Non ci vuol molto al lettore per scoprire da che parte suoni la campana in ‘Uomini e no’

Milano: Porta Romana

[…] la Milano di “Uomini e no” non appare affatto a una città alienata, visto che quest’ultima secondo la teoria lynchiana presupporrebbe l’impossibilità degli abitanti di individuare dei marcatori tradizionali rispetto ai quali orientarsi all’interno dello spazio urbano e, di conseguenza, la difficoltà di costruirsi delle mappe mentali dei propri percorsi. La leggibilità di una città, come definita da Lynch, si lega alla capacità dell’abitante di attenersi alle sue qualità visuali, di riconoscere facilmente i waypoints e di organizzarli in uno schema mentale. Considerata da questa prospettiva, la Milano vittoriniana si propone come una legible city, siccome le strade percorse dai suoi personaggi rispettano il contratto toponimico e, nella maggior parte degli episodi ambientati negli esterni, permettono una specificazione dell’esatto punto in cui l’azione prende luogo e di quello in cui si conclude. Essendo costruiti come itinerari end-from-end, i percorsi guadagnano lungo la narrazione una qualità direzionale attraverso un surplus di indizi che rende possibili delle «azioni alternative» (Lynch, 1960, p. 9), facilitando in tal modo l’orientamento dentro lo spazio narrativo sia per i personaggi che per i lettori. Ne consegue che l’alto tasso di referenzialità, ossia l’elevato livello d’imageability della città, prima di svolgere un’importante funzione stilistica, assicurando
l’effetto reale del racconto, si propone come una qualità indispensabile nella costruzione dello spazio narrativo, e più precisamente, nella delineazione degli itinerari proposti come «cronotopo diegetico» (Luchetta, 2015, p. 459). Nell’impresa centrale dei GAP, l’attacco al Tribunale, e l’essenzialità dell’impiego del contratto toponimico nei confronti delle azioni clandestine diventa più evidente. Se cerchiamo di ricostruire l’intera scena sul piano spaziale, il punto A dell’episodio dell’attacco corrisponde alla casa posizionata «verso Molino delle Armi» (UN 39), luogo della riunione dove vengono stabiliti i dettagli del movimento clandestino e in cui vengono ambientati i quattro capitoli successivi (XXX-XXXIV). Il capitolo XXXIV si apre con la presentazione dei compagni in quattro punti diversi della città dove ognuno, in attesa dell’inizio dell’attacco, occupa già la posizione stabilita dalla precisa strategia decisa in precedenza: il Gracco, Orazio e Metastasio si trovano «in una rimessa di una via adiacente a Porta Romana, sulla cerchia dei Bastioni» (UN 45), Coriolano, Mambrino, Barca Tartaro e Pico Studente in «una casa del bastione che da Porta Romana mette a Porta Vigentina» (UN 45), Enne 2, Scipione e Foppa «in una casa del corso che da Porta Romana va verso le officine e i binari della periferia, verso i campi, tra opifici e scali di ferrovia» (UN 45), e infine Figlio-di-Dio ed El Paso «nel centro della città, all’albergo Regina di Via Santa Margherita» (UN 45). Fino al capitolo XLIV questa posizione dei partigiani non cambia e l’azione oscilla tra tutte e quattro le ambientazioni, presentando i dialoghi, gli scherzi e le riflessioni degli uomini coinvolti nella stessa lotta. Il vero e proprio movimento prende avvio con Figlio-di-Dio che dall’albergo Regina si avvia verso la «casa della grassona» (UN 63), in corso Porta Romana, ed essendo l’unico che possiede il lasciapassare, parte per primo lungo il corso, seguito da Enne 2, Scipione e Foppa. Tornando poco dopo sulla stessa strada, avverte che c’è «gente che parla, a Porta Romana, (…), sulla cantonata (…), quella dov’è il caffè, verso Porta Vigentina» (UN 63-64), e questa si profila come la prima situazione in cui l’urgenza di reagire velocemente presuppone una modificazione del tragitto. Spetta a Enne 2, come comandante del gruppo, a reagire con un nuovo ordine dovuto alla presenza inaspettata del nemico e dettare, sur place, il nuovo piano di spostamento: “Enne 2 pensò un momento. Dovevano andare verso Porta Vittoria, e bastava tagliar dentro, una o due strade prima del viale. Attraversiamo di nuovo, disse. Vai di nuovo avanti, disse Enne 2 a Figlio-di-Dio. E gli disse quale via seguire”. (UN 64) I partigiani portano avanti il piano di Enne 2 e, in questo tratto della strada in cui mancano “text imminent points”, le indicazioni spaziali rimangono incerte, anche se i percorsi potrebbero essere ipotizzati attraverso gli “interpreted points”: «Alla prima svolta piegarono di nuovo verso il grande viale di circonvallazione» (che dovrebbe essere Viale Regina Margherita) e dal viale «salivano verso il bastione» (UN 64) (di Porta Venezia). In questo punto della narrazione, il ruolo della strada più evidentemente dimostra la sua funzione cronotopica, allestendo «il motivo
dell’incontro» (Bakthin, 1997, p. 251) tra i partigiani ed El Paso, il quale scendendo dalla macchina dove si trovano i tedeschi, si avvia verso «il pendio del bastione» (UN 64), nella direzione dei compagni.
Ana Stefanovska, Lo spazio narrativo del neorealismo italiano, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Padova, 2019

