il luglio 1943 e il giugno 1944”: “Inerzia. E in questo stato d’inerzia si raccontano leggende di fatti accaduti altrove, atti di coraggio, iscrizioni sui muri, più in là, in un altro quartiere […]” <52. L’esistenza di una tradizione orale era confermata anche dal fatto che uno stesso episodio circolava in diverse varianti nei vari “fogli” partigiani, che avevano un ruolo importantissimo nella propaganda e nel rapporto con la popolazione locale. Su questo fenomeno ci sono due elementi in particolare da notare: da una parte il fatto che, data l’eterogenea provenienza sociale dei partigiani, si poteva dare un tipo di trasmissione molto variegata nel linguaggio e nelle forme, si potrebbe parlare di una vera e propria comunicazione anche dal basso, ovvero falde di popolo comunicante, (cosa che non era ravvisabile ad esempio nei fogli di guerra degli eserciti, che mantenevano comunque una comunicazione dall’alto). Dall’altra parte, è da segnalare questa continua circolazione di storie tra emittenti e destinatari. Secondo Maria Corti “c’era di che far nascere una letteratura epico-popolare” <53. Tuttavia, questa letteratura epico-popolare non è nata; si sono gettate tutte le premesse, si era creato il clima giusto, una solidarietà tra coloro che raccontavano e coloro che ascoltavano, una memoria comune da tramandare che avrebbe restituito alla narrativa la sua antica funzione sociale, di trasmissione dei saperi. Al suo posto è nato invece il neorealismo. Infatti, l’idea di una virtualità narrativa nuova che era propria del neorealismo, ovvero la fiducia nella possibilità di dare inizio a qualcosa di diverso, sia dal punto di vista tematico (con il nuovo interesse verso le masse), che formale, secondo la Corti, avrebbe visto la propria origine nel biennio della Resistenza e in particolare nel fiorire di questa tradizione orale, mossa da una volontà di rinnovamento generale. Il Neorealismo non nasceva però come un movimento codificato, con una propria poetica, propri principi, a cui i singoli autori avevano aderito consapevolmente; possiamo dire invece che alle sue origini si trattò di una “corrente involontaria” <54, nata da un clima generale, da un’analogia di condizioni storico-culturali, da un rifiuto della letteratura passata e dal fiorire di nuovi programmi per il futuro. Un destino storico si sarebbe quindi venuto a riflettere su più individui, che si sono fatti espressione concreta della situazione generale; così dice anche Calvino: “Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale” <55. Possiamo quindi dire che il neorealismo ha le proprie radici, se non anche qualcosa in più, nel movimento collettivo della Resistenza: nasce infatti direttamente da essa, dal suo clima generale, dall’impeto morale che la caratterizza; e si può anche sostenere che sempre nella Resistenza cronologicamente nasce la prima scrittura neorealista, che poi trasmigrerà a temi diversi da quelli del mondo partigiano. Le opere quindi di grandi autori che noi ancora leggiamo vedrebbero le proprie origini negli scritti dei partigiani, che spesso confluivano nella stampa clandestina; qui troviamo per la prima volta quelle caratteristiche che poi passeranno alla letteratura vera e propria e che dopo il 1948 subiranno un processo di codificazione. [NOTE] 51 M. CORTI, Il viaggio testuale, cit., p. 33. 52 C. ALVARO, Quaderno. Alcune pagine d’un diario fra luglio 1943 e giugno 1944, in <>, numero speciale di dicembre 1944, p. 10.
53 M. CORTI, Il viaggio testuale, cit. p. 35.
54 Ivi, p. 39.
55 I. CALVINO, Prefazione (1964), in Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. VI.
Adele Cavestro, Oralità e temporalità nei racconti della Resistenza, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2017-2018

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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