Un discorso differente e più approfondito riguarda, invece, le somiglianze evidenti che si ravvisarono in “Uomini e no”, laddove non soltanto compariva in maniera ossessiva il celebre dialogato, ma addirittura sembrerebbe esservi stata una trama di fondo che imitava interamente “Per chi suona la campana”. Queste dipendenze le aveva sottolineate proprio Mario Praz, nel suo articolo su «Partisan review», che aveva costituito il motivo per il quale Vittorini ed Hemingway avevano cominciato a corrispondere. Il romanzo fu composto durante l’ultimo anno della Seconda guerra mondiale, tra la primavera e l’autunno del 1944, mentre Vittorini alloggiava fuori Milano – per motivi di sicurezza – ma alcune parti furono composte anche nella stagione invernale, mentre questi era impegnato nell’attività clandestina partigiana. Non è scorretto da parte del critico americano sostenere che questo romanzo sia da collocare tra i testi della Resistenza, ma questi ritiene che il cuore del problema, tuttavia, rimane il legame inscindibile con “Per chi suona la campana”: ” ‘Uomini e no’ vuol essere il romanzo della resistenza italiana, e della guerra partigiana: l’equivalente italiano di ‘For Whom the Bells Toll’. Vittorini nel frattempo era diventato comunista e dirigeva il periodico comunista «Il Politecnico» che, anche nell’aspetto esteriore, cercava d’imitare i settimanali russi. […] Non ci vuol molto al lettore per scoprire da che parte suoni la campana in ‘Uomini e no’. Il tono lirico è d’evidente provenienza di Saroyan, ma i continui dialoghi, la maniera tough, la delineazione dei personaggi, la crudità di certi episodi, non avrebbero potuto essere senza l’esempio di Hemingway, in special modo di ‘For Whom the Bells Toll’ ” <292. Praz è molto dettagliato nella sua analisi: “La particolareggiata narrazione della tortura di Giulaj, che un ufficiale tedesco fa divorare dai cani per vendicare un suo cane favorito pugnalato da Giulaj a cui quello stava alle calcagna, corrisponde alla descrizione, nel romanzo di Hemingway, del massacro di tutti i fascisti di una piccola città, messi a morte tra due file di contadini armati di correggiati. Enne 2, il protagonista del libro di Vittorini, è innamorato d’una ragazza, Berta; si recano a casa d’una vecchia che appartiene al movimento, Selva. Il contegno di Selva verso la coppia richiama subito alla mente il contegno della vecchia Pilar, la partigiana, nei confronti della coppia Robert Jordan-Maria. Entrambe le donne anziane spingono le giovani nelle braccia dei giovanotti, e al tempo stesso sono gelose della loro giovinezza e beltà” <293.
[NOTE]
292 M. PRAZ, Hemingway e alcuni scrittori italiani contemporanei, cit., pp. 218-219.
293 Idibem.
Mariasole Simionato, Progettazione letteraria: Elio Vittorini sulle tracce di Ernest Hemingway, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2016/2017

Confermano la riflessione sulla propria attività e sul proprio lavoro di scrittura, le risposte date da Vittorini nell’’Intervista con la giornalista inglese‘ Kay Gittings, <470 databile all’autunno del 1946, contemporanea quindi alla pubblicazione del numero di «Politecnico» su cui comparve il terzo capitolo della ‘Breve storia della letteratura americana’. Di “Uomini e no” viene qui dato un giudizio che può essere considerato come punto di partenza dell’autocritica avviata dallo scrittore nei confronti del proprio romanzo: “Conversazione in Sicilia […] è certo un libro migliore di ‘Uomini e no’ (in cui, per esigenze di trama, la premeditazione ha dovuto di nuovo avere la sua parte)”. <471
Il termine premeditazione era già comparso all’interno di alcune pagine dedicate a Faulkner e al suo percorso narrativo che ad un certo punto delude le aspettative. Le cause dell’involuzione della scrittura faulkneriana sono poste da Vittorini nel fatto che «Lo scrittore non concepisce, bensì medita, ragiona, trae conseguenze; i suoi fantasmi deriva a forza d’ingegno da altri fantasmi; e la sua prosa, tagliata fuori dalla fantasia, scorre senza più la vita che le dava duplice forza.» <472 Lo sviluppo della narrazione «avviene dunque per virtù di schema, di premeditazione». <473 Quest’ultimo termine introduce quindi un giudizio negativo sul testo letterario, considerato rigido e insufficiente a causa di una volontà di calcolo, in base alla quale lo scrittore sembra avere stabilito a priori contenuti e struttura, senza riuscire a immettervi uno slancio stilistico vitale.
Il termine viene poi riproposto da Vittorini nell’intervista – come si è visto – al fine di operare all’interno della propria produzione narrativa una valutazione che separi in modo molto schematico i testi che egli riconosce buoni e quelli meno buoni. In questo modo sono commentate le sue prime prove degli anni Trenta, “Piccola borghesia”, “Viaggio in Sardegna” e “Il garofano rosso”: “In questi libri c’era il mio gusto come si era formato proprio attraverso il mio interesse per la letteratura e le arti in genere, c’erano ricordi d’infanzia e osservazioni di vita, c’erano prese di posizioni morali, c’era anche polemica, e c’era la ricerca per esprimere qualcosa che non afferravo”. <474
L’autore esprime allora chiaramente – con il senno di poi – in che modo egli si poneva allora di fronte alla scrittura: “Io pregustavo cose che ad un certo punto di quanto scrivevo (racconto o altro) mi sarei trovato a dire. Premeditavo e pregustavo”. <475 Con “Conversazione” questo atteggiamento è superato e Vittorini spiega, a posteriori, l’avvenuto cambiamento come un passaggio da una percezione estetica della lettura e della scrittura, a una percezione emotiva, che è la premessa indispensabile per scrivere con lo scopo di «esprimere una certa verità». <476 All’interno di questa disamina, “Uomini e no” è considerato come un arretramento, rispetto all’ottimo punto di arrivo letterario che aveva rappresentato il romanzo scritto tra il 1938 e il 1939 e i termini di questa involuzione sono apertamente dichiarati: nel romanzo resistenziale ha prevalso la «premeditazione» delle posizioni morali che volevano essere espresse, delle osservazioni esistenziali e della polemica. Troppo forte l’urgenza di dire, di testimoniare un vissuto, troppo rapida la sua composizione.
L’urgenza espressiva si giustifica sulla base della necessità – avvertita dall’autore – di comunicare quella spinta utopica che ha sempre caratterizzato (e continuerà a caratterizzare) i propri testi, <477 ma “Uomini e no” in particolare, poiché si colloca a ridosso della Liberazione del 1945, che appare a Vittorini come possibilità dell’edificazione di tale utopia in termini socialmente e politicamente concreti.
Proprio sulla rappresentazione delle situazioni contingenti che hanno affiancato la stesura del romanzo Vittorini insiste qui per la prima volta, dichiarando come «scrivere ‘Uomini e no’» fosse stato «avventuroso». <478
Da qui inizia la costruzione di una vera e propria “mitologia” sui modi di scrittura del romanzo resistenziale, evidente fin dal fatto che egli insiste sulla sua situazione di clandestinità, per cui, sfuggito all’arresto e rifugiato «in casa di amici sopra Varese», scriveva, «pronto a bruciare i fogli», nascondendoli ogni sera «in un tubetto da medicinali» che seppelliva in giardino. Valentino Bompiani racconta la cosa diversamente, dicendo come i fogli fossero nascosti «sotto i mattoni» <479 del pavimento, a riprova di quanto la scrittura del romanzo fosse stata caricata di aneddoti.
L’Intervista con la giornalista inglese” registra altre precise dichiarazioni d’autore che rendono conto di come Vittorini si ponesse nei confronti di “Uomini e no” a poco più di un anno dalla sua pubblicazione […]
[NOTE]
470 Seguendo quanto afferma Raffaella Rodondi in VITTORINI, Articoli e interventi 1938-1965, p. 336, si sa che l’intervista avvenne per via epistolare e che la stesura delle risposte è databile al periodo ottobre-novembre del 1946; una parte fu poi pubblicata nel «Corriere del libro», a. II, n. 2, 15 febbraio-15 marzo 1947, p. 3. Così commenta la Rodondi: «È questa la prima delle varie “ricostruzioni” autobiografiche che si affolleranno nel dopoguerra, talvolta discordanti tra loro e rispetto alla realtà dei fatti.»; a noi però interessano proprio le rappresentazioni di sé e del proprio lavoro fornite da Vittorini, al fine di valutare l’evoluzione del suo pensiero e delle sue posizioni.
471 ELIO VITTORINI, Intervista con la giornalista inglese Kay Gittings, in VITTORINI, Articoli e interventi 1938-1965, pp. 326-336. La citazione a p. 331.
472 VITTORINI, L’ultimo Faulkner, cit., p. 33. La stessa frase è riproposta da Vittorini in un articolo di poco successivo a quello citato: «Faulkner si è lasciato andare, ed è caduto fuori dalla fantasia, nella premeditazione, nello schema» (ELIO VITTORINI, America, «Almanacco letterario Bompiani», 1939, pp. 189-192; ora in VITTORINI, Articoli e interventi 1938-1965, cit., pp. 41-47. La citazione a p. 42.
473 VITTORINI, L’ultimo Faulkner, cit., p. 33
474 VITTORINI, Intervista con la giornalista inglese, cit., p. 330.
475 Ibidem.
476 Ivi, p. 331.
477 Così Asor Rosa in un recente giudizio complessivo – e più disteso – sull’opera di Elio Vittorini: «alla base del suo sperimentalismo c’è […] un progetto di segno utopico, che cerca fin dall’inizio, e poi per tutto il corso della sua vita (nonostante le sconfitte e le delusioni) di espandersi e affermarsi in tutte le direzioni»; ALBERTO ASOR ROSA, Sperimentalismo utopico e progettazione incompiuta (Elio Vittorini), in Novecento primo, secondo e terzo, Milano, Sansoni-RCS Libri, 2004, pp. 339-354. La citazione a p. 347.
478 VITTORINI, Intervista alla giornalista inglese, cit., p. 333.
479 VALENTINO BOMPIANI, Sotto i mattoni, «Il Ponte», a. XXIX, nn. 7-8, 31 luglio-31 agosto 1973, pp. 1058-1059; poi, con qualche modifica che coinvolge proprio la consegna del testo di Uomini e no all’editore, in VALENTINO BOMPIANI, Via privata, Milano, Mondadori, 1973, pp. 216-217.
Virna Brigatti, “Uomini e no” di Elio Vittorini. Il testo tra carte e poetica, tra edizioni e critica, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2011/2012

Pubblicato da Adriano Maini

Scrivo da Bordighera (IM), Liguria di Ponente.

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